INCREDIBILE: IL PIÙ RICCO AVVOCATO PENALISTA D’ITALIA HA FATTO UNA LEGGE CHE ACCELERA LA PRESCRIZIONE E BRUCIA I PROCESSI

Liana Milella per "la Repubblica"

Roulette in Cassazione per la legge anti-corrotti. La metà dei processi per concussione esaminati in quattro mesi "morti" per prescrizione, molti rinviati al giudice di merito per ridefinire il reato. Un lavoro interpretativo che, come scrivono gli stessi giudici, sta sfiancando e dividendo gli ermellini della sesta sezione penale, quella che ha in carico i processi di concussione. La parola definitiva rinviata alle sezioni unite sulle quali incombe anche la nomina del nuovo primo presidente del palazzaccio di piazza Cavour.

L'ex Guardasigilli Paola Severino ha difeso la sua legge fino all'ultimo momento. Ha citato proprio la Suprema corte come giudice di ultima istanza da cui, a suo dire, stavano arrivando delle conferme. Ma adesso, in bella evidenza da giovedì sera sul sito web del palazzaccio di piazza Cavour, una densa relazione di 19 pagine mette in chiaro all'opposto l'esplodere di serie difficoltà interpretative, di dubbi e di contraddizioni, di complicati distinguo giuridici che fanno della legge anti-corruzione un inestricabile guazzabuglio.

Scritta in "giuridichese" stretto, destinata ai colleghi come «orientamento di giurisprudenza », firmata da Giorgio Fidelbo, vice direttore del Massimario per la sezione penale, e materialmente scritta da Raffaele Cantone, l'ex pubblico ministero anticamorra che adesso lavora a Roma, la relazione è destinata a riaprire le polemiche mai sopite sulla legge. Su due fronti ben precisi, uno squisitamente giudiziario riguarda i futuri processi di Berlusconi e in particolare Ruby, l'altro è politico. Il governo Letta e il nuovo Guardasigilli Anna Maria Cancellieri dovranno chiedersi a questo punto se la legge, nella parte in cui la vecchia concussione viene "spacchettata" in due distinti reati, concussione per costrizione e corruzione per induzione, non vada rapidamente rivista.

Prima di dar conto dei dubbi della Cassazione, una premessa è d'obbligo. Anche se sulla concussione si dovesse fare marcia indietro - i magistrati della Corte non lo scrivono perché il testo non è "politico" bensì una sofisticata analisi giuridica, ma è evidente che una simile soluzione sarebbe per loro la via più razionale e auspicabile da seguire - dev'essere chiaro che tutti i reati commessi fino all'entrata in vigore della legge e finché essa resta in piedi usufruiranno comunque di quelle norme in quanto più favorevoli. Nonché dei vantaggi che esse comportano, prescrizione più breve per l'induzione (dieci anni anziché 15) e anche una pena minore, da 3 a 8 anni, anziché da 4 a 12.

S'era capito da subito che il passo di dividere la concussione era controverso. Foriero di prescrizioni. A cominciare da quella, già avvenuta, per il processo Penati a Monza. Foriero soprattutto di squassare i processi, come nel caso della concussione contestata a Berlusconi per il caso Ruby (la telefonata in questura al funzionario Ostuni per liberare la ragazza), per la semplice ragione che il delitto originario non era più lo stesso.

Su questo lavoro macchinoso e certosino si sono esercitati i supremi giudici. La relazione che ne dà conto è un percorso di guerra. Superato, tranne che in un caso, il problema della cosiddetta "continuità normativa", che è stata riconosciuta, la riffa parte quando, processo per processo, i giudici devono stabilire se si tratta di concussione, se di estorsione, se di induzione, e di che tipo di induzione si tratta. Si moltiplicano gli orientamenti, al momento la relazione ne indica ben tre differenti.

I dubbi che hanno attraversato la discussione della legge e che avrebbero potuto ben essere presi in considerazione si ripresentano ingigantiti dai processi messi in crisi e dai giudici posti in difficoltà. «Questa legge è un gran casino» è la frase ripetuta più di frequente nei corridoi della Corte. Ci si chiede perché la concussione sia stata spacchettata visto che le raccomandazioni dell'Ocse e del gruppo Greco non solo non erano vincolanti proprio in quanto semplici raccomandazioni e soprattutto perché si riferivano solo alla corruzione internazionale.

Ma la preoccupazione più forte riguarda il destino stesso delle indagini sulla corruzione. Lo "spacchettamento" ha figliato la possibile incriminazione per la vittima del reato, per l'imprenditore vessato, colui che finora, proprio per liberarsi del suo predatore decideva di parlare. Adesso rischia fino a tre anni di pena. E questo potrebbe spingerlo a non parlare più, perché non ha più vantaggio a farlo.

C'è scritto nella relazione: «Non si è proceduto a una scissione pura e semplice, nella concussione è "scomparso" il riferimento come possibile soggetto attivo del reato dell'incaricato di pubblico servizio; nell'induzione è "apparsa" la punibilità di quella che, fino al 28 novembre 2012, era soltanto la parte offesa del delitto». A interpretare il desiderio non scritto delle supreme toghe parrebbe di capire che tornerebbero volentieri indietro alla vecchia concussione o almeno si augurano che sia cancellata la pena per la vittima.

 

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