
GIUSTIZIA È SFATTA – NELLA GUERRA A IELO, CHE AVEVA CHIESTO IL SUO RINVIO A GIUDIZIO NELL'INCHIESTA CONSIP, IL RENZIANISSIMO LUCA LOTTI SI LAMENTA DEL VICEPRESIDENTE DEL CSM: "ERMINI NON È COLLABORATIVO" – L'ESPOSTO AL CSM CONTRO I PM CREAZZO E TURCO, “REI” DI AVER ARRESTATO (MENTRE A ROMA NE AVEVA CHIESTO L'ARCHIVIAZIONE) I GENITORI DI RENZI - UN MAGISTRATO ROMANO "È STATO CORROTTO DALL'AVVOCATO AMARA CON UNA SMART IN REGALO"
Saul Cala e Antonio Massari per il “Fatto quotidiano”
C'è anche nome del vicepresidente del Csm David Ermini negli atti d' inchiesta di Perugia. E proprio alla luce di queste altre notizie, oggi, l' indagine della Procura umbra rischia di avere un impatto devastante sull' intero Csm.
Dall' inchiesta emerge che il numero due del Csm Ermini non risultava sufficiente collaborativo agli occhi del consesso rappresentato, sul versante politico, dal "parlamentare imputato" Luca Lotti: al di là della singola partita sulla procura di Roma, ci si lamentava del fatto che Ermini, più generale, avesse un atteggiamento non abbastanza "reattivo" e rispondente alle richieste. Nessun reato. Conversazioni che però gettano una pessima luce sull' intero Csm e il suo vicepresidente.
Ma c' è anche dell' altro a rendere insostenibile per la magistratura il peso di quest' indagine: un' ulteriore pista investigativa che la Procura di Perugia sta seguendo in queste ore. Ed è mantenuta sotto assoluto riserbo.
La tesi è che un magistrato della Procura di Roma sia stato corrotto con l' acquisto di una Smart in cambio dell' aggiustamento di un processo. A dare il via a questo filone d' indagine è sempre l' ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, l' uomo che ha raccontato di una presunta mazzetta da 40 mila euro destinata a Palamara affinché gli garantisse la nomina a procuratore capo di Gela, ha raccontato anche altro.
Dell' esistenza di una mazzetta da 40mila euro - che Palamara ha negato durante gli interrogatori - Longo ha riferito d' aver saputo dall' avvocato Giuseppe Calafiore (che però nega di aver mai pagato Palamara, ndr). Nello stesso giorno, il 31 luglio 2018, Longo, assistito dal suo legale Candido Bonaventura, rende anche altre spontanee dichiarazioni al procuratore capo di Messina, Maurizio De Lucia che, insieme al pool di sostituti procuratori Federica Rende, Antonella Fradà e Antonio Carchietti, conduce le indagini sul "Sistema Siracusa".
Durante l' interrogatorio, durato più di quattro ore, intervallato da un' interruzione di 17 minuti in cui si "sospende il verbale e la registrazione", Longo racconta tutti i rapporti avuti con gli avvocati Piero Amara (ex legale esterno del' Eni, ndr) e Calafiore, ricostruisce le vicende processuali da lui seguite al Tribunale di Siracusa, i soldi ricevuti per indagare figure scomode ai due avvocati o per favorire i loro interessi. Nel verbale risultano però tre diversi omissis. Passaggi secretati dai magistrati messinesi per approfondire le rivelazioni fatte dall' ex pm ed evitare che terze parti possano acquisirle. E poi inviati alla Procura di Perugia affinché indaghi.
Tra queste, c' è la storia di una Smart che l' avvocato Amara avrebbe regalato a un pm romano.
A confidarlo a Longo è l' amico Calafiore, in una delle tante chiacchierate tra i due. A sua volta, però, Calafiore non è la fonte diretta: del "regalo" ha saputo dal collega e socio Amara.
Gli atti sono stati trasmessi dai pm di Messina ai colleghi di Perugia e lo scorso 26 aprile Longo è stato nuovamente interrogato sulla vicenda proprio dai colleghi perugini ai quali - come può rivelare oggi il Fatto - ha confermato la versione già raccontata e verbalizzata dinanzi ai magistrati siciliani. Il verbale è secretato.
L' episodio è ancora in fase d' indagine.
Sulla vicenda, sia Longo sia il suo legale preferiscono mantenere il riserbo evitando qualsiasi dichiarazione o commento.
Davanti ai magistrati di Perugia, Longo si è anche detto estraneo alla possibile corruzione del collega Palamara, spiegando ai magistrati di aver appreso solo in seguito, intorno all' estate 2017, che l' avvocato Amara, insieme con Calafiore, avrebbero tentato di corrispondere la somma di 40 mila euro a Palamara affinché favorisse Longo nella nomina di procuratore a Gela.
Longo a seguito delle vicende siracusane, era finito sotto la lente della prima commissione del Csm per incompatibilità ambientale, per questo motivo aveva fatto richiesta di trasferito, prima a Gela e in seguito accettando il ruolo di giudice civile a Napoli.
alessandro casali e luca palamara
Avendo collaborato con la giustizia, Longo ha patteggiato una pena a 5 anni a Messina per corruzione in atti giudiziari, dimettendosi dalla magistratura, con l' interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella legale per i prossimi cinque anni.
Le sue parole hanno innescato l' accusa di corruzione per Palamara portando la procura di Perugia ha intercettare l' uomo forte della corrente Unicost, nonché ex segretario dell' Anm. Le conversazioni intercettate hanno disvelato un sistema che, nel suo intreccio tra Csm, magistrati e politica, sembra ormai pronto a implodere sotto il peso dello scandalo.
LA RETE DEL RENZIANO LOTTI PER CONDIZIONARE LE SCELTE DEI MAGISTRATI
Giacomo Amadori per “la Verità”
L'inchiesta di Perugia sulle nomine al Csm, per quello che si apprende dal grammelot dei giornali, avrebbe registrato in diretta la nascita di una sorta di P5 formata da giudici e politici (si parla del possibile coinvolgimento di 20 magistrati) che stava cercando di affondare l' ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Paolo Ielo. Ma di fronte a questo Arcimboldo un' immagine appare chiara.
Il Giglio magico aveva e ha l' ambizione di controllare la magistratura attraverso il proconsole renziano Luca Lotti, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A tal fine avrebbe ingaggiato nella sua squadra due fuoriclasse nel gioco delle nomine come i magistrati Cosimo Maria Ferri (dal 2018 deputato Pd) e Luca Palamara, pm romano indagato in Umbria per corruzione.
Gente capace di sbloccare impasse di mesi con una sola mossa, che mandava a posto in un attimo decine di caselle per i posti direttivi e semidirettivi.
Al fine di imparare il mestiere Luca Lotti ha iniziato a frequentare il pianeta delle toghe da qualche anno e, quando era a Palazzo Chigi, i magistrati facevano la coda davanti al suo ufficio.
In una galassia parallela si muoveva il faccendiere Piero Amara, avvocato che di mestiere corrompeva i giudici e faceva il consulente per l' Eni.
Per screditare due consiglieri d' amministrazione della compagnia petrolifera e avvalorare la tesi di una sorta di complotto ai danni dell' ad Claudio Descalzi, avrebbe messo in campo i suoi pedoni, e tra questi il pm di Trani Antonio Savasta.
Savasta è un nome che i nostri lettori conoscono bene: dalla galassia di Amara atterra sul pianeta di Lotti il 17 giugno 2015, quando era già travolto da problemi giudiziari. A spedirlo là sono Tiziano Renzi e il suo socio Luigi Dagostino, un imprenditore con diversi amici magistrati. Lo stesso giorno il primo riceve dal secondo 24.400 euro. Che diventeranno 190.200 euro il mese successivo (sono entrambi indagati a Firenze per traffico di influenze illecite).
Calafiore Longo Maurizio Musco nella stanza del pm
Lotti il 14 maggio 2018, davanti alla pm Christine von Borries, ha confessato la sua nuova vita di magistrato ad honorem: «Non riesco a ricordare bene Savasta e cosa mi chiese anche perché durante la mia funzione di sottosegretario ho incontrato molti membri non togati e togati del Csm con i quali parlavo del funzionamento delle commissioni del Csm. Ho incontrato anche altri pm e giudici di primo grado».
Lotti ammette l' interesse per i meccanismi che governano il mondo delle toghe e la pm von Borries gli chiede, un po' maliziosamente, se tutti questi magistrati li avesse «incontrati nella sua veste istituzionale a Palazzo Chigi». E allora Lotti, ancora ministro, gonfia il petto: «Ne ho incontrati vari durante cene a Roma che avvenivano anche con membri del Csm e qualcuno anche a Palazzo Chigi e in altre occasioni».
In Procura Lotti fa riferimento anche ad Andrea Bacci, un imprenditore che era stato il factotum di Matteo Renzi: «Io ho conosciuto Dagostino tramite Andrea Bacci di cui ero amico e inoltre è noto che ero in buoni rapporti con Tiziano Renzi con il quale passeggiavo ogni lunedì da via Mazzini alla stazione quindi è probabile che tale appuntamento (con Savasta, ndr) lo abbia chiesto o Bacci o Tiziano Renzi».
Dunque, uno dei pm a disposizione della presunta cricca guidata all' avvocato Amara entrava e usciva da Palazzo Chigi su sollecitazione di Renzi senior o dell' ex socio Bacci. Il quale per un periodo è stato socio dello stesso Amara: «Io con lui avevo un rapporto d' amicizia, l' ho conosciuto a Roma. Ci andavo a cena ogni tanto perché era una persona simpatica», aveva raccontato alla Verità. «Volle entrare nella Teletouch srl con noi, gli sembrava una bella idea, e allora io e i miei soci gli abbiamo ceduto il 10%, ma poi abbiamo messo la società in liquidazione e non se n' è fatto più nulla».
Quando i finanzieri hanno perquisito Bacci, nell' ambito di un procedimento per reati fiscali, hanno trovato un foglietto con i nomi di Amara, di Lotti e di un magistrato della Corte dei conti. Gli inquirenti romani hanno chiesto all' imprenditore renziano il significato dell' appunto e lui ha spiegato che era il promemoria di una richiesta di Amara, desideroso di far incontrare la toga con Lotti. Il magistrato, a quanto risulta alla Verità, sarebbe lo stesso che, dopo la presentazione di un esposto da parte dei 5 stelle, aveva in carico il fascicolo sul volo di Stato utilizzato dall' allora premier Matteo Renzi (era il 2015) per portare in settimana bianca la famiglia a Courmayeur.
EMMA MARCEGAGLIA CLAUDIO DESCALZI
Bacci con gli inquirenti romani ha negato di aver riferito l' ambasciata a Lotti.
Ma l' imprenditore entra anche in un altro capitolo delle disavventure di Amara. L' avvocato, insieme con altri sodali, aveva ideato un presunto complotto ai danni dell' amministratore delegato dell' Eni Descalzi, per affossare l' inchiesta milanese sullo stesso ad. Prima la polpetta avvelenata viene affidata alla Procura di Trani (quella di Savasta), poi a quella di Siracusa e precisamente a Giancarlo Longo, altro pm secondo l' accusa a disposizione della cricca.
Marie Madeleine Ingoba moglie di Claudio Descalzi
E qui succede un' altra stranezza. Bacci, durante una premiazione a Montecarlo, sostiene di aver incontrato un fantomatico businessman iraniano, che l' avrebbe avvicinato proponendo affari per l' Eni in cambio di un sostegno al manager Umberto Vergine, che avrebbe dovuto sostituire Descalzi alla guida della compagnia petrolifera. Non molto tempo dopo Bacci viene convocato a Siracusa come persona informata dei fatti, con la scusa di un' intercettazione del fantomatico persiano, e con il suo racconto avvalora la versione della macchinazione contro Descalzi. «Ma io come potevo influire su quella nomina?», ironizza oggi Bacci.
A proposito di intercettazioni e manovre, Lotti, i suoi due consulenti Ferri e Palamara e un altro consigliere del Csm, Luigi Spina, sono stati intercettati a maggio mentre parlavano dell' esposto del pm romano Stefano Fava contro l' ex procuratore Giuseppe Pignatone e l' aggiunto Paolo Ielo e finalizzato, per i pm, «a gettare discredito». L' interesse di Lotti per l' esposto si può spiegare solo con un desiderio di rivincita contro Pignatone e Ielo che hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento nell' inchiesta Consip.
Ieri sera, il vicepresidente del Csm David Ermini ha fatto visita al presidente della Repubblica poche ore dopo l' arrivo, dall' Umbria, degli atti desegretati dell' indagine. Mentre oggi, in concomitanza con il plenum straordinario del Consiglio superiore, Fava e Spina (dimessosi da Palazzo dei Marescialli) saranno interrogati a Perugia.
Ma tra febbraio e marzo, mentre veniva preparata e spedita al Csm questa denuncia, a Firenze ne veniva confezionata un' altra (sempre di un pm contro i suoi superiori) e presentata a Genova, Procura competente per i reati dei magistrati fiorentini. Infatti aveva come obiettivi Giuseppe Creazzo e Luca Turco, magistrati serissimi e taciturni del capoluogo toscano. Sono gli unici che lontani dai riflettori hanno stretto all' angolo Tiziano Renzi (mentre a Roma ne hanno chiesto l' archiviazione) e, proprio a febbraio, hanno ottenuto l' arresto dei genitori dell' ex premier.
Creazzo in quel momento non era un procuratore qualsiasi, ma il candidato di Unicost (e quindi in teoria di Palamara) per la guida della Procura di Roma. Ma anche a causa dell' esposto le sue quotazioni hanno iniziato a scendere, mentre Palamara, intercettato dai colleghi perugini, avrebbe accettato di dirottare i suoi voti su un candidato gradito a Lotti e Ferri, ossia Marcello Viola, rispettabilissimo procuratore generale di Firenze.
Chissà se l' inchiesta di Perugia svelerà possibili trame anche dietro all' esposto genovese, di cui i giornali si stanno completamente disinteressando.
marcello viola procuratore generale firenze 2