I GIUDICI MINACCIANO LE LARGHE INTESE: IL PARADOSSO DI DOVER SPERARE NELL’ASSOLUZIONE DEL BANANA

Ugo Magri per "La Stampa.it"

Berlusconi è convinto che contro di lui sia stato lanciato l'assalto finale. Giudiziario, certo, ma anche politico ed economico. Per espellerlo dal Parlamento e per metterlo sul lastrico. In queste ore, per lui così drammatiche, il Cavaliere non strepita, non risulta dia in escandescenze.

Nel lungo summit pomeridiano con i maggiorenti del partito, pare si sia sforzato di apparire lucido e determinato (sebbene nessuno arrivi a definirlo sereno). Escluso che voglia lasciarsi travolgere senza una reazione forte, anzi fortissima. Nel caso dovesse arrivare il 30 luglio la condanna, tutto è pensabile tranne che Parlamento e governo tirino avanti come se nulla fosse, «business as usual».

Letta ripete come in un mantra che «non ci saranno conseguenze per il governo», ma dalle parti di Berlusconi si respira tutt'altra aria. Il governo, dicono, finirebbe nel tritacarne, questo è sicuro. Non per ritorsione o spirito di vendetta (nel Pdl i più lucidi, come Cicchitto, sono convinti che pure il premier, al pari di Silvio, sia vittima delle manovre mediatico-giudiziarie). Alla crisi si arriverebbe per forza di gravità, perché le larghe intese non resisterebbero allo stress... Visto da sinistra: come potrebbe il Pd andare a braccetto con un condannato?

Dunque, prepariamoci a grandi scossoni. E tanto per cominciare, oggi il Parlamento si ferma. Assemblee di gruppo del Pdl sia alla Camera (iniziata ieri sera) sia al Senato. Non è da escludere che il blocco dei lavori prosegua anche nei giorni a venire, in un crescendo destinato a toccare il culmine alla vigilia della sentenza.

Sembra per ora accantonata l'ipotesi, parecchio fantasiosa, di auto-sospensione dei ministri Pdl in attesa della sentenza, perché nessuno potrebbe prevedere le reazioni di Letta e di Napolitano. Ma nel caso di condanna, ogni prudenza verrebbe meno. E forse nemmeno il Cavaliere avrebbe la forza per fermare i «falchi» che da tempo spingono per tornare alle urne. Il 30 luglio, giorno della sentenza, coincide con l'ultima «finestra» utile per votare a metà ottobre.

Se una condanna fosse giunta in autunno, tornare alle urne entro l'anno sarebbe stato tecnicamente impossibile. Invece adesso nulla si può escludere, nonostante la contrarietà del Quirinale. La fretta degli «ermellini» costituisce, politicamente parlando, un regalo insperato alla «pitonessa» Santanché. Lestissima a raccogliere l'assist della magistratura: «Basta perdere tempo con tentennamenti e sofismi, serve passare all'azione!».

Ma nessuno, nemmeno le cosiddette «colombe», a quel punto si tirerebbe indietro. Il sarcasmo di Alfano contro la Cassazione («Sono ammirato da questa prova di efficienza della Corte... Spero in una giustizia-lampo per tutti i cittadini») è parecchio indicativo. Tutti i ministri del centrodestra hanno manifestato sconcerto e sdegno contro le toghe, da Quagliariello a Lupi alla Lorenzin, suscitando la reazione di Rosy Bindi («Farebbero meglio a tacere»), l'unica in verità.

Non ci sono più soltanto Verdini, Bondi e Capezzone a immaginare forme estreme di «protesta nonviolenta»: anche figure di equilibrio come la Gelmini chiedono «iniziative shock per raccontare al Paese il dramma della giustizia», sono pronti a sostenere i referendum di Pannella e sottoscrivono senza esitare la proposta di Gasparri, che immagina dimissioni di massa dei deputati e dei senatori, casomai Napolitano rifiutasse di sciogliere le Camere dopo una condanna del Cavaliere.

Quando l'ex-capogruppo lanciò l'idea, sembrava una boutade: e invece ai vertici del Pdl sono rimasti in pochi a pensarla diversamente. Disperati e pronti a tutto, perché a questo punto non hanno più nulla da perdere.

 

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