COME SIAMO MES? – L’ITALIA È RIMASTA L’UNICO PAESE EUROPEO A NON AVER DECISO LA RATIFICA PARLAMENTARE DELLA RIFORMA DEL MES. DOPO IL VIA LIBERA DELLA CORTE TEDESCA MELONI E GIORGETTI DOVRANNO MUOVERSI PER APPROVARE IL TRATTATO PER NON SCONTRARSI CON BRUXELLES – TAJANI HA DEFINITO IL MES “NON SUFFICIENTEMENTE EUROPEISTA” – VI RICORDATE QUANDO LA MELONI NEL 2019 PROMETTEVA “BARRICATE CONTRO LA NUOVA EUROFOLLIA DI UNA SUPERTROIKA ONNIPOTENTE”?
Gianni Trovati per “il Sole 24 Ore”
giorgia meloni alla prima della scala 2022
Siamo solo noi. L'esito del ricorso proposto dai liberali tedeschi alla Corte di Karlsruhe, tra l'altro su una questione procedurale legata al tipo di maggioranza parlamentare da utilizzare, era atteso. Ma la sua formalizzazione mette l'Italia nella condizione di unico Paese dell'Eurozona a non aver deciso la ratifica parlamentare della riforma del Mes approvata da tutti gli Stati, noi compresi, il 27 gennaio e il 7 febbraio 2021 (governo Conte-2). Dal 1° gennaio l'Italia sarà affiancata dalla Croazia, ma per la semplice ragione che Zagabria entrerà nell'euro dall'anno prossimo.
Sul piano sostanziale, la decisione della Corte tedesca fa cadere il velo che fin qui ha permesso ai governi italiani di temporeggiare, portando avanti il dossier in Europa ma guardandosi bene dal portarlo nel Parlamento italiano dove avrebbe spaccato le loro maggioranze. E rende più stretto il sentiero scelto dal governo Meloni, che punterebbe a far considerare come nata vecchia una riforma del Meccanismo europeo di stabilità ora da ridiscutere all'interno delle nuove regole fiscali in costruzione a Bruxelles per superare la sospensione del Patto prima pandemica e poi energetica.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Ieri da Palazzo Chigi e dal ministero dell'Economia non sono trapelati commenti. Ma ci ha pensato il ministro degli Esteri Antonio Tajani a spiegare da Alicante, dove ha sostituito la premier indisposta al vertice Eu-Med9, «le riserve delle forze di maggioranza» per una riforma del Mes che per il titolare della Farnesina Forza Italia giudica «non sufficientemente europeista perché manca qualsiasi forma di controllo parlamentare».
Le cronache raccontano in realtà che l'atteggiamento degli Azzurri sul Salva-Stati è cambiato nel tempo (nell'ottobre 2020 Fi presentò alla Camera anche una mozione per chiedere il Mes sanitario), ma il caso non è certo unico. Stabili sul no sono invece sempre stati FdI (nel 2019 Giorgia Meloni promise «barricate contro la nuova eurofollia di una SuperTroika onnipotente») e soprattutto la Lega, che votò anche contro il Mes originario nel 2012 (allora FdI era nel Popolo della Libertà, ma Meloni era assente il giorno del voto) anche se ad accompagnare tutta l'istruttoria in Europa fu l'ultimo governo Berlusconi, sostenuto dalla Lega.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Nel merito, per quel che può contare, la riforma che ora attende solo il voto italiano non appare così rivoluzionaria. Il suo contenuto più importante è nella creazione del Common Backstop al Fondo di risoluzione unico, cioè un ombrello ulteriore da attivare in caso di grosse crisi bancarie. Un ritocco ha poi riguardato la linea di finanziamento «precauzionale», destinata agli Stati in difficoltà temporanea, che è stata semplificata prevedendone l'attivazione tramite lettera d'intenti e non più con un Memorandum of Understanding.
antonio tajani alla ministeriale nato
Per quella «rafforzata», rivolta ai Paesi più in difficoltà, è stata confermata di fatto la disciplina attuale. Perché le condizionalità più pesanti e le ipotesi di ristrutturazione "automatica" del debito, che pure si erano affacciate nelle proposte iniziali, sono state accantonate fin dal 2018 anche per l'iniziativa italiana guidata dall'allora ministro dell'Economia Giovanni Tria nel governo Conte-1.
Ma non è in questi aspetti tecnici che va cercata l'origine delle difficoltà italiane. Che sono tutte politiche e dovute allo stigma del Mes come emblema dell'austerità. La stessa nomea ha tenuto fermi ai box anche i fondi sanitari privi di condizionalità, a interessi vicini allo zero e quindi vantaggiosi soprattutto per gli Stati che si finanziano a costi più alti (quindi in primis per l'Italia). Ora però la posizione di Roma si complica, anche nell'ambito di quel rapporto non conflittuale con Bruxelles che fin qui ha accompagnato con successo conti pubblici e rendimenti dei BTp nella fase delicata della manovra: perché ratificare il Mes in Parlamento sembra impossibile, ma anche tenerlo a bagnomaria ancora a lungo è piuttosto complicato.
URSULA VON DER LEYEN ALL UNIVERSITA BOCCONI GIORGIA MELONI ANTONIO TAJANI