L’UNICO DATO CHIARO DALLE ELEZIONI IN SICILIA E’ CHE LO SCONFITTO E’ MATTEO RENZI - SALLUSTI: “È LA SUA TERZA COCENTE SCONFITTA CONSECUTIVA. A NULLA È SERVITA L'INSANA ALLEANZA CON ALFANO. E’ L'INELUTTABILE TRAMONTO DELL'EX FENOMENO TOSCANO” - ORA IL BULLETTO DI RIGNANO HA DAVANTI A SE' TRE OPZIONI. ECCO QUALI...
1 - RENZI KO, SILVIO C'E’
Alessandro Sallusti per “il Giornale”
È dura. Stamattina sapremo se saranno confermati gli exit poll che danno il centrodestra conquistare la regione Sicilia davanti ai Cinquestelle di Beppe Grillo. Ma se questo risultato rispecchia l'umore nazionale significa che per vincere le prossime elezioni politiche nel centrodestra non possono essere ammessi distrazioni o capricci. Certo, a pensare com'era malconcia la coalizione guidata da Silvio Berlusconi soltanto pochi mesi, fa possiamo parlare di un miracolo che lo porta a sfiorare la fatidica soglia del 40 per cento ritenuta «magica» in chiave di governo nazionale.
Ma comunque in serata un dato è già chiaro: Renzi è il vero sconfitto di questa tornata e neppure se fosse stata unita la sinistra sarebbe stata in grado di competere. Il candidato resta sotto il 20, il Pd attorno al 10, lo stesso risultato dello «scissionista» Claudio Fava.
Ed è la terza, cocente sconfitta consecutiva di Renzi, a cui a nulla è servito mantenere l'insana alleanza con Angelino Alfano che, in casa sua, ha racimolato solo una manciata di voti, prova del nove dell'inutilità di questa compagnia. Come si dice, tre indizi fanno una prova, che in questo caso è l'ineluttabile tramonto dell'ex fenomeno toscano. Beppe Grillo e i suoi avevano investito tanto, direi tutto, su queste elezioni e non ce l'avrebbero fatta.
Oggi troveranno mille scuse e spiegazioni, ma la botta sarebbe di quelle che lasciano il segno: prima sconfitta cocente dell' era del professorino Di Maio. Ma sottovalutare il consenso ottenuto, oltre il 30 per cento, sarebbe comunque un grave errore. E se oggi non governano la Sicilia bisognerà dire grazie a Berlusconi che, a differenza di Renzi, su queste elezioni ci ha messo la faccia e ha saputo con pazienza tenere insieme una coalizione che, soprattutto in quella Regione, si è presentata assai litigiosa al suo interno.
MUSUMECI SALVINI MELONI BERLUSCONI
Se la Sicilia c'è, e se ci saranno come appare molto probabile Lombardia e Veneto, il centrodestra può davvero sperare di arrivare unito al governo del Paese senza bisogno di ricorrere al «piano B», cioè un accordo con Renzi o con il ruotino di scorta Alfano. Ma attenzione, come capita nelle migliori famiglie, l'imprevisto può arrivare solo dentro le mura domestiche.
2 - TERREMOTO TRA I DEM ORLANDO VUOLE GENTILONI RENZI: IL LEADER RESTO IO
Alberto Gentili per “il Messaggero”
«Non credo che attaccheranno la segreteria, non hanno i numeri. Diranno piuttosto che, per battere destra e grillini, serve una coalizione larga e soprattutto che io non sono quello giusto per unire...». Matteo Renzi, appena letti gli exit poll con quella che il responsabile degli Enti locali Matteo Ricci definisce «una sconfitta netta e annunciata», già studia le mosse dei potenziali avversari. In primis Andrea Orlando, Michele Emiliano e «forse» anche Dario Franceschini.
Il segretario non è sorpreso dai dati che rimbalzano da Palermo. Aveva messo in conto la batosta. Non a caso mille volte aveva detto: «I risultati siciliani non hanno valenza nazionale». «E poi», ragionano adesso al Nazareno, «Micari ha superato la soglia del 20%, staccando Fava e l' ha fatto nella terra del 61 a zero per la destra». «Micari ha avuto coraggio, Grasso no», sibila il proconsole siculo Davide Faraone. Peccato che i voti del Pd sarebbero in netto calo. E anche a Ostia è andata male.
L'offensiva contro Renzi è sicura. Orlando l'ha detto chiaro: «Il segretario non è in discussione, ma serve una coalizione e il candidato premier si decide con gli alleati». Concetti accarezzati (con prudenza) anche da Franceschini. Lo schema scelto dagli avversari di Renzi suona più o meno così: per fare «un' alleanza larga» serve «un federatore», qualcuno inclusivo e capace di unire. Il segretario dem è convinto che Orlando & C. abbiano già in tasca, per metterlo in difficoltà, un nome pescato nella cerchia stretta dei renziani doc, un amico fedele e fidato: Paolo Gentiloni.
«E se Bersani dovesse aprire a questa ipotesi», dice un esponente vicino al leader dem, «la soluzione Gentiloni prenderebbe slancio, perché suonerebbe come la conferma che Paolo è in grado di unire il centrosinistra. Ma chi fa le campagne elettorali battendo a tappeto l'Italia? Renzi o Gentiloni? Sicuramente il primo. Anche Monti aveva un grande consenso quand'era al governo, poi però la sua campagna elettorale fu un disastro».
LE TRE OPZIONI
Per affrontare questa minaccia, Renzi ha rivelato ai suoi di avere davanti tre strade. La prima è far finta di nulla (già lunedì prossimo riunirà la Direzione del partito) e dire che il centrosinistra farà come il centrodestra: il premier si decide dopo le elezioni in base a chi prende più voti. Opzione bocciata da Orlando. La seconda, che può essere imboccata dopo la prima: accettare le primarie di coalizione. «Ma cosa le propongo a fare?», ha confidato Renzi, «se chi dovrebbe allearsi vive le primarie come una minaccia in quanto sa che vincerei io? Certo, se si sfilassero potrei dire che hanno avuto paura, ma così la coalizione non decollerebbe».
La terza strada è la più amara, somiglia molto a una via crucis. Non a caso è quella più gradita ai suoi avversari. E' la strada che porterebbe Renzi ad accettare di lanciare Gentiloni come candidato del centrosinistra. Sarebbe però come fare harakiri. Vorrebbe dire archiviare la sua stagione di leader di lotta e di governo. «E credo che debbano essere gli italiani, non degli esponenti di partito», ha confidato il segretario, «a decretare con il loro voto se la mia stagione politica deve essere considerata chiusa».
Insomma, Renzi si prepara a esplorare le prime due strade. Tiene la terza come extrema ratio. La imboccherà solo e soltanto se costretto. Non tanto da Orlando, Emiliano o da Franceschini («il partito lo controllo io»), quanto dai promessi alleati della coalizione in costruzione. Il segretario confida però che il duello tv di domani con Luigi Di Maio possa rilanciare la sua leadership: «E' già una sfida elettorale, ci permetterà di smettere subito di parlare di Sicilia», incrociano le dita al Nazareno.