MATTEO SFANCULA MATTARELLA E FA IL SOLITO GANASSA (“IL G7 DI TAORMINA LO PRESIEDO IO, DOPO ELEZONI IN APRILE''), MA PERDE I PEZZI DENTRO IL PD – FRANCESCHINI NON CI STA AL VOTO ANTICIPATO E CON LUI PURE ORLANDO – NELL’APPLAUSOMETRO, MINNITI SCAVALCA IL DUCETTO DI RIGNANO – E NESSUNO HA IL CORAGGIO PER SFIDUCIARE GENTILONI
Fabio Martini per la Stampa
A Rimini Matteo Renzi si è ridato la parola dopo un mese e mezzo di silenzio audio-video, ma curiosamente non ha detto una sola parola sulla questione più attesa, le elezioni anticipate. Il segretario ha delegato il suo pensiero al presidente del Pd e al capogruppo dei deputati, che sono tornati ad invocare un «dentro o fuori» nel giro di pochi giorni. Per poter votare in primavera, possibilmente ad aprile. Un ultimatum per interposta persona, ma Renzi ci crede. Come ha confidato in queste ore ai suoi fedelissimi: «Votare ad aprile si può e a quel punto il G7 di Taormina lo presiedo io».
Avere mission chiare e perseguirle con tenacia è sempre stata una delle prerogative del Renzi «vincente». Stavolta, tra lui e le elezioni ad aprile, ci sono di mezzo diversi ostacoli, non tutti insormontabili, ma neppure trascurabili. Il primo è il più importante: per poter indurre il presidente del Consiglio in carica a dimettersi, Renzi deve poter contare su un Pd compatto e la novità, la vera «notizia» di questi ultimi giorni è che sullo scenario del blitz è entrata in crisi la «maggioranza renziana». Il cartello che sinora ha sostenuto Matteo Renzi si è quantomeno incrinato.
Al netto delle minoranza (Bersani, D' Alema, Cuperlo, Speranza), nella Direzione del Pd Renzi ha sempre nettamente prevalso grazie al sostegno di una maggioranza formata da tre componenti: i renziani (della prima e della seconda ora), gli ex popolari di Franceschini e Fioroni, gli ex Ds di Orlando, Martina, Orfini. Ebbene in tutte e tre le aree della maggioranza si registrano dissociazioni dalla linea della «fretta». Alcune esplicite, altre espresse in colloqui diretti con Renzi, altre covano in silenzio, in attesa di vedere come «butta».
Nell' area ex Ds il ministro di Grazia e giustizia Andrea Orlando, in una intervista al «Corriere della Sera», ha espresso dubbi su uno scioglimento anticipatissimo. Tra gli ex popolari, il ministro Dario Franceschini, ben prima che si conoscesse la sentenza della Consulta, si era smarcato, auspicando una legge elettorale di impianto proporzionale e un dialogo con i moderati del centro-destra. Ed è da questa area che possono arrivare i grattacapi più seri per Renzi: sono loro quelli che hanno il rapporto più «naturale» col Capo dello Stato, che ha pubblicamente auspicato norme elettorali non difformi per Camera e Senato.
Ma per i popolari c' è anche un problema di «cucina» interna: senza un accordo soddisfacente sulle liste elettorali, gli ex Ppi potrebbero presentare un proprio candidato ad eventuali primarie per la leadership. Tutte procedure e rituali che richiedono tempo. E anche tra i renziani della primissima ora aumentano i dubbi. Matteo Richetti, nella intervista a «La Stampa»: «Non cediamo alla demagogia di Grillo e Salvini anche su questo: dobbiamo dirlo che andando a votare c' è un grave rischio paralisi».
Una posizione che sinora non è stata condivisa da Graziano Delrio, che di Richetti è amico, ma in caso di «redde rationem», in tutto il Pd potrebbero incrinarsi antiche certezze. Come conferma l' iniziativa potenzialmente scissionista di Massimo D' Alema e la richiesta del governatore della Puglia Michele Emiliano di congresso Pd. Un messaggio in codice: se Renzi rompe, potrei rompere anche io.
Ma poi resta il problema più grande per Renzi: come sfiduciare Paolo Gentiloni? Il presidente del Consiglio, in pubblico e in privato (anche ieri) mantiene la stessa linea: mi rimetto a quel che decide il Parlamento. Persino lo sgarbo di Renzi, ignorare il governo nel suo intervento riminese, non ha lasciato tracce. Certo, il «partito del governo» si sta rafforzando.
Non è sfuggito agli amici di Renzi quanto è accaduto a Rimini alla kermesse degli amministratori locali: il ministro dell' Interno Marco Minniti, senza mai toccare temi politici, alla fine è stato salutato da una standing ovation e da un applauso superiore a quella di tutti gli interventi precedenti. Nessuno escluso.