L’AFFARE S’INGROSSA - NUOVI INDAGATI A POTENZA NEL FILONE NAVALE DEL “GUIDI-GATE”: GEMELLI ERA RIUSCITO A METTERE LE MANI (SECONDO I PM GRAZIE ALL’APPOGGIO DI DE GIORGI) SULLA GESTIONE DEL PONTILE MILITARE DEL PORTO DI AUGUSTA, DOVE FACEVA ATTRACCARE LE PETROLIERE
Emanuele Lauria e Marco Mensurati per “la Repubblica”
In una procura vuota, di lunedì mattina, con tutti i pm dell’inchiesta in trasferta a Roma, c’è comunque qualcuno che continua a lavorare febbrilmente. «L’inchiesta sulla Legge Navale è arrivata a un momento cruciale», borbotta uno degli investigatori rimasti a Potenza.
L’inchiesta sulla “legge navale” è terzo filone dello scandalo che ha portato nei giorni scorsi alle dimissioni del ministro Guidi, quello che riguarda il “traffico di influenze” attraverso il quale Gianluca Gemelli – il compagno dell’ex ministro – era riuscito a mettere le mani su parecchi business nel porto di Augusta, dove la società di Gemelli ha la sede, proprio nello stesso edificio dell’azienda (non operativa da qualche anno) in cui è socio insieme a Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere e mentore del giovane imprenditore.
Le ministre Federica Guidi e Maria Elena Boschi alla Camera
In particolare, sostengono i pm, Gemelli avrebbe ottenuto, grazie all’appoggio del capo di stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi, la gestione di uno dei due pontili militari del porto (Augusta è il principale scalo petrolifero del paese).
Ma soprattutto avrebbe ottenuto il permesso di far attraccare a quel molo le petroliere, trasformando così la zona in un punto strategico per l’altro suo business, quello del petrolio subappaltato da Total a Tempa Rossa. Ecco perché la polizia giovedì ha acquisito, dalla Marina e alla Port Authority di Augusta, i documenti delle 90 concessioni date a privati nell’intera zona portuale.
federica guidi e gianluca gemelli
Per ottenere quegli affari Gemelli avrebbe offerto ai suoi interlocutori, e in particolare a De Giorgi, la “solita contropartita”, la stessa che aveva offerto alla Total in cambio del subappalto di Tempa Rossa: un rapporto privilegiato con il ministero della compagna, che proprio nel periodo al centro dell’indagine, autunno-inverno del 2014, ha dato un’importante accelerazione al programma di rinnovamento della flotta della Marina (“Programma navale per la tutela della capacità marittima della difesa”).
Programma che era stato fortemente voluto da De Giorgi che voleva dare il commiato dalla Marina, prima della pensione, lasciando il segno. Di fatto, lo Stato stanziava 5,4 miliardi di euro in vent’anni per sostituire la flotta.
Inizialmente, questi soldi il Mise li avrebbe dovuti ottenere tramite un mutuo. Alla fine si decise per un finanziamento diretto (in maniera tale da poter investire nel programma il capitale risparmiato degli interessi).
Nel mirino dei magistrati – che hanno iscritto al registro degli indagati numerosi “nuovi” soggetti – non c’è tanto la legge in sé, quanto tutta la rete di relazioni e pressioni indebite che, in quel periodo, ne ha indirizzato l’iter, abbreviandolo.
In cambio dei favori ad Augusta, secondo l’ipotesi dei pm, sia De Giorgi sia l’uomo che aveva guidato il governo nell’accelerazione dell’iter della “legge navale”, il burocrate di Stato Valter Pastena (anch’egli indagato per traffico di influenze), avrebbero tratto, «o cercato di trarre», vantaggi personali per ottenere, una volta andati in pensione, prestigiosi ruoli di consulenza.