USA E CINA A PASSO DI TANGO – AL G20 DI BUENOS AIRES TRUMP SIGLA LA TREGUA COMMERCIALE CON XI JINPING: DA GENNAIO NO AI NUOVI DAZI - L’INTESA FINALE DEL SUMMIT, INVECE, È FRAGILE: IL PRESIDENTE USA NON CEDE SU COMMERCIO E CLIMA E OTTIENE CHE NON CI SIANO PRESE DI POSIZIONE CONTRO IL PROTEZIONISMO - VIDEO
Giuseppe Sarcina per corriere.it
Due ore di colloquio concluse, riferiscono le agenzie di stampa, da un lungo applauso. L’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping è terminato alle 20,20,(dopo la mezzanotte in Italia). I due leader hanno cercato e trovato una tregua commerciale per spezzare la rincorsa di dazi e contro misure: da gennaio nessun nuovo balzello per 90 giorni durante cui proseguiranno i negoziati. Anche se manca una nota congiunta al termine, l’accordo viene confermato da entrambe le parti. Wang Yi, uno dei diplomatici più in vista e consigliere di Stato, ha confermato che i due leader hanno raggiunto «un importante consenso» sullo stop alle nuove tariffe e «sulla maggiore apertura dei rispettivi paesi».
Il consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudlow aggiunge che l’incontro «è andato molto bene» e altre fonti statunitensi confermano l’intenzione della Cina di iniziare ad acquistare prodotti agricoli statunitensi «immediatamente».
Le due delegazioni si sono presentate con pile di tabelle e di grafici. Segno che l’intenso lavoro preparatorio si è sviluppato in parallelo, e si può dire anche al riparo, dai tweet minacciosi di Trump. L’obiettivo sostanziale degli Usa è sempre lo stesso da mesi: dimezzare il deficit commerciale con Pechino, oggi pari a 380 miliardi di dollari. C’è solo un modo per farlo in tempi relativamente brevi: Xi Jinping dovrebbe impegnarsi a comprare più prodotti e più servizi made in Usa per un controvalore di 160 miliardi di dollari. Nella serata filtrava anche un’altra ipotesi. A Trump potrebbe bastare una riduzione intorno a 70-80 miliardi di dollari: una soglia sufficiente per essere rivenduta in tv e nei comizi, come un «grande successo».
Intanto il livello del consenso tra i leader del mondo si specchia nel comunicato finale del G20 di Buenos Aires. Il minimo dei minimi. Trentuno punti generici, innocui, tranne, forse, l’impegno «a riformare» il Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Ma secondo Trump il vertice si è concluso con una «vittoria», una dimostrazione di forza degli Stati Unitii. Più realisticamente il padrone di casa, il presidente dell’Argentina, Mauricio Macri, ha sottolineato il fatto che, perlomeno, questa volta non ci sono stati strappi.
Alla fine le diplomazie degli altri 19 Paesi hanno di fatto ceduto su tutta la linea. Nel paragrafo sul commercio non c’è alcun riferimento al «protezionismo». Via anche qualsiasi cenno al Global compact sui migranti, il piano messo a punto dall’Onu: solo qualche righetta sulla «preoccupazione suscitata dagli spostamenti in massa dei profughi». E sul clima 19 Paesi «confermano il sostegno» all’accordo di Parigi, mentre gli Stati Uniti, come era già accaduto nel G7 di Taormina nel 2016, «confermano la decisione di ritirarsi» dal protocollo.
Gli americani hanno svuotato di significato il vertice, ma ciò non significa che Washington abbia imposto la sua strategia agli altri. Semplicemente i due schieramenti si sono annullati a vicenda. Nella colonna delle cose concrete resta solo la «necessaria riforma del Wto per migliorarne il funzionamento». Messa così una formula ambigua, perché è vero che questo istituto non piace agli europei, alla Cina e agli stessi americani. Ma ciascuno di loro vorrebbe cambiarlo in modo diverso. Per il resto la presidenza argentina ha fatto il possibile per neutralizzare ogni possibile scontro. E quasi tutti i leader si sono allineati senza problemi. Anche nella seconda giornata nessuno ha chiesto a Vladimir Putin una spiegazione sulla confisca delle navi ucraine nel Mare d’Azov.
E solo gli europei hanno sollevato i dubbi sull’assassino del giornalista Jamal Khashoggi nei colloqui con il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman. Il presidente francese Emmanuel Macron è stato il più duro e il più diretto. Il premier italiano, Giuseppe Conte, ha riferito in conferenza stampa di aver chiesto «un’indagine completa e trasparente» e «di aver offerto un esperto italiano per collaborare all’inchiesta». E di nuovo nessuno, men che meno Trump, ha ricordato che Bin Salman è considerato il mandante dell’omicidio, in un rapporto firmato dalla Cia. Gli sforzi politici si sono concentrati altrove, lontano dalle sessioni collettive, declassate a seminari sui grandi temi geo-economici. Nella fitta rete dei bilaterali si è discusso soprattutto di scambi commerciali, di investimenti. Segno che un po’ tutti ormai, e non solo gli Stati Uniti, puntano su patti diretti e circoscritti. L’Argentina ha sfruttato il fattore casa, raccogliendo promesse da Cina, Russia e India.