LA FINTE DIMISSIONI DELLA BINDI IN CRISI DI NERVI. È ANCORA PRESIDENTE DEL PD

Paolo Bracalini per Il Giornale

Ma non si era dimessa dal presidente del Partito democratico venerdì scorso, irrevocabilmente e senza alcuna voglia di «attendere oltre»? Per dissociarsi, aveva detto, dalla «cattiva prova offerta dal Pd in un momento decisivo per la vita delle istituzioni e del Paese».

Sarà, ma mentre Pier Luigi Bersani ha lasciato la segreteria in mano a Enrico Letta, ufficializzando il passo indietro già annunciato, con Rosy Bindi siamo fermi all'annuncio. La presidente del Pd, nella direzione che ha segnato il capolinea di Bersani, ha detto che spiegherà le sue dimissioni alla prossima assemblea del Pd (ma non aveva più voglia di «attendere oltre»?), ma al momento, come si legge anche sul sito ufficiale del Pd, il presidente del partito risponde al nome di Rosy Bindi, lei.

La sua lettera di dimissioni, una scelta «meditata da tempo», è stata da lei consegnata nelle mani del segretario Bersani. Il quale, però, nel frattempo è solo un deputato Pd, non più il segretario. E allora? Niente, la Rosy sta al suo posto, l'unico appiglio che forse rimane all'ex vicepresidente dell'Azione cattolica per contare qualcosa in un partito che è andato nella direzione opposta da quella voluta da lei.

Aveva bocciato l'ipotesi di Letta a Palazzo Chigi («Ho grande stima di Enrico Letta e credo che sarebbe molto capace, ma non è certo questo il momento perché faccia il premier» aveva spiegato pochi giorni fa a SkyTg24), e se lo ritrova premier. Odia profondamente Matteo Renzi, e per il sindaco rottamatore si è spianata la strada che dovrebbe condurlo a essere il prossimo candidato premier del Pd. La sua corrente si è prosciugata, l'hanno abbandonata molti dei suoi (parlamentari ma anche quadri del partito) diventati proprio renziani, specie al Sud.

È stata fra i pochi dirigenti piddini a non votare per la linea delle larghe intese voluta da Napolitano, e il Pd ha seguito esattamente questa linea. Insomma una disfatta per l'ex ministro della Salute del governo Prodi. Il suo nervosismo lo si è potuto vedere e sentire alla direzione del Pd, da lei presieduta.

Quando ha preso la parola il «napoletaniano» Umberto Ranieri, l'unico a fare esplicitamente il nome di Matteo Renzi come presidente del Consiglio, si è sentita la voce della Bindi che dice: «Questo lo dobbiamo far parlare per forza?». Poco prima, fuori dalla sede del Pd, la stessa Bindi aveva risposto a un contestatore minacciandolo di tirargli un pugno.

La sua vera ossessione è Renzi. Durante la direzione Pd del mese scorso qualcuno fece notare la strana coincidenza temporale: la Bindi lasciò l'assemblea proprio nel momento in cui fece capolino Renzi. Lo ha definito «figlio del ventennio berlusconiano», lo ha invitato a restare a Firenze, precisando di non voler fare polemiche (e meno male) con uno «che non sa nemmeno fare il sindaco della sua città».

Minacciò querele sul famoso dossier sui costi del Pd, attribuito ai renziani e pubblicato da Dagospia, dove si leggeva che «la presidente Rosy Bindi ha tre segretarie (già assunte dal Pd a tempo indeterminato con stipendi sui 1.600/1.900 euro). Ha una addetta stampa, Chiara Rinaldini, e un altro collaboratore pagato dalla vicepresidenza della Camera».

Non voleva il governo del presidente e lo hanno fatto, non voleva Letta premier ed è Letta premier, voleva far fuori Renzi e Renzi è più forte di prima, si è dissociata dalle scelte di un partito di cui è stata, ed è, la presidente, non una oscura militante. A questo punto potrebbe valutare le dimissioni.

 

 

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