“LI ABBIAMO AVVISATI DI UN IMMINENTE ATTACCO DI MOSCA, MA NON CI HANNO ASCOLTATO” – SEGNALI DI SCREZI TRA WASHINGTON E KIEV DOPO CHE BIDEN HA TIRATO LE ORECCHIE A ZELENSKY, ACCUSANDOLO DI NON AVER ASCOLTATO L’ALLARME DEI SUOI 007. IMMEDIATA LA RISPOSTA DEL PORTAVOCE DEL PRESIDENTE UCRAINO CHE SI È LAMENTATO PER LA MANCATA ATTUAZIONE DI SANZIONI PREVENTIVE. MA COSA C’È DIETRO QUESTA TENSIONI TRA ALLEATI? IN QUESTI MESI SONO CAMBIATI I PARAMETRI CHE FANNO DA SFONDO ALL'IMPEGNO A FAVORE DI KIEV VISTO CHE…
Flavio Pompetti per “Il Messaggero”
Segnali di screzi tra Washington e Kiev nelle ultime ore. Il presidente degli Usa, Joe Biden, durante una serata di raccolta di fondi elettorali a Los Angeles è tornato a parlare dei giorni che hanno preceduto l'invasione russa lo scorso febbraio, quando gli Stati Uniti lanciavano messaggi di allarme per quello che prevedevano sarebbe avvenuto di lì a poco, e il governo ucraino li rimproverava di stare seminando tensione pericolosa.
«Calmiamoci, e facciamo un lungo respiro profondo», aveva detto a proposto Zelensky in una nota pubblicata sul sito web governativo. Era fine gennaio. Il 18 febbraio, con il consiglio per la sicurezza internazionale ancora aperto a Monaco, Biden aveva rilanciato l'appello: «Pensiamo che l'attacco al Paese, a cominciare dalla capitale Kiev, sia imminente. Potrebbe accadere nella prossima settimana, o anche solo tra pochi giorni».
LE INFORMAZIONI «Eravamo in possesso di informazioni solide di intelligence e le abbiamo condivise anche con il governo ucraino ha ricordato Biden ma non ci hanno voluto ascoltare». Stizzita è la replica del portavoce presidenziale ucraino, Sergei Nikiforov: «Abbiamo avuto tre o quattro conversazioni su quel tema in quei giorni, per cui la frase va forse chiarita. Inoltre noi in quella fase chiedevamo agli alleati un pacchetto di sanzioni preventive che convincessero Mosca a ritirare le sue truppe e ridurre la tensione. E su questo punto sappiamo bene che gli alleati non ci hanno voluto ascoltare».
Lo scambio di messaggi è significativo, perché sembra incrinare l'intesa per la sconfitta della Russia che l'amministrazione Biden ha annunciato di voler perseguire lo scorso 19 aprile, con l'inizio della battaglia del Donbass. Un alleato che è pronto a sostenere lo sforzo bellico del paese aggredito, non ha certo interesse ad aprire un fronte di recriminazioni sul processo che ha portato all'inizio della guerra. Questa contraddizione è però ben visibile a Washington, dove il termine sconfitta ha valenze diverse per diversi settori dell'apparato governativo e dello spettro politico. Nel breve spazio degli ultimi due mesi gli Stati Uniti hanno vissuto cambiamenti radicali nei parametri che fanno da sfondo all'impegno a favore dell'alleato ucraino.
L'INFLAZIONE L'inflazione è cresciuta al punto di far temere l'inizio di un nuovo periodo di recessione e il costo dell'energia, impazzito con la guerra, ha un ruolo centrale nel paniere dei beni che spingono l'aumento dei prezzi.
Fare i conti con questa emergenza tocca al governo e al partito democratico che lo guida, il quale deve aggiungere l'incubo della recessione ai tanti timori che già aleggiano sul voto di metà mandato, il prossimo novembre. È dall'amministrazione che infatti si sono levate in tempi recenti diverse voci, come quella del direttore della Cia William Burns, di nuovo preoccupato dal fatto che, messo all'angolo nella campagna militare, Vladimir Putin potrebbe essere tentato di ricorrere alle armi atomiche.
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Al Senato, la direttrice della intelligence nazionale Avril Haines ha detto di recente che la situazione di stallo in Ucraina sta aprendo la porta a sviluppi «imprevedibili, potenzialmente escalatori».Il New York Times ha offerto una sponda al ripensamento strategico con un editoriale, che chiedeva quali sono gli obiettivi realistici di questa guerra. Il fronte politico ha mostrato forte compattezza in occasione dell'ultimo voto sul finanziamento degli aiuti militari e non a Kiev.
Ma nel dibattito è emersa tra i conservatori una fronda di stampo America First che è destinata a rafforzarsi nei prossimi mesi in chiave elettorale, e della quale il senatore floridiano Marco Rubio sembra ben contento di prendere la testa. In questo quadro la sconfitta di Putin nella lettura di Washington potrebbe anche non maturare sul campo, ma essere forzata ad un tavolo di negoziato al quale la Russia arriverebbe stremata militarmente e quasi asfissiata nei fondamentali dell'economia.
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