renzi conte

"CONTE È UN INCAPACE", "RENZI PENSA SOLO A SÉ STESSO". IN PIENA PANDEMIA E CON L'ECONOMIA A PEZZI, L'ITALIA E' COSTRETTA A SUBIRE LA FAIDA PERSONALE TRA UNO CON UN PARTITINO DEL 2% E UNO SENZA NEANCHE IL PARTITO - UN TIRA E MOLLA DI SCAZZI E SGAMBETTI: "DEVE ANDARE A CASA, LUI E PURE CASALINO", "E' CONVITO CHE SE RIESCE A FAR FUORI ME, POI, MIRACOLOSAMENTE TORNA A ESSERE POPOLARE TRA GLI ITALIANI. QUANDO INVECE LO SAPPIAMO TUTTI CHE, FUORI DA QUESTO PARLAMENTO, È FINITO"

Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"

 

renzi conte

«Io certe dinamiche le capisco e le so valutare. Anche perché, se permetti, ho fatto il presidente del Consiglio per più di mille giorni. Ecco, il professore per me è un incapace. Sarà anche simpatico, una brava persona, tutto quello che volete. Ma è inadeguato al ruolo che ricopre. E per me deve andare a casa, lui e pure Casalino. Adesso, per favore, dovresti andargli a dire che te l'ho detto».

 

In attesa che sguardi e lame ideali si incrocino in Parlamento, magari nel dibattito sulla fiducia-sfiducia al governo uscente, l'acme del duello rusticano tra Matteo Renzi e «il professore», come il senatore di Rignano chiama il presidente del Consiglio con intento evidentemente canzonatorio, si è raggiunta per interposta persona.

renzi mejo dello sciamano di washington

 

Il giorno prima della Vigilia di Natale, quando non era chiaro a tutti il punto fino al quale voleva tirare l a corda, il leader di Italia viva ha chiamato due ministri dell'esecutivo perché consegnassero «l'imbasciata» al premier. «Deve andarsene perché non è capace».

 

A quel punto, assecondando quell'indole per alcuni tardodemocristiana, nonché la propensione a sopire i conflitti, Conte ha alzato il telefono e ha chiamato Renzi. Uno squillo, poi due, tre, quattro, cinque, sei. Dal cellulare privato, senza intermediazioni di segreterie o centralini perché - avrebbe poi spiegato il premier - «non volevo urtarlo o fare la parte del superiore». Nessuna risposta. Nello scambio di messaggi che ne è seguito, Conte ha sempre chiamato Renzi «Matteo» e Renzi non ha mai nominato la parola «Giuseppe». «Ti avevo chiamato per farti gli auguri, Matteo. Sia a te che alla tua famiglia.

Buone festività» (Conte); «Un augurio anche a te e ai tuoi. A presto» (Renzi).

GIUSEPPE CONTE - MATTEO RENZI

 

A Capodanno, stessa storia: «Matteo ti faccio gli auguri di buon anno anche in famiglia» (Conte); «Auguri a voi. Buon 2021» (Renzi). Poi all'Epifania: «Matteo ti chiamerà Gualtieri per aggiornarti sulla revisione del Recovery plan. Mi sembra che tenga conto di molti vostri suggerimenti» (Conte); «Aspettiamo voi allora. Buona Epifania a te» (Renzi).

 

Conciliante il primo, gelido il secondo. In tutto questo tempo, dalla Vigilia di Natale a oggi, non c'è stato giorno in cui - a dispetto dei toni concilianti dei messaggi su WhatsApp - Conte non abbia definito in privato Renzi come «uno che pensa solamente agli affari suoi».

conte renzi

 

Convinto, come proseguiva la riflessione svolta a voce alta con alcuni dei ministri più fidati, «che se riesce a far fuori me, poi, miracolosamente torna a essere popolare tra gli italiani. Quando invece lo sappiamo tutti che, fuori da questo Parlamento, è finito». Incollati nella classifica dei presidenti del Consiglio istituzionalmente più longevi - Renzi è decimo con 1.024 giorni da premier, Conte lo tallona all'undicesimo posto con una manciata di settimane in meno e potrebbe superarlo presto, crisi permettendo - i due sono praticamente agli antipodi. Si ignorano fino al giorno in cui, ottobre 2019, il leader di Iv mette nero su bianco delle critiche al Def del 2019 rilevando che «ci hanno messo solo gli spiccioli per il cuneo fiscale».

 

MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME BUGO E MORGAN

Il premier gli risponde di non fare «il fenomeno», perché «se lui ha uno stipendio consistente, 20-30 euro per il resto degli italiani non sono spiccioli». E la guerra fredda esplode. «Ah, mi ha chiamato fenomeno? Senza questo fenomeno, lui era già tornato a fare il professore», inizia a dire Renzi in giro. Come spesso accade quando la guerra è a distanza, ci sono dei momenti in cui la pace può esplodere da un momento all'altro. Succede qualche mese fa, quando Renzi torna per la prima volta a Palazzo Chigi dopo esserne uscito dimissionario la sera del referendum. Quando esce, i suoi gli chiedono: «Hai cambiato idea su Conte?».

 

MATTEO RENZI GIUSEPPE CONTE

E lui: «No, ma gli ho trovato una qualità. Sa arredare gli immobili. L'appartamento a Palazzo Chigi è messo a lustro, con me c'era sempre casino». Qualche giorno dopo, capendo che la pace non era ancora sbocciata, il presidente del Consiglio fa un nuovo tentativo di avvicinare il senatore di Rignano. Lo convoca di nuovo, pochi giorni prima del voto negli Usa. Ma stavolta i due sono soli.

 

MATTEO RENZI GIUSEPPE CONTE

«Parliamo di te. Che cosa vorresti fare, Matteo? Sul posto alla Nato, per esempio...», accenna. Ma Renzi non la prende bene: «Vedi, quel posto alla Nato non lo decidiamo né io né te, professore. Lo deciderà il prossimo presidente degli Stati Uniti». Il resto è la storia di un duello con un finale tutto da scrivere. Uno che vince, l'altro che perde. Col segno X in schedina, ormai, che pare quasi un miraggio.

Ultimi Dagoreport

elisabetta belloni giorgia meloni giovanni caravelli alfredo mantovano

DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE IMPRONTE PORTANO A “FONTI DI INTELLIGENCE A LEI OSTILI” - L'ADDIO DELLA CAPA DEGLI SPIONI NON HA NULLA A CHE FARE COL CASO SALA. LEI AVREBBE PREFERITO ATTENDERE LA SOLUZIONE DELLE TRATTATIVE CON TRUMP E L'IRAN PER RENDERLO PUBBLICO, EVITANDO DI APPARIRE COME UNA FUNZIONARIA IN FUGA - IL CONFLITTO CON MANTOVANO E IL DIRETTORE DELL'AISE, GIANNI CARAVELLI, VIENE DA LONTANO. ALLA FINE, SENTENDOSI MESSA AI MARGINI, HA GIRATO I TACCHI   L'ULTIMO SCHIAFFO L'HA RICEVUTO QUANDO IL FEDELISSIMO NICOLA BOERI, CHE LEI AVEVA PIAZZATO COME VICE ALLE SPALLE DELL'"INGOVERNABILE" CARAVELLI, È STATO FATTO FUORI - I BUONI RAPPORTI CON L’AISI DI PARENTE FINO A QUANDO IL SUO VICE GIUSEPPE DEL DEO, GRAZIE A GIANMARCO CHIOCCI, E' ENTRATO NELL'INNER CIRCLE DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA

terzo mandato vincenzo de luca luca zaia giorgia meloni matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, MATTEO SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER TUTTO CON LA DUCETTA CHE INSISTE PER UN CANDIDATO IN VENETO DI FRATELLI D'ITALIA - PER SALVARE IL CULO, A SALVINI NON RESTA CHE BATTERSI FINO ALL'ULTIMO PER IMPORRE UN CANDIDATO LEGHISTA DESIGNATO DA LUCA ZAIA, VISTO IL CONSENSO SU CUI IL DOGE PUÒ ANCORA CONTARE (4 ANNI FA LA SUA LISTA TOCCO' IL 44,57%, POTEVA VINCERE ANCHE DA SOLO) - ANCHE PER ELLY SCHLEIN SONO DOLORI: SE IL PD VUOLE MANTENERE IL GOVERNO DELLA REGIONE CAMPANA DEVE CONCEDERE A DE LUCA LA SCELTA DEL SUO SUCCESSORE (LA SOLUZIONE POTREBBE ESSERE CANDIDARE IL FIGLIO DI DON VINCENZO, PIERO, DEPUTATO PD)

cecilia sala abedini donald trump

DAGOREPORT – LO “SCAMBIO” SALA-ABEDINI VA INCASTONATO NEL CAMBIAMENTO DELLE FORZE IN CAMPO NEL MEDIO ORIENTE - CON IL POPOLO IRANIANO INCAZZATO NERO PER LA CRISI ECONOMICA A CAUSA DELLE SANZIONI USA E L’''ASSE DELLA RESISTENZA" (HAMAS, HEZBOLLAH, ASSAD) DISTRUTTO DA NETANYAHU, MENTRE L'ALLEATO PUTIN E' INFOGNATO IN UCRAINA, IL PRESIDENTE “MODERATO” PEZESHKIAN TEME LA CADUTA DEL REGIME DI TEHERAN. E IL CASO CECILIA SALA SI È TRASFORMATO IN UN'OCCASIONE PER FAR ALLENTARE LA MORSA DELL'OCCIDENTE SUGLI AYATOLLAH - CON TRUMP E ISRAELE CHE MINACCIANO DI “OCCUPARSI” DEI SITI NUCLEARI IRANIANI, L’UNICA SPERANZA È L’EUROPA. E MELONI PUÒ DIVENTARE UNA SPONDA NELLA MORAL SUASION PRO-TEHERAN...

elon musk donald trump alice weidel

DAGOREPORT - GRAZIE ANCHE ALL’ENDORSEMENT DI ELON MUSK, I NEONAZISTI TEDESCHI DI AFD SONO ARRIVATI AL 21%, SECONDO PARTITO DEL PAESE DIETRO I POPOLARI DELLA CDU-CSU (29%) - SECONDO GLI ANALISTI LA “SPINTA” DI MR. TESLA VALE ALMENO L’1,5% - TRUMP STA ALLA FINESTRA: PRIMA DI FAR FUORI IL "PRESIDENTE VIRTUALE" DEGLI STATI UNITI VUOLE VEDERE L'EFFETTO ''X'' DI MUSK ALLE ELEZIONI POLITICHE IN GERMANIA (OGGI SU "X" L'INTERVISTA ALLA CAPA DI AFD, ALICE WEIDEL) - IL TYCOON NON VEDE L’ORA DI VEDERE L’UNIONE EUROPEA PRIVATA DEL SUO PRINCIPALE PILASTRO ECONOMICO…

cecilia sala giorgia meloni alfredo mantovano giovanni caravelli elisabetta belloni antonio tajani

LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO- CARAVELLI. IL DIRETTORE DELL’AISE È IL STATO VERO ARTEFICE DELL’OPERAZIONE, TANTO DA VOLARE IN PERSONA A TEHERAN PER PRELEVARE LA GIORNALISTA - COSA ABBIAMO PROMESSO ALL’IRAN? È PROBABILE CHE SUL PIATTO SIA STATA MESSA LA GARANZIA CHE MOHAMMAD ABEDINI NON SARÀ ESTRADATO NEGLI STATI UNITI – ESCE SCONFITTO ANTONIO TAJANI: L’IMPALPABILE MINISTRO DEGLI ESTERI AL SEMOLINO È STATO ACCANTONATO NELLA GESTIONE DEL DOSSIER (ESCLUSO PURE DAL VIAGGIO A MAR-A-LAGO) - RIDIMENSIONATA ANCHE ELISABETTA BELLONI: NEL GIORNO IN CUI IL “CORRIERE DELLA SERA” PUBBLICA IL SUO COLLOQUIO PIENO DI FRECCIATONE, IL SUO “NEMICO” CARAVELLI SI APPUNTA AL PETTO LA MEDAGLIA DI “SALVATORE”…