IL SAGGISTA RENAUD GIRARD: “LA DEMOCRAZIA NON È INCOMPATIBILE CON IL MONDO ARABO. È INCOMPATIBILE CON L’ISLAM”

Elisabetta Rosaspina per il "Corriere della Sera"

E se fosse un'insormontabile questione di Dna? Una congenita incompatibilità tra il mondo arabo, o meglio la sua cultura, e le regole basilari della democrazia occidentale? Se fosse un'illusione pensare che al Cairo o a Damasco, a Tripoli o a Bagdad, possano innestarsi libertà di scelta politica e di pensiero, di dissenso e di autodeterminazione?
«No, non esiste alcun problema di incompatibilità della democrazia con il mondo arabo. Ma esiste invece, eccome, con l'Islam».

Il saggista Renaud Girard, 58 anni, storico corrispondente di guerra del quotidiano francese Le Figaro , per il quale ha coperto tutti i principali conflitti degli ultimi trent'anni e redige ogni martedì un editoriale di politica internazionale, è tornato poche settimane fa dall'Egitto rafforzato nelle sue opinioni. Già espresse, dopo decenni «sul terreno», nei suoi libri tra i quali Perché si combattono?

Viaggio nelle guerre del Medio Oriente , pubblicato otto anni fa da Flammarion: «La democrazia non ha problemi a installarsi in un Paese arabo, quanto in un Paese musulmano. Basta pensare a quanto accade in Pakistan, alla Turchia o all'Iran, dove la popolazione non è araba, ma è in grande maggioranza musulmana».

Ecco, la Turchia, per esempio, proprio sulla soglia dell'Europa, eppure così lontana dopo le sanguinose repressioni dei manifestanti in piazza Taksim, a Istanbul, nella scorsa primavera: «Il capo di governo, Erdogan si presenta come un uomo pragmatico, capace di mantenere gli equilibri politici tra diversi poteri, siano le Forze armate o gli Stati Uniti - riconosce Girard -, ma i fatti recenti dimostrano che sarebbe ridicolo paragonarlo a statisti e cristiano-democratici del calibro di Adenauer o De Gasperi. Erdogan è rimasto profondamente intollerante con chi non la pensa come lui».

Una controprova?
«Il Libano - suggerisce Girard -. Il Cristianesimo orientale libanese è percorso da diverse correnti capaci non soltanto di coabitare, ma anche di ascoltarsi e di dibattere. Stampa e tivù cristiane sono libere di esprimere tendenze e ideologie diverse fra loro. Proprio riguardo alla Siria, una parte dei cristiani libanesi è contraria al regime di Assad, mentre i cristiani maroniti manifestano il loro appoggio».

Non sembra un azzardo, quindi, al saggista del Figaro ricondurre il problema al scivoloso piano confessionale: perché dunque l'Islam sarebbe allergico alla democrazia?
«Perché non esiste nella civilizzazione musulmana una separazione tra la sfera religiosa e la sfera politica. Non c'è mai stata, dal VII secolo in poi, quella separazione tra potere religioso e potere politico che invece è alla base della civiltà occidentale. E fin dal principio del Cristianesimo, se è vera la frase che i Vangeli attribuiscono a Gesù: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Cristo non voleva interferire con la politica».

Si potrebbe obiettare che non sempre, nei secoli, la Chiesa ha seguito l'esempio di Cristo, ma Renaud Girard osserva che, comunque, mai il potere religioso ha travalicato quello politico, nel mondo cristiano, come avviene in quello musulmano: «Per il Corano, Maometto è il capo religioso, militare e politico. Ed è il Corano a stabilire che, in un processo, la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo. Nell'Islam contemporaneo, il fondatore dei Fratelli Musulmani, Hasan al-Banna, è segnalato dal suo movimento come la guida suprema. Non c'è possibilità di una libera interpretazione dei testi sacri nel mondo sunnita dai tempi successivi ad Averroè, quando fu proibita e lo spirito critico considerato satanico».

Finché vale soltanto la verità rivelata, la democrazia è fuori gioco: «Per questo gli sciiti sono meno pericolosi dei sunniti radicali - argomenta Girard -. Perché hanno conservato la libertà di interpretazione e ci sono perfino delle scuole sciite che rifiutano il governo teocratico in Iran. L'Islam non si è riformato, a differenza del Cristianesimo. Anzi, si è radicalizzato con l'apparizione del Wahhabismo, che non accetta l'evoluzione del mondo».

Ma la democrazia ha ancora qualche chance: «C'è una parte della gioventù egiziana convinta che la religione sia una questione individuale, un rapporto fra Dio e la propria coscienza. Scrivo spesso, per scherzo, che il musulmano si preoccupa del suo rapporto personale con Dio, mentre il Fratello musulmano è ossessionato dal rapporto del suo vicino con Dio. Chiaramente è una battuta, ma gli egiziani sono molto nazionalisti, fieri del loro passato, dei faraoni. Non accettano chi, come Morsi, mostra di disprezzarlo. Se apparisse domani un nuovo pensatore della statura di Muhammad Abduh, un vero riformatore, il cambiamento può essere molto rapido».

 

 

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