IDEONA PER IL “CESSATE IL FUOCO”: BERLUSCONI E PRODI SENATORI A VITA
Carmelo Lopapa per "la Repubblica"
Ancora venti giorni col fiato sospeso e con la consegna del silenzio sulla magistratura ostile, il tempo di ascoltare le sentenze Mediaset e Ruby attese per fine maggio. «Poi, tutto può succedere », taglia corto senza dare molte spiegazioni ai suoi un Silvio Berlusconi che definiscono contrariato, ma per nulla rassegnato. «Qui non vogliono la pacificazione».
Tutto può succedere, perché da quel momento il governo Letta non andrà in automatico in crisi, ma il suo cammino parlamentare si trasformerà «in un Vietnam», racconta chi ha parlato ieri col capo raccogliendone gli umori più cupi. L'ex premier non intende certo restare col cerino in mano, apparire come il killer delle larghe intese dopo essersi speso tanto per la nascita dell'esecutivo, per di più premendo il grilletto per le sue faccende giudiziarie, personali.
Ma sull'Imu come su tanti temi il Pdl arriverà fino al punto estremo, alla soglia della rottura. Una crisi precipitosa e il voto in autunno per affrontare magari dalla più «sicura» poltrona di Palazzo Chigi il giudizio finale in Cassazione su Mediaset (cinque anni di interdizione dai pubblici uffici) è uno spiraglio che il Cavaliere tiene ancora in considerazione.
La linea dettata ieri da Arcore ai due capigruppo Schifani e Brunetta è quella della «sobrietà », anzi del silenzio. Non un commento al vetriolo per l'intera giornata, se si fa eccezione per quel «dalla Cassazione un no alla pacificazione » del senatore Augusto Minzolini, l'ex direttore che più e meglio di altri esprime gli umori di pancia di Berlusconi.
Il capo rientra questa mattina a Roma per un gabinetto di guerra a ora di pranzo con lo stato maggiore del partito. Già ieri spiegava ai figli e ai collaboratori più stretti, a Villa San Martino, che la bocciatura del trasferimento dei processi da Milano a Brescia ad opera della Cassazione era ampiamente preventivata. Annunciata da tempo dai legali Ghedini e Longo, gli stessi che da giorni lo preparano al peggio in vista delle due sentenze in arrivo.
Tant'è vero che il leader Pdl aveva registrato già domenica, dalla sua residenza in Brianza, la lunga intervista per lo speciale Tg5 che andrà in onda stasera in seconda serata, per entrare nei meandri del processo Mediaset. Prima tappa di una mini-campagna tv con cui intende difendersi «nel merito», senza lanciare i consueti affondi contro le toghe. Per ora.
Dal governo Letta Berlusconi non si attende alcun sostegno, sa che nulla potrebbe per cambiare il corso dei suoi processi. Ma in un clima generale mutato, qualcosa in più se l'attende, eccome. Lo sguardo è già rivolto alla Cassazione, giudice ultimo nel quale assai confida il Cavaliere. Per affrontare quel giudizio si è affidato non a caso al principe dei cassazionisti Franco Coppi.
Avvocato del Giulio Andreotti «imputato modello» che proprio ieri, dopo il decesso, Berlusconi ricordava in una lunga nota per equipararsi a lui: vittima della «demonizzazione dell'avversario » attuata dalla sinistra. Un ostracismo che l'ex premier spera ora venga superato dalla «pacificazione di cui il governo appena insediato deve rappresentare il giusto prologo».
Tutto insomma deve tenersi, nella sua strategia. L'esecutivo Letta si regge col clima di concordia o non regge. Concordia che dovrà passare anche dal riconoscimento della presidenza della Convenzione per le riforme allo stesso leader del Pdl. Ancora ieri da Bondi alla Gelmini a Gasparri l'hanno rivendicata quale «richiesta legittima», segno che il capo tiene il punto. Sebbene in privato si dica convinto che non gliela «daranno mai».
E così, a Palazzo Grazioli è maturato ormai il convincimento che l'ultima scialuppa - non certo per salvare dai processi ma per affrontarli da altra prospettiva - possa arrivare solo dal Colle. à dal presidente Napolitano, del quale Berlusconi è stato big sponsor, che il leader si attende il gesto supremo di «pacificazione»: la nomina a senatore a vita. Magari in tandem con Franco Marini (o Romano Prodi). Quale momento migliore, ora che il drappello dei «venerandi» al Senato si è ridotto a tre?





