1. GIORGIO NAPOLITANO HA FIRMATO ALLE ORE 10.35 L'ATTO DI DIMISSIONI DALLA CARICA 2. L'ARTIGLIO DELLA PALOMBA: ‘’NON DOVEVA ACCETTARE QUESTO SECONDO MANDATO. UN NUOVO PARLAMENTO MERITAVA UN NUOVO ACCORDO POLITICO, NON UNA PROROGA. SI SONO PERSI DUE ANNI SECCHI. LUI SI SAREBBE RISPARMIATO TUTTE LE POLEMICHE SULLA “TRATTATIVA” E NOI CI SAREMMO RISPARMIATI I GOVERNI LETTA E RENZI, FINORA IMPOTENTI” 3. “LA TRATTATIVA CI FU, E FORSE DA CHI TRATTÒ ANDAVA PERFINO RIVENDICATA, IN NOME DELLA PACE CHE SEGUÌ AGLI ATTENTATI DEL ’92-’93. NEGARLA, INSULTANDO AL TELEFONO QUELLI CHE INDAGAVANO PER POI CERCARE DI DISTRUGGERE I NASTRI, NON È STATA UNA MOSSA DA STATISTA E HA LASCIATO UN’OMBRA. NAPOLITANO ANDAVA CONSIGLIATO IN MODO DIVERSO’’
1. NAPOLITANO FIRMA LETTERA DI DIMISSIONI
(ANSA) - Il presidente della Repubblica ha firmato pochi minuti fa la lettera di dimissioni che sarà a breve consegnata dal segretario generale Donato Marra ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio. "Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato questa mattina, alle ore 10.35 - si legge in una nota del Quirinale - l'atto di dimissioni dalla carica. Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, sta provvedendo a darne ufficiale comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati e al Presidente del Consiglio dei Ministri".
2. L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA
Barbara Palombelli per “il Foglio”
Un comunista diverso. Uno che piaceva ai borghesi, anche per quella buffa leggenda che lo voleva figlio segreto di Umberto di Savoia. “Si vede che è un signore”, dicevano quelli che non avrebbero mai votato neppure sotto tortura. Un uomo di cultura, appassionato di cinema, amico dei registi e degli scrittori.
Un incubo per noi cronisti che venivamo spediti a intervistarlo: era capace di fulminarti se tardavi un nanosecondo e voleva essere sicuro anche della punteggiatura delle sue risposte. Nel Transatlantico di Montecitorio, i malcapitati cui toccava intervistarlo venivano presi a pacche sulle spalle e riscuotevano comprensioni trasversali.
Una volta, da presidente della Camera, mi suggerì che – dal momento che l’appuntamento era fissato per le 16 e 30, era preferibile che arrivassi verso le 16 e 24, così “sistemata la sedia, il registratore e la penna” avremmo effettivamente iniziato a dialogare per le 16 e 30. I miei direttori e capiredattori erano suoi amici: Pasquale Nonno, mio capo all’Europeo, ci giocava a carte e Eugenio Scalfari lo vedeva a cena con amici, poi mi chiamava a tarda sera e mi faceva smontare il pezzo, “Sai, Napolitano mi ha detto che…”.
Insomma, lo conobbi quando dialogava con i socialisti e con Ciriaco De Mita. Era forse l’unico, a parte Emanuele Macaluso, a non vergognarsi di passare più di un pomeriggio al centro culturale Mondoperaio con Claudio Martelli – nei primi anni Ottanta – per descrivere i contorni di una socialdemocrazia italiana di stampo europeo che finì con gli arresti di Mani pulite (ma a quei tempi piaceva un sacco e sembrava un sogno realizzabile, più moderno del compromesso storico berlingueriano).
giancarlo pajetta napolitano berlinguer
Gli allora giovani come Massimo D’Alema lo descrivevano apparentemente mite, in realtà cattivissimo. Si sarebbero rottamati a vicenda, reciprocamente, più volte. Quando Napolitano era all’organizzazione, si tolse di mezzo il rampante figlioccio di Berlinguer e lo spedì in Puglia, D’Alema non glielo perdonò mai (anche per una tragedia privata che qui non è il caso di rievocare). Molti anni dopo, le strade dei due opposti postcomunisti erano destinate a incrociarsi di nuovo.
Mentre tutti immaginavano un megainciucio che avrebbe portato Max al Quirinale, eravamo in pochissimi a prevedere il supermigliorista Napolitano al Colle. Lo intervistai alla radio nell’autunno del 2007, era stato da non molto nominato senatore a vita ed era uscita da Laterza la sua colossale autobiografia, la lessi, mi colpì un’unica citazione – positiva – su Silvio Berlusconi, la famosa stretta di mano in Aula. Lo salutai, lasciando impressa al microfono la mia previsione di rivederlo presidente della Repubblica. Ho sempre avuto una certa simpatia per lui e per la sua famiglia. Ci diamo del tu, negli anni del non-potere mi piaceva vederlo giocare con la sabbia e i nipotini come un nonno qualsiasi. Onesto, rigoroso, perbene. Anche spiritoso.
E’ uno dei politici che ha una moglie tosta, vera, gagliarda. Non è la solita vittima, anzi: mi piace la schiettezza di Clio, adoro la sua durezza e la sua forza. Indovinai anche il suo bis al Colle: all’ultima festa del 2 giugno del suo primo mandato, gli dissi: scommetti che quest’altr’anno ci rivediamo qui? Lui rispose “No, ci vedremo a Capalbio”. Forse non doveva accettare questo secondo mandato. Certamente, hanno sbagliato coloro che lo hanno implorato.
NAPOLITANO MANCINO E GIORGIO SANTACROCE
Un nuovo Parlamento meritava un nuovo accordo politico, non una proroga. I danni sono sotto gli occhi di tutti. Si sono persi due anni secchi. Lui si sarebbe risparmiato tutte le polemiche sulla “trattativa” e noi ci saremmo risparmiati – forse – i governi Letta e Renzi, finora impotenti davanti alle crisi gravi del paese.
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg
La trattativa ci fu, come ricordiamo tutti noi che c’eravamo come cronisti e forse da chi trattò andava perfino rivendicata, in nome della pace che seguì agli attentati del ’92- ’93. Negarla, insultando al telefono quelli i che indagavano per poi cercare di distruggere i nastri, non è stata una mossa da statista e ha lasciato un’ombra su un personaggio che andava consigliato – da chi gli era vicino – in modo diverso.