filoreto d’agostino alessandra vella

SALVARE I MIGRANTI NON SOSPENDE LA LEGGE - ANCHE L’EX CONSIGLIERE DI STATO, FILORETO D’AGOSTINO, FA A PEZZI LA DECISIONE DEL GIP DI AGRIGENTO, ALESSANDRA VELLA, CHE NON HA CONVALIDATO L’ARRESTO DI CAROLA RACKETE: “ANCHE LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO HA RESPINTO IL RICORSO DELLA CAPITANA. LA PERMANENZA DELLA SEA WATCH PER MOLTI GIORNI FUORI DALLE ACQUE TERRITORIALI, IN ATTESA DI UN PERMESSO NEGATO A PIÙ RIPRESE, RENDE LA VOLONTÀ DI FORZARE LA MANO. LA NAVE AVREBBE POTUTO…”

Filoreto D’Agostino per “il Fatto quotidiano”

 

Un esame approfondito delle ragioni giuridiche che militano contro l'ordinanza della gip agrigentina sul caso di Carola Rackete è stato già condotto nelle pagine della Verità e di Italia Oggi da due valenti magistrati in pensione. Gli argomenti addotti sono qui pienamente condivisi. Il profilo da considerare riguarda, semmai, un atteggiamento a monte di una vicenda che lascia l'amaro in bocca.

Filoreto D Agostino

 

Tra i fatti e le conclusioni raggiunte dal Gip si registrano, infatti, ampi spazi di opinabilità, superati con proposizioni fideistiche delle quali la prima consiste nella lettura impropria dell' art. 10 della Costituzione, che prevede il conformarsi dell' ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, individuate, in quel contesto, nella Convenzione per la ricerca e il soccorso in mare. Il parametro costituzionale, coniugato con la Convenzione, costituirebbe chiave di volta per assegnare alla tutela di esseri umani salvati in mare una valenza superiore a quella delle norme vigenti nello Stato.

 

Semplificando: il salvataggio è condizione necessaria e sufficiente per superare qualsiasi sindacato di liceità. Una volta imbarcati quei poveracci, si possono ledere con assoluta serenità e impunità le regole imposte da uno Stato sovrano. Questo perché il principio costituzionale così declinato legittima l' esimente dell' articolo 51 del Codice penale (adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica).

 

Alessandra Vella

Quella affermazione non è solo erronea, ma configura anche una presa di posizione allarmante perché tende a frantumare la coerenza delle proposizioni giuridiche con la gerarchia delle fonti normative. In base a tale principio, una disposizione di rango legislativo, salvo talune previsioni dell' ordinamento comunitario, non può essere disapplicata, ma rimessa, per l' eventuale declaratoria di incostituzionalità, al giudice delle leggi. Soggetto sicuramente diverso dalla Gip autrice dell' ordinanza Proprio sul richiamo al diritto internazionale si apre la falla più ampia del discorso giustificativo.

 

Basti pensare che un giudice internazionale nella vicenda Sea Watch è stato officiato e si è pronunciato. La Corte europea dei diritti dell' uomo, preposta al rispetto degli impegni assunti dagli Stati in materia di diritto alla vita, divieto di schiavitù, diritto alla libertà e alla sicurezza, divieto di discriminazione, ha infatti respinto il ricorso proposto dalla comandante della nave.

 

CAROLA RACKETE

In altre parole: il giudice internazionale legittimato a conoscere della tutela dei diritti dell' uomo, compresi, in parte qua, quelli assicurati dalla Convenzione ricerca e soccorso in mare, ha negato l' esistenza di condizioni che un giudice, abilitato solo all' applicazione della normativa nazionale, ha positivamente proclamato.

Al di là dei singoli rilievi giuridici, emerge con forza il vero tema sotteso all' intera storia: la personalizzazione dell' ordinamento (da sistema normativo ad autoaffermazione del giudicante) in sintonia con il mito sofocleo di Antigone. Il contrasto tra nomos (legge dell' uomo) e fusis (intesa come legge naturale) vi rientra con prepotenza.

 

Solo che, quanto meno per fissare con obiettività la piena coerenza della legge naturale reclamata dalla gip come esposizione ed espansione del precetto costituzionale (il citato articolo 10 della Costituzione), occorre partire dai fatti.

 

Filoreto D Agostino

Il primo dei quali è la permanenza della nave Sea Watch per molti giorni fuori dalle acque territoriali in attesa di un permesso negato a più riprese. Attendere ciò che si è consapevoli non verrà concesso rende plasticamente la prava volontà di forzare la mano. Se non ci fosse stato dolo, la nave avrebbe potuto, in quell' ampio lasso di tempo, raggiungere porti non italiani: maltesi, tunisini e francesi. Finanche iberici.

 

Ancora più grave è la molto attenuata percezione dell' assolvimento del dovere da parte della Guardia di Finanza e il disconoscimento della natura di mezzo da guerra alla motovedetta. La struttura di un natante preordinato ad attività di pattugliamento delle acque territoriali e di tutela da pericoli provenienti dall' esterno non è paragonabile a quella di un mezzo (per esempio un elicottero della Guardia costiera) che svolge in via principale operazioni di salvataggio (e di polizia della pesca) e che non è armato.

CAROLA RACKETE

 

Una motovedetta armata è per struttura e funzione un mezzo bellico. Così, l' episodio di contatto tra le imbarcazioni scade, con la decisione del gip, a grottesca scenetta western, quando il prepotente di turno ingiunge al malcapitato di togliere le scarpe da sotto le punte dei suoi stivali La parte del malcapitato, nell' ordinanza in questione, è appannaggio delle Fiamme Gialle. E questo, se si consente a chi, nell' esercizio della funzione giurisdizionale, ha potuto ammirare la sempre elevata qualità e professionalità di quel Corpo, fa proprio male.

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