1- LA PALOMBA TIRA FUORI LE UNGHIE E SI TRASFORMA IN UN AVVOLTOIO: “DAL 1991 ‘LA REPUBBLICA’ È STATA SOTTO INCHIESTA FISCALE E POI PENALE CONDANNATA A PAGARE 230 MILIONI. EPPURE LA QUESTIONE È STATA CUSTODITA MEGLIO DEL SEGRETO DI FATIMA” 2- “MI SAREI ASPETTATA UNA PRESA DI POSIZIONE DELLE FORMAZIONI PSEUDOPOLITICHE CHE GRAVITANO ATTORNO AL GRUPPO EDITORIALE. O ALMENO QUALCHE RIGA DA PARTE DEGLI EDITORIALISTI DELLE VARIE SOCIETÀ CIVILI. E INVECE, UN SILENZIO DI TOMBA HA AVVOLTO L’INTERA VICENDA, COME SE FOSSE CAPITATA IN SOGNO. EVIDENTEMENTE, I DURI E PURI SANNO REAGIRE CON GRANDE ELEGANZA” (IL SISTEMA FU MESSO IN PIEDI DA UN BOCCONIANO OGGI AL VERTICE DI UN ISTITUTO BANCARIO MOLTO IMPORTANTE
Barbara Palombelli per "Il Foglio"
Il governo tecnico - al suo debutto nei giardini del Quirinale, venerdì scorso - aveva un'aria molto compiaciuta. Dopo il baciamano al premier, per cui si faceva la fila, correvamo tutti a cercarli. Ministri e ministre erano affabili, cortesi, divertiti dalla prova provata del potere. L'unico più felice di loro era l'imprenditore Franco Caltagirone, appena assolto e sognante: sembrava prendere le misure per l'arrivo nella reggia della sua Azzurra, moglie del supercandidato Pier Ferdinando Casini.
Ai margini del cocktail, si aggiravano i politici: smarriti, per ora, se li filavano in pochi. Meglio accalappiare un sottosegretario nuovo di zecca, tutto da scartare: adorabile il Michel Martone, vaccinato dagli attacchi dei giornali, matricola impertinente di una comitiva piuttosto agée. Pronta alla battuta e molto simpatica la più omaggiata dai cronisti: Betty Olivi, braccio destro di Mario Monti. Al collo portava una infilata di coralli pizzuti antijella: "Dobbiamo essere preoccupati", sentenziava ai capannelli che la circondavano. Accidenti, se siamo preoccupati.
Nelle aiuole più discrete, tutti parlavano di numeri e delle azioni - mancate - che ci si aspettava da super Mario. Il suo indiscutibile prestigio non ha fermato i 322 miliardi di euro in fuga dal nostro paese negli ultimi dodici mesi. Né si arresta l'emorragia di risparmiatori che stanno svuotando i conti correnti nazionali verso le sicure banche tedesche, il tutto in modo assolutamente legale.
Siamo in bilico, sull'orlo del baratro: se arriviamo al 7 per cento di interessi da pagare sul nostro debito pubblico, saltiamo in aria. L'arietta del tramonto romano alla festa repubblicana rinfrancava l'unico punto fermo italiano: il capo dello stato, per qualche mese ancora padrone di casa.
Alla sua ultima occasione festiva (ma non si sa mai... forse per dare tempo alle riforme costituzionali re Giorgio sarà rieletto a termine), scherzava volentieri. Gli ho chiesto: "Ci vediamo anche il prossimo anno, come dicono?". E lui, per farsi sentire: "Certo, a Capalbio". Ho lavorato dieci anni a Repubblica. Cinque e mezzo con il fondatore, quattro e mezzo con l'attuale direttore. Al netto di un paio di veleni tuttora indigeribili, sono stati anni bellissimi, segnati dal rapporto con una squadra di persone - oggi tutti fuori o marginali rispetto alla macchina operativa - veramente speciali.
Scoprire, qualche giorno fa, che dal 1991 - anno in cui entrai in piazza Indipendenza - fosse in corso un'inchiesta penale a carico dei massimi vertici del quotidiano e dei manager del gruppo è stata veramente una sorpresa. L'accusa: elusione fiscale, con un sistema suggerito - come mi ha confidato un ex dirigente incontrato per caso a una mostra - da un bocconiano doc ora al vertice di un istituto bancario molto importante. La sanzione altissima: più di 200 milioni di euro.
Per carità : sono cose che capitano, nell'alta finanza. Certo, si è trattato di un segreto custodito meglio di quello di Fatima. Mi sarei aspettata una presa di posizione delle formazioni pseudopolitiche che gravitano attorno al gruppo editoriale. O almeno qualche riga da parte degli editorialisti delle varie società civili. E invece, un silenzio di tomba ha avvolto l'intera vicenda, come se fosse capitata in sogno. Evidentemente, i duri e puri sanno reagire con grande eleganza.
2- IL GRUPPO ESPRESSO E LE TASSE
Comunicato del gruppo Espresso sulla decisione della Commissione tributaria
(24 maggio 2012) Con sentenza n. 64/9/2012 la Commissione Tributaria Regionale di Roma si è pronunciata sugli accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate per fatti risalenti all'esercizio 1991, condannando parzialmente il Gruppo Espresso.
In particolare la CTR ha dichiarato legittima la ripresa a tassazione di lire 440 miliardi 824 milioni e125 mila per plusvalenze - ad avviso della Commissione - realizzate e non dichiarate e di lire 13 miliardi 972 milioni per il recupero di costi assunti come indeducibili afferenti a dividendi e credito di imposta, con applicazione delle sanzioni ai minimi di legge e condanna alle spese di giudizio.
Negli anni seguenti i ricorsi del Gruppo Espresso erano stati accolti in due precedenti gradi di giudizio e i fatti contestati erano stati dichiarati a suo tempo insussistenti in sede penale. Il Gruppo, anche alla luce delle motivazioni pubblicate, ritiene la sentenza manifestamente infondata e palesemente illegittima e confida che sarà annullata e pertanto ha dato immediato mandato ai propri legali per il ricorso in Cassazione.
Il legale del Gruppo Espresso ha così commentato la sentenza:
«A più di venti anni dai fatti contestati, che risalgono al 1991, dopo che già in due gradi di giudizio le Commissioni Tributarie avevano accolto i ricorsi del Gruppo Editoriale L'Espresso, e dopo che in sede penale era stata dichiarata l'insussistenza del fatto, la Commissione Tributaria Regionale di Roma, in sede di rinvio dalla Cassazione, con la sent. n. 64/9/12 depositata il 18 maggio u.s., ha dichiarato la parziale legittimità di due accertamenti fiscali riguardanti tra l'altro le complesse vicende societarie che hanno portato alla suddivisione tra CIR e FININVEST del Gruppo Arnoldo Mondadori Editore e alla successiva quotazione in borsa di La Repubblica.
I Giudici romani riconoscono, contro la tesi dell'Agenzia delle Entrate, la piena correttezza e legittimità dell'operato de L'Espresso nel trattamento contabile e fiscale delle operazioni relative alle azioni La Repubblica. Essi affermano, tuttavia, che le operazioni societarie avvenute all'interno del Gruppo Editoriale L'Espresso e funzionali alla quotazione in borsa di La Repubblica siano di carattere elusivo, confermando quindi l'applicazione dell'imposta sul reddito alle "plusvalenze realizzate" nell'ambito di tali operazioni.
La sentenza in esame si iscrive quindi nel filone giurisprudenziale che rivendica all'Agenzia delle Entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti. Potere che lo stesso legislatore sta prevedendo di arginare nell'ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto della abnormità di pronunce che, anche sulla base di norme e di orientamenti giurisprudenziali neanche immaginabili quando le operazioni furono progettate e poste in essere, pretendono di disconoscerne i pretesi "vantaggi fiscali".
Tanto appare evidente dall'esame critico, fatto nella sentenza, delle valide ragioni economiche addotte dal Gruppo a sostegno dell'operazione; ragioni che, sebbene riconosciute vere, non sono state valutate a favore della Società in considerazione del rilevante "vantaggio fiscale" conseguito. Né è stato adeguatamente considerato, ad avviso della difesa, il fatto che le operazioni contestate sono state programmate nel 1989, prima dunque che fosse emanata la prima norma antielusiva applicata dalla Commissione, risalente al 1990.
Già solo da tale ultima circostanza emerge che la progettazione e la realizzazione dell'operazione di quotazione in borsa, comunque sorretta da valide ragioni economiche e finanziarie, era stata fatta nel pieno rispetto delle norme vigenti. Di ciò era del resto pienamente convinta anche l'autorità giudiziaria penale, che decise il non luogo a procedere poiché il fatto non sussiste.
Alla luce di ciò sembra difficilmente giustificabile sia l'applicazione delle sanzioni amministrative, che è stata invece confermata dalla Commissione, sia l'assolutamente inusuale condanna alle spese processuali nella misura di ?â? 500.000, nonostante che l'Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente in giudizio su altri importanti punti riguardanti sia l'acquisto delle partecipazioni La Repubblica, sia la pretesa elusività di un'operazione di usufrutto azionario.
La odierna sentenza della Commissione Regionale appare dunque già a prima vista illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito, che il Gruppo intende far valere nelle opportune sedi giudiziarie».
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