A KIEV CHI CI LASCIA LA CODA TRA GLI ITALIANI? – ENI E UNICREDIT GUARDANO CON PREOCCUPAZIONE ALLA GUERRA CIVILE IN UCRAINA. ANCHE SE IL CANE A SEI ZAMPE PARADOSSALMENTE POTREBBE GUADAGNARCI…

Carlotta Scozzari per Dagospia

Due tra le maggiori società italiane, Eni e Unicredit, guardano con estrema attenzione agli sviluppi della guerra civile che sta mettendo a ferro e fuoco l'Ucraina e Kiev in particolare. Tra quelli quotati a Piazza Affari, i due gruppi sono tra i più esposti al paese dell'Europa dell'Est presieduto dal contestato Viktor Yanukovich.

Basti pensare che soltanto lo scorso novembre il gruppo del Cane a sei zampe guidato da Paolo Scaroni annunciava in pompa magna il raggiungimento di un nuovo accordo per l'esplorazione e lo sviluppo di un'area del Mar Nero ucraino, dove sono stati individuati petrolio e gas. Eni ha in portafoglio il 50% della società, di cui la francese Edf ha il 5%, partecipata anche dalle aziende pubbliche ucraine Vody Ukrainy (35%) e Chornomornaftogaz (10 per cento).

Il gruppo petrolifero guidato da Scaroni è presente dal 2011 nel paese dell'Est con le licenze Zagoryanska e Pokroskoe, mentre nel 2012 ha rilevato anche il 50,01% di Llc Westgasinvest, società che ha in mano i diritti di nove aree per il gas nel bacino di Lviv, in Ucraina occidentale.

Paradossalmente, però, il gruppo Eni potrebbe in qualche modo trarre vantaggio dalle tensioni geopolitiche di Kiev. Il perché lo spiegano alcuni analisti: "La Russia rappresenta il 40% delle importazioni di gas italiano, che transita in territorio ucraino. Per questo motivo, qualsiasi ritorsione della Russia verso l'Ucraina potrebbe avere un impatto indiretto sull'Italia. Una riduzione dei flussi verso l'Europa - proseguono gli esperti - potrebbe spingere al rialzo i prezzi del gas, anche se la parte più fredda dell'inverno dovrebbe ormai già essere alle nostre spalle. E questo scenario sarebbe positivo per gli importatori, Eni in prima fila".

Niente vantaggi a livello di business dalla guerra civile, invece, per Unicredit, per la quale l'Ucraina pesa comunque per appena lo 0,4% dei prestiti totali. Nel paese, la banca guidata da Federico Ghizzoni ha appena fuso (lo scorso dicembre) le due controllate Ukrsotsbank e Unicredit Bank Ukraine, della quale, con un tempismo col senno di poi infelice, è stata chiusa l'acquisizione lo scorso luglio.

Chi invece ha avuto la vista lunga e ha appena raggiunto un accordo per uscire dall'Ucraina è Intesa Sanpaolo, la prima concorrente di Unicredit. A fine gennaio, l'istituto guidato da Carlo Messina, che non vedeva l'ora di liberarsene vista la voragine da quasi 500 milioni provocata a bilancio, ha annunciato la vendita della controllata Pravex Bank di Kiev all'oligarca russo Dmitry Firtash.

Un'operazione azzeccata non soltanto per i tempi, ma anche per le modalità: sembra, infatti, che il contratto relativo alla vendita, che dovrebbe chiudersi nei prossimi tre-sei mesi, non prevedesse la clausola di "material adverse change" (mac) che avrebbe potuto fare saltare l'operazione in caso di guerra e tensioni geopolitiche nel paese.

 

YANUKOVICH NULANDYANUKOVICH scaroni UCRAINA LA GENTE IN PIAZZA DOPO GLI SCONTRI UCRAINA LA GENTE IN PIAZZA DOPO GLI SCONTRI ASSEMBLEA GENERALI DI BANCA DITALIA FEDERICO GHIZZONI E LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO FOTO LA PRESSE CARLO MESSINA E FRANCESCO MICHELI ALLA PRIMA DELLA SCALA 2013

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