MAI ‘NA GIOIA (TAURO) - ARRIVANO LE ARMI CHIMICHE SIRIANE, E I SINDACI SI RIBELLANO: “LE PORTANO QUI PERCHÉ SIAMO UNA REGIONE POVERA” - MA IL CARICO NON TOCCHERÀ MAI TERRA
1. GIOIA TAURO IN RIVOLTA: “NO AI VELENI” ARRIVA DOMANI IL CARGO CON LE ARMI PROIBITE. IL SINDACO: DECIDONO PER NOI PERCHÉ SIAMO UNA REGIONE POVERA
Grazia Longo per “La Stampa”
Doveva essere l’occasione occupazionale simbolo del riscatto calabrese, è diventato sinonimo di rischio per l’ambiente e per la vita di chi abita qui.
nave cape ray che smaltira le armi chimiche siriane
Il porto di Gioia Tauro è un gigante ferito, come ferita è la gente in allarme per il trasbordo delle armi chimiche dal cargo danese Ark Futura alla nave statunitense Cape Ray. Stamattina arriverà quest’ultima, sulla quale nel pomeriggio dovrebbe salire per un sopralluogo il ministro degli Esteri Federica Mogherini. Domani all’alba, invece, farà il suo ingresso nel porto quella che per tutti è la nave dei veleni.
E stavolta i venti di protesta sembrano più forti della paura che spesso non trova voce in questo angolo di profondo Sud. «La gente non ne può più e non è affatto vero che siamo rassegnati» esordisce Domenico Madafferi, sindaco di San Ferdinando, capofila dei primi cittadini dell’area, tanto più che Gioia Tauro è stata commissariata dopo una crisi di giunta per il bilancio. «Non abbiamo neppure certezza sul materiale trasportato dalla nave - prosegue Madafferi -. C’è chi parla dei gas Iprite e Sarin, dagli effetti mortali, chi addirittura sostiene che il carico comprenda armi intere pronte per l’uso».
DOCUMENTO MINISTERO DELLA SALUTE SU ARMI CHIMICHE SIRIANE
Ai timori, si sovrappone la rabbia per la cattiva informazione. Ancora il sindaco: «Ci fanno piovere tutto sulla testa solo perché apparteniamo a una regione povera, non ci hanno neanche comunicato il contenuto della lettera di accompagnamento del carico». A titolo cautelativo, sul sito web del Comune di San Ferdinando c’è l’aggiornamento del piano di Protezione civile nel caso di incidenti da sostanze chimiche.
L’urbanista Pino Romeo, portavoce del comitato ecologico «Sos Mediterraneo», va giù ancora più pesante: «La verità è che la Calabria è l’anello debole dell’Italia. E comunque l’errore è stato commesso a monte: Norvegia, Francia e Albania hanno rifiutato l’operazione, noi no». Il dubbio più atroce, inoltre, è quello «del trasporto di armi complete. Se fosse davvero un’operazione di routine, come è stata spacciata, non ci sarebbe stata tutta la mobilitazione di tante forze di sicurezza».
E mentre i parlamentari grillini annunciano battaglia «nonostante le minacce subite sulla Rete», il comitato «NoArmy Chimiche» ha tappezzato i paesi della Piana di Gioia Tauro, con un manifesto in cui lancia l’allarme sui rischi connessi all’operazione. Ma, polemiche a parte, la macchina amministrativa per la sicurezza - di supporto a quella tecnica - è avviata. Stamattina si insedierà il centro di monitoraggio e controllo permanente, convocato dal prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino. Ne fanno parte, oltre agli esponenti degli Enti locali e di tutte le forze dell’ordine, anche rappresentanti del ministero degli Affari Esteri e i tecnici dell’Ispra.
2. UN LAVORO DI SEI MESI - MA I COMPONENTI NON TOCCHERANNO TERRA
Paolo Mastrolilli per “La Stampa”
VITTIME DELLE ARMI CHIMICHE IN SIRIA
Un’operazione che durerà circa sei mesi, e si concluderà con l’incenerimento delle scorie in Gran Bretagna, Germania e forse Danimarca. Questo è il percorso previsto dalla Opcw per la distruzione delle armi chimiche siriane, che domani compirà il primo passo, in teoria il meno pericoloso, nel porto di Gioia Tauro.
In base all’accordo raggiunto da Damasco con l’Onu e l’organizzazione basata all’Aja, il regime ha consegnato circa 1.300 tonnellate di sostanze tossiche, in ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista. Le armi sono state trasferite dai circa ventdepositi all’interno del paese nel porto di Latakia, dove sono state caricate su due navi scandinave. Per diversi mesi hanno aspettato in mare che la consegna fosse completata, ma domani arriveranno a Gioa Tauro per l’appuntamento con la nave militare americana Cape Ray, dove i materiali verranno distrutti utilizzando il Field Deployable Hydrolisis System.
La parte italiana dell’operazione riguarda solo il trasferimento dei materiali. Le armi sono arrivate a Latakia nei loro contenitori originali, che dovrebbero essere stati ispezionati per confermarne la natura e la quantità. A quel punto sono state trasferite dentro altri contenitori, usando la procedura del triple jacket. In pratica ogni sostanza è stata custodita con tre strati di protezione. I materiali erano di circa trenta tipi diversi, dal sarin all’iprite, e quindi hanno subito trattamenti differenti, suddividendo le quantità troppo ampie. Una volta sistemati tutti nei loro fusti, hanno cominciato il viaggio verso l’Italia.
Il trasferimento avverrà senza depositare le sostanze sul nostro suolo, da nave a nave, ma è probabile che venga impiegato un molo considerato internazionale. I contenitori non saranno aperti, e quindi il rischio più alto che corriamo è solo la possibilità di un qualche incidente meccanico, che ne faccia cadere uno. In questo caso esistono procedure di emergenza diverse a seconda della sostanza, per evitare la contaminazione dell’ambiente e proteggere il personale impegnato nell’operazione.
Una volta completato il trasferimento, la Cape Ray lascerà Gioia Tauro per andare nel mezzo del Mediterraneo a procedere con la distruzione dei materiali. Il metodo usato sarà l’idrolisi ad alta temperatura, con l’uso di catalizzatori. Le sostanze chimiche verranno inserite nel Filed Deployable Hydrolisis System, che le degraderà attraverso l’acqua calda ad alta pressione. Per capire questo processo bisogna immaginare che le armi sono costituite da diversi materiali, uniti come i mattoncini del lego. Lo scopo non è solo quello di separare i mattoncini, cioè le molecole, ma di romperli, in modo che non possano essere ricostituiti.
Le scorie generate non avranno più le caratteristiche distruttive delle armi, ma saranno ancora acide e tossiche. A quel punto quindi comincerà un altro viaggio, sempre via mare, che le condurrà al porto di Ellsmere, in Gran Bretagna, e in Germania. Anche la Danimarca e altri paesi si sono offerti di aiutare questo ultimo passaggio, che dovrà ulteriormente degradare le sostanze. Verranno trasportate negli inceneritori, per eliminarle in maniera definitiva.
L’intera operazione, dal trasferimento che comincerà domani a Gioia Tauro, fino alla distruzione finale delle ultime sostanze, richiederà tra quattro e sei mesi di tempo. Attività simili sono già state condotte in passato e le misure di sicurezza sono sperimentate. La parte che avverrà in Italia in teoria è la meno delicata, perché si tratterà solo di effettuare un trasferimento dei contenitori, senza aprirli.
Una operazione di questo genere poteva avvenire anche in mare, ma sarebbe stata più rischiosa. Quindi è stata preferita la sicurezza del riparo offerto da un porto. Partecipare al processo internazionale per la distruzione delle armi chimiche di Assad, però, darà al nostro Paese dei meriti politici evidenti, che assumono ancora più importanza alla luce di quanto sta succedendo in Siria e in Iraq.