INCALZA A PENNELLO – IL MANAGER BURCHI SVELA AI MAGISTRATI I SEGRETI DI UN SISTEMA DI POTERE INFALLIBILE, CHE SMAZZAVA TUTTI I GRANDI APPALTI – UNDICI ORE DAI PM E HA APPENA COMINCIATO
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
È rimasto di fronte ai pubblici ministeri per undici ore. E non ha finito. Giulio Burchi, l’ex presidente di Italferr indagato nell’inchiesta di Firenze, collabora con i magistrati. Ammette l’esistenza del «sistema» guidato da Ercole Incalza, spiega che «in alcuni casi non c’era neanche bisogno di parlare, tutti sapevano come funzionava il ministero delle Infrastrutture, quali erano le persone che decidevano nomine e appalti». Circostanze che lui stesso aveva più volte lamentato tanto da annunciare «un dossier che porterò alla Serracchiani».
A leggere le trascrizioni delle telefonate si comprende che Burchi e Incalza non erano certamente amici. Ma, come spiegano gli stessi rappresentanti dell’accusa nella richiesta di custodia cautelare, tra i due c’erano motivi di rivalità. E infatti scrivono: «Benché in numerose conversazioni Burchi non perda occasione per stigmatizzare il rapporto illecito esistente tra Incalza Ercole e Perotti Stefano, è un soggetto perfettamente inserito nel sistema di illiceità.
Non a caso, commentando le notizie di stampa relative all’indagine della Procura milanese a carico di Acerbo Antonio sull’Expo in relazione alle consulenze da questi procurate al figlio, in un contesto di scambio di favori favorito da un sistema privo di regole, ammette di aver fatto anche lui “qualche compromesso” e ad afferma “i soldi che ho guadagnato a stare in questo Paese di m... deregolarizzato. Non li avrei mai guadagnati in Inghilterra o in America”».
Sulle dichiarazioni di Burchi sono stati già avviati nuovi controlli affidati ai carabinieri del Ros. E riguardano anche le nomine e i favori che lui stesso avrebbe agevolato, anche per conto dei suoi amici come l’ex tesoriere dei Democratici di sinistra, il pd Ugo Sposetti.
Gli inquirenti vogliono pure ricostruire il percorso dei soldi, scoprire dove sia finita quella contropartita dell’1 per cento ottenuta dalle aziende alle quali venivano assegnati i lavori delle grandi opere e che dovevano — questa secondo l’accusa la regola principale imposta da Incalza — nominare il suo amico e socio Perotti direttore dei lavori.
Una cifra che, questa è l’ipotesi, si aggira sui 250 milioni di euro. Per farlo hanno disposto verifiche in Svizzera, lì dove la famiglia Perotti aveva conti aperti e dove vive il padre di Stefano Perotti. Nel corso delle perquisizioni effettuate lunedì scorso sarebbero state trovate alcune buste con decine di migliaia di euro in contanti. Traccia minima di un «tesoro» che si stima essere ben più consistente.