eugenio scalfari

LAMPI DI EU-GENIO – SCALFARI A RUOTA LIBERA: “INTERNET NON SO COME FUNZIONA E IL CELLULARE PER ME È SOLO UN TELEFONO” – “OGGI I CAPI, COME RENZI, NON HANNO PIÙ DEGLI INTERLOCUTORI, MA GENTE COME LA BOSCHI, CHE SI IDENTIFICA CON LORO E CHE POSSONO USARE”

Attilio Giordano per Il Venerdì – La Repubblica

 

eugenio scalfari e monica mondardinieugenio scalfari e monica mondardini

Eugenio Scalfari,  seduto nel suo studio, guarda i giornali. Li leggi tutti, direttore? «Che vuoi. Devo tenermi informato per lavorare» dice con aria rassegnata. L’allegria, il pianto, la vita (Einaudi) è l’ultimo suo libro. Uno zibaldone, che si muove tra autobiografia, storia, filosofia, poesia e religione. Pensieri sparsi, sotto forma di diario. Accetta, coerentemente, domande sparse.

 

Ma internet lo usi?

«No, non so come si fa. Anche con il cellulare ho un rapporto banale e funzionale: per me è un telefono e niente di più».  

 

Lo scrittore spagnolo Javier Marías ha detto in un’intervista che prima, nel mondo, c’erano tanti imbecilli sparsi. Ora hanno una casa comune: internet. Scalfari ride, è d’accordo?

Non del tutto.

eugenio scalfari  ezio mauroeugenio scalfari ezio mauro

 

Leggendo in L’allegria, il pianto, la vita il tuo ricordo del Mondo di Pannunzio, della miriade di intellettuali, di persone intelligenti che incontravi in quel luogo di formazione, si è colti da un attacco di dolorosa nostalgia. C’erano intellettuali nei media, alla Rai, nel cinema, nelle case editrici, nell’arte, nella politica. Dove sono finiti?

 

«Vedi, allora gli intellettuali erano lo scheletro di tanti poteri. O come consiglieri, ascoltati, o addirittura come protagonisti. Ce n’erano tanti che facevano politica, come Ingrao o La Malfa, o meglio: c’erano tanti politici che erano intellettuali. C’erano intellettuali nel sindacato, nei giornali, tra gli editori. Ovunque c’era un capo che aveva l’ultima parola, ma il processo decisionale passava anche attraverso il contributo degli intellettuali. Che a volte erano ascoltati e potevano modificare le decisioni. A volte no. Ma comunque contribuivano al dibattito e indicavano prospettive diverse».

carlo de benedetti eugenio scalfaricarlo de benedetti eugenio scalfari

 

Certo, se guardi la Rai degli anni Sessanta rimani di stucco: era fatta benissimo. E se pensi a un sindacalista come Carniti, o Lama, prende la tristezza. E oggi?

«Guarda la politica. C’è un capo, uno come Bossi, Berlusconi o Renzi, e intorno non più dei consiglieri, degli interlocutori, ma una schiera di persone che si identificano con lui. E il capo sa che li può usare al suo meglio. Di costoro lui è certo, come accade per Renzi con la Boschi, di altri meno, mettiamo Del Rio. Del Rio, umh, non è poi così sicuro...».

 

Renzi non ti è simpatico.

«È uno di questi nuovi politici che parlano a un’Italia dove, ancora, esiste una plebe che ha bisogni elementari, si accontenta di qualcuno che garantisca di non mettere in discussione lo status quo, che lasci fare. A ognuno il suo piccolo potere a casa sua. Non è più la plebe affamata che esaltava chi garantiva panem et circenses, ma il meccanismo non è diverso. Danno una delega a qualcuno che garantisca piena libertà di soddisfare i loro bisogni. Il partito comunista, tra le poche cose buone che ha fatto, educava il popolo. Ora si attende il partito di centro, partito globale, che non lascia alternative. Questo è lo scenario».

eugenio scalfari a dimartedi da floriseugenio scalfari a dimartedi da floris

 

La plebe antica, quella dei miserabili, era presa per fame.

«Certo, e c’è ancora, ma per fortuna non è comunque quella del passato. Ricordo che, a vent’anni, in un momento di difficoltà familiari, mio padre decise di tornare in Calabria. Ci stetti un anno e mezzo e potei approfondire la mia conoscenza della cultura contadina del Mezzogiorno. Lì il padrone, anche se aveva settant’anni, era u signurinu e i figli i signurineddi. Uomini che, di fronte a una qualsiasi libertà ci si prendesse per una moglie, una figlia, una fidanzata mettevano mano al serramanico, con il signurinu invece erano pazienti. Accettavano tutto. Era colui che li sfamava».

VINCENZO DE LUCA VINCENZO DE LUCA

 

Il Sud di oggi è cambiato?

«Vorrei dire di sì, ma è ancora, a volte, nelle mani di emiri, forse frutto delle antiche dominazioni, gente come De Luca».

 

Nel libro parli del potere e dici che regola il mondo, più dell’amore. Quale è stato il tuo rapporto con il potere?

«Da ragazzo ero fascista, come ho avuto già modo di raccontare. Ero della fazione di Bottai, la più di sinistra nell’equivoco inizio di quel regime. Scrivevo su un giornale del partito».

 

Già scrivevi?

renzi a cernobbio con la boschi nirenzi a cernobbio con la boschi ni

«Era la mia vocazione. Dunque, scrivevo e finii per raccontare di un gruppo di gerarchi che avevano fatto una speculazione su terreni agricoli che sarebbero diventati edificabili. Mi mandarono a chiamare al partito e fui degradato ed espulso. Ricordo chi mi strappò le mostrine: aveva avambracci grossi come le gambe di un uomo normale. Per tre giorni ebbi una profonda depressione. Poi mi ripresi e mi dissi: se a loro non piaccio, vorrà dire che non sono davvero fascista. Mi consolai e divenni antifascista. Fondammo un gruppo piuttosto estremista che si chiamava i Cavalieri della spada».

 

Fu il primo impatto con il potere. E poi da giornalista?

SANDRO PERTINI SANDRO PERTINI

«Ho sempre ricercato rapporti chiari con il potere. Non credo nell’oggettività, neppure in quella della cronaca. La cronaca cambia a seconda da chi guarda e da che parte guarda. Ho sempre trovato onesto dichiararlo e lasciare che l’interlocutore, i lettori, siano avvertiti e poi scelgano».

 

E il tuo potere? Si diceva che, da direttore di Repubblica, facevi e disfacevi ministri...

«Hanno detto anche questo, lo so. Beh, che lo dicessero, in fondo esaltava un po’ il mio ego, il mio Narciso, questo è certo».

 

C’è anche chi dice che il tuo ego, il tuo Narciso, sia un po’ fuori misura.

«Beh, è vero. Lo so, è appena un po’ più grande del normale. Ma è come un cagnone. Riesco a tenerlo al guinzaglio, quasi sempre. In questi giorni, quando Asor Rosa ha scritto sull’Espresso una recensione al mio libro molto gratificante, il cagnone è scappato. Gli ho telefonato e gli ho detto: mi hai fatto scappare Narciso...».

SCALFARI NEL 1939 A SANREMO CON I GENITORI SCALFARI NEL 1939 A SANREMO CON I GENITORI

 

Torniamo al potere. Lo esercitavi con severità, dentro il giornale?

«Avevamo una grande attenzione per il prodotto che facevamo ogni giorno. Se c’era un buco, qualcosa che i concorrenti avevano e noi no, o qualche svarione grave, ritenevo opportuno che il responsabile fosse punito».

 

Erano adulti. Punito come?

«Vedi, se tu chiami chi ha fatto qualcosa di sbagliato e glielo dici, lui, dentro di sé, penserà: vabbè è andata bene. E rifarà l’errore. Se tu pubblicizzi la cosa, lasci un segno. Un segno lo devi lasciare. Io avevo una sanzione orale di deprecazione pubblica per le mancanze poco gravi, una scritta per quelle più gravi e il giro della chiglia per quelle gravissime. Caso raro».

 

EUGENIO SCALFARI NEL 1996EUGENIO SCALFARI NEL 1996

Sì, ne hai parlato. Era mutuato dalle punizioni della Marina inglese. Il colpevole veniva fatto girare intorno alla chiglia, anche sott’acqua.

«Io toglievo una settimana di stipendio e costringevo il reo a venire al giornale, in quella settimana, senza fare nulla. Guardava gli altri, doveva tornare a imparare. A pensarci ora non so se potevo farlo. Ma in fondo ero anche editore».

 

Altri tempi.

«Comunque, in cambio, chiunque poteva intervenire nelle riunioni e dire la sua in libertà. E anche le lodi erano pubbliche. Io ascoltavo e spesso mi è servito. Stimolavo il contraddittorio. Erano riunioni aperte e iniziavano con venti minuti di cazzeggio per disporsi bene alla giornata. Poi c’erano i senatori: scrittori, quei famosi intellettuali, anche qualche politico, che talvolta partecipavano alle nostre lunghe riunioni. Pertini non smise di farlo neanche da Presidente».

EUGENIO SCALFARI NEL 1976 ALLA NASCITA DE LA REPUBBLICA EUGENIO SCALFARI NEL 1976 ALLA NASCITA DE LA REPUBBLICA

 

Veniva?

«No, mi chiamava al telefono all’ora della riunione e io, cortese, dicevo: vuoi che ti richiami dalla mia stanza? Lui replicava: no, no, mettimi in viva voce. E interveniva».

 

Nel tuo libro dedichi molto spazio alla religione. Dichiarandoti, da sempre, un non credente. Sei ateo o agnostico?

«Del tutto ateo. L’ho detto anche al Papa».

 

Che cosa ha risposto?

«Che seguo comunque la predicazione di Cristo, quindi l’anima può essere salva. Io ho detto: ma io non credo nell’anima. E lui: sì, ma ce l’ha».

 

Questo rapporto con il Papa, la religione, del laico Scalfari ha fatto parlare...

EUGENIO SCALFARI E MARIO PANNUNZIO NEL 1957EUGENIO SCALFARI E MARIO PANNUNZIO NEL 1957

«La religione mi ha sempre interessato, non è una cosa legata a Papa Francesco che, comunque, mi ha voluto proprio come interlocutore laico».

 

I tuoi genitori erano religiosi?

«Mia madre moltissimo, mio padre a modo suo. Comunque sì, lo erano».

 

E tu?

«In Liguria, crescendo, mi liberai dalle influenze familiari, mettendomi a camminare da solo. Anzi, con il mio gruppo di amici tra i quali c’era Italo Calvino. Una sera si pose la questione di Dio e, credo lui, propose di metterci alla ricerca di questo dio, per verificare se c’era o no. Un viaggio vero, una ricerca come quelle dei cavalieri antichi».

 

Come iniziò, il viaggio?

GIORGIO BOCCA EUGENIO SCALFARIGIORGIO BOCCA EUGENIO SCALFARI

«Intanto decidemmo di dargli un nome. Per cercarlo ne occorreva uno. Decidemmo tutti insieme di chiamarlo Filippo. Putroppo si era nel 1942, la guerra con tutta la sua violenza finì per interrompere il nostro viaggio alla ricerca di Filippo che, comunque, molti continuarono per loro conto».

 

Qual è la tua idea?

«Credo che Dio sia una costruzione degli uomini. Non esiste semplicemente perché siamo noi ad averlo inventato».

 

Lo hanno inventato cristiani, ebrei, musulmani, induisti e così via?

«Che siano in molti a credere non cambia le cose».

MAGRI AMENDOLA E SCALFARI MAGRI AMENDOLA E SCALFARI

 

A proposito di ebrei – e questa è una digressione vera – nel libro scrivi che invecchiando ti succedono tante cose. La più importante è che il futuro perde importanza, prospettiva. Una collaterale è che vai sempre più somigliando a tua madre. Mi è venuto in mente che Orson Welles sosteneva che, in vecchiaia, gli ebrei più affascinanti somigliavano sempre più alle loro madri.

 

«Pensa che io un po’ di sangue ebreo ho scoperto di averlo. Da parte della nonna materna, che pure era cristianissima e teneva Don Bosco sul comodino. Eppure, anche se all’inizio non ci credevo, ho avuto prova che la sua famiglia era ebrea, lo era ancora in parte, per esempio i  suoi cugini, ed era una di quelle famiglie di ebrei detti marrani, coloro che dichiaravano di essere cristiani durante le persecuzioni antiche. Forse, dunque, non è poi così strano che vada somigliando a mia madre».

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