LA GUERRA-SHOW DI OBAMA - UNA SVENTAGLIATA DI MISSILI PER METTERE PAURA AL REGIME

Paolo Mastrolilli per La Stampa

Un attacco in due fasi, con appena tre navi e 24 aerei, per colpire sei basi primarie e dodici secondarie dell'aviazione siriana. Il tutto a un costo molto ridotto, e senza mettere a rischio neppure un soldato americano. Questo è il piano di cui si discute a Washington da tre settimane, che è diventato il modello dell'intervento per il Congresso, e in parte per lo stesso Pentagono.

Lo ha scritto e pubblicato il 31 luglio scorso Christopher Harmer, che oggi lavora all'Institute for the Study of War, ma per vent'anni ha fatto l'ufficiale nella U.S. Navy. Ultimo incarico: Deputy Director of Future Operations della Quinta Flotta in Bahrain, ossia ideatore dei piani per l'intero Medio Oriente.

Harmer parte dal fatto che l'aviazione svolge tre funzioni essenziali per Assad: riceve armi e munizioni da Iran e Russia, rifornisce rapidamente sul terreno le unità del Syrian Arab Army, e bombarda i territori occupati dai ribelli. Distruggere l'intera Syrian Air Force (Saf) e il suo apparato di difesa antiaerea richiederebbe un grande intervento, che il capo degli stati maggiori Dempsey ha prospettato al presidente Obama: degradarle e renderle non operative sarebbe molto più facile e meno costoso.

Basterebbero tre navi nel Mediterraneo, dove il Pentagono ha già la Uss Barry, Uss Gravely, Uss Mahan e Uss Ramage, e 24 aerei, per lanciare Tomahawk (Tlam), Joint Air to Surface Standoff Missile (Jassm), e Joint Stand Off Weapon (Jsow). I missili partirebbero dalle navi e dagli aerei che non entrerebbero nello spazio siriano. In caso, gli aerei potrebbero operare dalla base turca di Incirlik, da quella giordana di al-Mafraq, da Akrotiri a Cipro, e dallo spazio di Arabia Saudita e forse Israele. Quindi senza rischi e senza necessità di distruggere la contraerea.

Gli obiettivi sarebbero le basi della Saf, che sono in totale 27. Il piano però ne identifica 6 primarie da colpire subito, perché sono le più operative, cioè Dumayr, Mezzeh, Al-Qusayr/Al-Daba, Bassel al-Assad Int'l, Damascus Int'l, e Tiyas/Tayfoor; e 12 da colpire nel caso vengano attivate, Shayrat, Hama, Khalkhalah, Marj Ruhayyil, al-Nasiriyah, Sayqal, Tha'lah (Suwayda), Qamishli, Palmyra, Al-Seen, Aqraba, Bali. Le altre sono in mano ai ribelli o in zone contese, e quindi non funzionali.

La prima fase dell'attacco richiederebbe il lancio di 24 Tlam dalle navi, più 24 Jassm e 24 Jsow dagli aerei F-15E ed F-18E. Obiettivo: degradare le piste di atterraggio e le strutture fisse, tipo i radar. Subito dopo i ricognitori dovrebbero verificare i danni fatti, e individuare le probabili posizioni nei bunker o all'aperto degli aerei siriani, che in totale sono stimati in circa cento.

A quel punto scatterebbe la seconda ondata, con 109 Tomahawk lanciati dalle navi, per completare la distruzione delle strutture e prendere di mira i singoli apparecchi. La terza fase sarebbe la «Maintenance», ossia una sortita ogni 7 o 10 giorni, con 12 Tlam, 12 Jassm e 12 Jsow, per distruggere quello che i siriani ricostruiscono. In totale l'attacco costerebbe meno di 140 milioni di dollari in munizioni, più le spese per lo spiegamento di uomini e mezzi.

Questo piano è stato abbracciato da parlamentari come il senatore McCain, che lo ha suggerito al Pentagono. I militari hanno la loro versione, che include tra gli obiettivi il Palazzo presidenziale di Damasco, il ministero della Difesa, le sedi dell'intelligence, la base Qasioun della Guardia repubblicana, o le batterie di artiglieria.

Meno probabile l'inclusione dei siti chimici, per timore dei danni collaterali, e del rischio che gruppi jihadisti si impossessino delle armi. Harmer ha detto che l'attacco chirurgico non basterebbe a risolvere la crisi, se non fosse accompagnato da una strategia di lungo termine. Ma questo è un altro problema, che tocca a Casa Bianca e dipartimento di Stato.

 

 

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