DIRE AL COLLE, PERCHÉ LETTA INTENDA - L’AFFONDO DI RENZI CONTRO RE GIORGIO È UNA MARTELLATA ALLE LARGHE INTESE CHE RIANIMA I FALCHI DEL PDL: “SI PUÒ VOTARE NEL 2014”

Ugo Magri per "La Stampa"

Che l'abbia fatto apposta oppure no, Renzi rischia di rimettere in gioco i «falchi» del Pdl appena chiusi in gabbia da Alfano. Cioè di offrire una chance a tutti quanti sulla destra non vedono l'ora di mandare a casa il governo.

Ai loro occhi, la stoccata del sindaco contro Napolitano è quanto di meglio si potevano attendere perché, se Letta si regge, massimamente lo deve al Capo dello Stato. E dunque, mettere sotto tiro il Colle equivale a uno squillo di tromba, a un segnale di rivolta contro l'equilibrio delle larghe intese che nel mondo berlusconiano più scatenato è stato raccolto in tempo reale: votare tra un po' di mesi forse ancora si può, non è troppo tardi...

In questo momento, chi Berlusconi più teme non è Renzi, che in privato liquida come «un battutista», semmai Letta (considerato più solido). Il sindaco di Firenze «somma insieme proposte di destra e di sinistra», secondo Cicchitto, «ma lo fa in modo contraddittorio». Un avversario temibile eppure non invincibile, secondo i sondaggi in voga ad Arcore. Tatticamente, un potenziale alleato per strappare nuove elezioni, e poi si vedrà...

Guarda caso, subito dopo il comizio di Renzi sono riprese le vecchie chiacchiere molto da «Toscanina», o da «Firenzina» che dir si voglia, insomma da strapaese, sui presunti rapporti tra Matteo e il super-falco berlusconiano Verdini, il primo originario di Rignano sull'Arno, il secondo di Campi Bisenzio, tre quarti d'ora in macchina se l'A1 non è intasata dai Tir, e dunque condannati a essere quasi in combutta (immaginaria conversazione tra i due: «Tu attacchi Letta da destra, io lo colpisco da sinistra, e insieme lo stendiamo al tappeto»).

Naturalmente, sono solo illazioni. Proprio come è impossibile dimostrare la liaison, di cui si vocifera, tra l'ala berlusconiana crisaiola e l'ideologo grillino Becchi.
Però questa è l'aria che si respira nella Roma politica. L'esordio della campagna congressuale renziana viene da tutti vissuta nel Pdl come una mina sotto gli equilibri politici.

Confida il capogruppo al Senato Schifani, che certo non appartiene alla famiglia degli irresponsabili: «Può darsi che l'attacco contro Napolitano sull'indulto sia mosso per raccogliere consensi nella base Pd. Però, certo, non aiuta il governo, semmai lo logora».

Brunetta, dirimpettaio di Schifani alla Camera, è ancora più netto: «Se Renzi rappresenta il futuro del suo partito, beh, allora la stabilità va allegramente a farsi benedire». Giubilante la Santanché, notoriamente fautrice di un bagno elettorale purificatore: «Più chiaro di così! Non comprendere che Renzi ha messo nel suo mirino il governo, vuol dire essere sordi e ciechi». O piuttosto, come insinua malefico il senatore Minzolini, «significa essere avvitati alla poltrona ministeriale».

Ne consegue, ai fini pratici, che nuove incognite si addensano sulla ormai prossima decadenza di Berlusconi. Non è per nulla scontato che il voto del Senato verrà accettato dal Pdl senza colpo ferire, specie se i «lealisti» troveranno nei renziani una sponda operativa. È vero che sulla carta il governo non rischia, come ha dimostrato il fallito putsch di dieci giorni fa.

E tuttavia, specie tra gli alfaniani circola, angoscioso quanto un incubo, lo scenario seguente: sull'onda dello sdegno per la pugnalata inflitta al leader, personaggi come Bondi, Capezzone, ovviamente Verdini, balzeranno in piedi e chiederanno a gran voce le dimissioni di massa che i parlamentari Pdl avevano sottoscritto e poi vennero congelate. Berlusconi stavolta non farà dietrofront. E se a quel punto pure Renzi con Grillo dicessero «basta, il Parlamento è paralizzato, tutti a casa», come farebbe Napolitano a negare le urne? Già, come farebbe?

 

LETTA E RENZI LETTA-RENZInapolitano renzi GHEDINI VERDINI E CICCHITTO DENIS VERDINI FABRIZIO CICCHITTO PAOLO BECCHI Minzolini intervistato

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