MATTEO E A CAPO - L'ECONOMISTA LIBERAL ZINGALES, TRIONFATORE ALLA LEOPOLDA DI RENZI: “PRIMA LA GENTE PROTESTAVA SOTTO LA BANDIERA DELLA SINISTRA, OGGI BISOGNA TROVARE QUALCOSA DI NUOVO" - “BERLUSCONI MI HA SEMPRE DATO FASTIDIO A PELLE. HA LA PSICOLOGIA DEL VENDITORE CHE TI TIRA IL BIDONE E TI RIFILA IL COLOSSEO” - “IO IN POLITICA? NON NE HO LE CAPACITÀ, SONO UNO CHE CREA PIÙ DISSENSO CHE CONSENSO”...

Marco Damilano per "l'Espresso"

Chiediamo a Renzi di cambiare non solo Firenze, ma tutta l'Italia". Alla vecchia stazione Leopolda, a sorpresa, è stato lui a lanciare la candidatura del sindaco di Firenze alle primarie per la leadership nazionale. Luigi Zingales, 48 anni, padovano di nascita e residente a Chicago dove insegna Imprenditoria e Finanza, editorialista del "Sole 24 Ore" e dell'"Espresso", ha conquistato la convention di Firenze con il suo intervento contro la "peggiocrazia".

"È stata una cosa fortuita. Ho conosciuto Renzi a una cena con un amico comune e mi ha invitato. Non avevo idea di come si sarebbe svolta la giornata, mi hanno solo detto: non si preoccupi, niente giacca e cravatta...". Un anno fa Sarah Palin parlò di lui in un libro come di un suo punto di riferimento, oggi al posto della capofila della destra americana a corteggiarlo per la sua squadra c'è l'incombente leader del centrosinistra italiano.

Professor Zingales, perché è andato alla Leopolda?
"Sentivo la necessità di impegnarmi non solo intervenendo nel dibattito pubblico con articoli e editoriali. È un momento in cui ognuno deve assumersi qualche responsabilità in più. Al liceo un mio insegnante mi spiegò che nell'antica Grecia quando c'era una lotta tra due fazioni chi non prendeva parte veniva punito. Lo stesso ha fatto Dante con gli ignavi, quelli che non si schierano. Ora è il momento di non restare a guardare".

Quali sono le due fazioni in lotta oggi?
"Di certo non si chiamano più destra e sinistra. La lotta vera è tra chi vuole cambiare il sistema alla base e chi in questo sistema ha trovato qualche privilegio, qualche ragione di comodità, e non vuole cambiare niente. In Italia c'è un ritardo culturale ad affrontare le sfide in modo competitivo, le resistenze al cambiamento sono molto forti. Renzi mi sembra uno di quelli che milita nella fazione che vuole cambiare. Qual è l'unico gioiello da salvare in questo disastro totale che è stata la cosiddetta Seconda Repubblica?

L'elezione diretta dei sindaci. È da quella riforma, che accanto all'elezione diretta prevede il limite di due mandati, che sono nate figure come Renzi o come Sergio Chiamparino o il sindaco di Verona Flavio Tosi nella Lega. Ed è una riforma che garantisce l'alternanza, come si è visto quando Pisapia a Milano ha vinto in una città che sembrava appartenere alla destra, e lo stesso successe anni fa a Bologna quando perse la sinistra. È un meccanismo che va esteso a livello nazionale".

L'elezione diretta del sindaco d'Italia? Basta eleggere una persona per cambiare i meccanismi?
"Quando i meccanismi sono corrotti uno se ne va. Quando sono strutturati in senso meritocratico, quando selezionano le energie migliori, le persone capaci si trovano".

Lei respinge le etichette destra-sinistra. Ma allora cos'è, politicamente parlando, Renzi?
"Mi ha colpito che qualcuno lo abbia definito un populista di centro. Sto finendo di scrivere un libro in cui chiedo un capitalismo per il popolo. Io vedo una forte dissociazione tra la classe intellettuale che difende l'esistente e una forte area di scontento che non ha ancora espresso un proprio progetto politico. Alle manifestazioni di New York, Occupy-Wall Street, si vede tanta gente incavolata, per usare un eufemismo. Sanno che vogliono spazzare via questa politica, la corruzione e la mancanza di trasparenza nei mercati finanziari, quando però si chiede loro un progetto in positivo non sanno esprimerlo. Prima era facile: la gente protestava sotto la bandiera della sinistra, del socialismo, oggi quelle parole sono vecchie, bisogna trovare qualcosa di nuovo".

Nella sinistra occidentale, e nel Pd, la crisi del liberismo del 2008 e l'ultima di queste settimane spingono a tornare alle ricette dell'intervento pubblico nell'economia, allo Stato. Nel Pd c'è stata polemica tra Renzi e il responsabile economico Stefano Fassina. Lei con chi si schiera?
"Sono due cose diverse. La crisi del 2008 in America è stata provocata dall'assenza di regole nei mercati finanziari. La crisi attuale dell'Europa invece nasce dalla politica. Si è reso conveniente per le banche investire nei titoli greci, almeno quanto lo era investire nei titoli tedeschi. Il mercato in questo caso ha fallito perché drogato da decisioni politiche sbagliate".

Cosa bisogna fare, allora, ora che siamo sull'orlo del baratro?
"L'Italia non ha mai pensato alle riforme strutturali. Da almeno quarant'anni ci sono le emergenze, la congiuntura, il ciclo... E invece la vera emergenza sono le riforme strutturali, sono le cose più urgenti da fare, anche se nell'immediato bisogna sfidare lobby e corporazioni e non danno immediato consenso. In Norvegia hanno fatto una legge che destina una parte delle estrazioni dal suolo a un fondo che sarà speso per le future generazioni. È da decenni che in Italia non si fa una legge pensando se non al dopodomani, almeno al domani".

In crisi, però, ci siamo qui e ora...
"In estate ho scritto che il tempo era scaduto. L'ultimo autobus è stato il mese di luglio, era in quel momento che si doveva fare una manovra credibile che aggredisse le vere questioni. Invece si è fatto altro e ora tutto ciò che possiamo fare non cambierà le prospettive future: non ci possiamo più salvare da soli. Serve un segnale forte di discontinuità: quello che sta distruggendo l'Italia non è la situazione presente, il problema è la mancanza di crescita, come convincere il mondo che abbiamo ancora un futuro".

E qui torniamo alle leadership politiche.
"Sì, ma non c'è soltanto il tema del cambio di governo. L'Italia fatica a crescere perché è il sistema in gran parte fondato sul clientelismo e sulla conoscenza. Siamo ancora ai tempi di Banfield e del familismo amorale. La stagione di Mani Pulite sembrò una svolta ma è rapidamente rientrata e l'Italia onesta continua a subire il sopruso del trionfo dell'illegalità.

Per questo a Firenze ho proposto un premio per gli onesti e una legge che garantisca la non punibilità a chi confessa un reato patrimoniale, restituisce il maltolto, si ritira dalla vita politica ed è obbligato a non ripetere più il reato, pena il venir meno dell'amnistia. Il modello di riferimento deve essere l'Italia della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, quando il Paese si spostò dalle campagne alle industrie. Oggi il tema non sono le infrastrutture, ma come accrescere il capitale umano e il capitale civico: con la correttezza e la legalità dei comportamenti".

Quanto conta, in questa battaglia, essere anagraficamente giovani come Renzi?
"Esiste una forte correlazione tra il modo di ragionare e l'età. Attenzione, però: sarebbe sbagliato ogni estremismo generazionale. Nessuno vorrebbe rinunciare per esempio a una personalità come Giorgio Napolitano. Meglio ragionare sui limiti di mandato".

Renzi ha detto che lei sarebbe un ottimo presidente del Consiglio. Lei farebbe il ministro dell'Economia in un suo governo?
"Non ho le capacità di fare politica, sono uno che crea più dissenso che consenso. Renzi divide, fa discutere, ma l'ho visto a Firenze, in azione. È intelligente, sostanziale, divertente. Non mi viene in mente un altro politico italiano così".

Neppure il primo Berlusconi, del '94?
"Forse lui. Ma a me Berlusconi ha sempre dato una reazione di fastidio a pelle. Ci sono due tipologie di venditore. Quello che ti tira il bidone e ti rifila il Colosseo e quello che crea fiducia nel cliente che il suo prodotto è effettivamente il migliore. Berlusconi ha la psicologia del primo. E io spero che Renzi sia un venditore del secondo tipo".

 

LUIGI ZINGALES MATTEO RENZI E GIORGIO GORISILVIO BERLUSCONI STEFANO FassinaSergio Chiamparino FLAVIO TOSISARAH PALIN

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