"FONTANA SAPEVA DEGLI AFFARI DEL COGNATO COI CAMICI" - L'INFORMATIVA DELLA FINANZA INCHIODA IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA, CHE SAREBBE STATO A CONOSCENZA DEI RAPPORTI NEGOZIALI TRA DAMA, LA SOCIETÀ DI ANDREA DINI E DELLA MOGLIE ROBERTA, E LA CENTRALE UNICA DEGLI ACQUISTI DELLA REGIONE, ARIA, "ANCOR PRIMA DELLA FORMALIZZAZIONE DELLA FORNITURA DEI 75 MILA CAMICI" - LA MOGLIE IN UN MESSAGGIO DEL 27 MARZO SCRIVEVA: "TANTO GUARDA POI VERRÀ FUORI UN ALTRO CASINO SU 'STE FORNITURE"...
Monica Serra per “La Stampa”
matteo salvini e attilio fontana
Ai pm per primo lo ha detto l'assessore Raffaele Cattaneo, responsabile della task force regionale per l'emergenza e diretto interlocutore di Dama. Ma le conferme sono arrivate da più parti: il governatore Attilio Fontana sapeva dei rapporti negoziali tra Dama, la società del cognato Andrea Dini e della moglie Roberta, e la centrale unica degli acquisti della Regione, Aria, «ancor prima della formalizzazione della fornitura» dei 75 mila camici, il 16 aprile 2020. E non solo il 12 maggio successivo come dal presidente sostenuto.
Il dato emerge dall'informativa finale del Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf che ripercorre accertamenti, interrogatori e testimonianze che hanno spinto i pm a chiudere l'inchiesta per frode nelle pubbliche forniture.
L'indagato numero uno è proprio Fontana che a stretto giro, col suo avvocato Jacopo Pensa, potrebbe chiedere un interrogatorio ai magistrati. Cattaneo (non indagato) - e che da quanto emerge avrebbe «agevolato» e «favorito» la società dei Dini, tra l'altro in forte crisi economica già prima della pandemia - ha dichiarato: «Intorno a metà aprile ho detto a Fontana che c'era anche Dama tra i soggetti che avevano le carte in regola per diventare fornitore. Ho avuto la percezione che il presidente non fosse entusiasta ma che ritenesse fondate le mie considerazioni in ordine all'interesse pubblico. Fontana non ha detto né di andare avanti né di bloccarci».
L'accusa formulata dai pm Luigi Furno, Paolo Filippini e Carlo Scalas, si concentra però sul secondo momento: quello in cui «per tutelare la sua immagine politica», Fontana avrebbe spinto il cognato a trasformare la fornitura in donazione, permettendogli - in concorso con gli altri indagati - di venire meno all'accordo iniziale e di non consegnare gli ultimi 25 mila camici pattuiti, in un momento di forte emergenza per la Regione.
In questo senso significativo è stato l'interrogatorio reso dall'ex dg di Aria, Fabrizio Bongiovanni, il 24 maggio. Che tra l'altro ha fatto finire indagato anche Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione.
«Io ho ricevuto la volontà del Presidente da Superti. Non era negoziabile perché avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con la persona del Presidente». Bongiovanni ha spiegato di aver accettato perché «sono un dipendente regionale. Mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del Presidente su un tema che gli stava a cuore. Io ero in distacco presso Aria ma venivo pagato da Regione Lombardia ed ero stato nominato da Regione Lombardia».
Dagli accertamenti è anche emerso che parte dei 50 mila camici consegnati ad Aria non potevano essere immessi sul mercato perché i tessuti con cui erano stati realizzati erano «privi di certificazione».
E ancora nella lunga informativa sono raccolte le chat e i messaggi - sopravvissuti alle numerose cancellazioni dei protagonisti della vicenda - tra Roberta Dini (moglie di Fontana, non indagata) e un'impiegata della Regione. In un messaggio del 27 marzo, Roberta Dini scrive: «Tanto guarda poi verrà fuori un altro casino su ste forniture». L'impiegata ai pm ha riferito di averlo «interpretato» nel senso che «qualsiasi cosa si facesse in Regione sarebbe nato uno scandalo mediatico».