MELONI AL BIVIO: LA SVOLTA MODERATA PUÒ FARLA DECOLLARE (O SGONFIARE) - ORA CHE IL CAPITONE SI È RICHIUSO NEL SUO ORTICELLO NO-EURO NO-MIGRANTI, È LEI A CRESCERE NEI SONDAGGI E A PRENDERSI L'ELETTORATO DELUSO DALLE GIRAVOLTE GRILLINE E SPAVENTATO DALL'INTRANSIGENZA SALVINIANA - SOLO CHE TEME DI FARE LA FINE DI FINI: A FORZA DI CORTEGGIARE IL CENTRO E LA SINISTRA, FINIRE ABBANDONATA DAL SUO ELETTORATO
Federico Geremicca per ''La Stampa''
Chi la conosce bene dice che non lo farà mai. Chi la conosce meglio sostiene che però ci pensa: soprattutto quando quell'altro - e quell'altro è Salvini - fa il furbo o il prepotente. Tra gli uni e gli altri, cioè in mezzo, ci sono quelli che ne sanno meno e si limitano ad osservare. Sono piuttosto concordi: se Giorgia appena appena corregge la sua rotta, per amici e avversari sono altri guai. Giorgia è Giorgia Meloni, naturalmente, la regina dei sondaggi, leader più che divisivo ma in ascesa costante: da mesi succhia voti alla Lega, quasi quanto la Lega ne succhiò ai Cinquestelle al tempo dell'epopea gialloverde.
La correzione, invece, è più difficile da sintetizzare: diciamo, per capirci, una sorta di "Fiuggi due", per intendere la svolta con la quale Gianfranco Fini mutò il Movimento Sociale in Alleanza nazionale, aprendo alla destra la via verso il governo. Una svolta moderata, dunque. Che non sarebbe una bestemmia, in fondo, ma che ieri la leader della destra - in una intervista al direttore di Libero - ha liquidato così: «La moderazione in Italia è sinonimo di inciuci, termine dal quale rifuggo». Troppo banale per essere vero. Più concretamente, Giorgia Meloni, teme quello che definisce «il trappolone» e crede - o dice di credere - che con gli appelli alla moderazione si tenti solo di metter zizzania nel centrodestra, per spingere lei e Salvini alla rottura. Può essere, naturalmente.
Anzi, per certi versi è sicuramente così. Ma se invece la svolta avesse un senso comunque e potesse funzionare? Alle elezioni politiche del 1992 - le ultime con un sistema interamente proporzionale - il Movimento Sociale di Fini ottenne il 5,3%; due anni dopo, Alleanza nazionale salì al 13,4. Sì, poi andò come andò, è vero: ma fu colpa più di una casa comprata a Montecarlo che di una svolta battezzata nelle acque di Fiuggi...
D'altra parte, è certo che le svolte politiche, le rifondazioni - dettate quasi sempre da eventi esterni o ambizioni personali - abbiano un senso e lascino un segno, quando compiute al momento giusto. Bettino Craxi prese il Psi del vecchio De Martino e lo forgiò, facendolo crescere, a sua immagine e somiglianza; e Occhetto, quindici anni più tardi, seppellì il PCI dando però vita ad una nuova storia. E del resto: cos' è quella varata da Matteo Salvini, che lascia definitivamente il recinto del nord per cercar voti al Sud, proprio tra i seguaci di Giorgia Meloni?
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI SELFIE IN PIAZZA
La leader di Fratelli d'Italia teme trappoloni, ma non è colpa della sinistra se tra lei è il «caro Matteo» è cominciata una violentissima guerra sorda. Sfide a volte aperte (sui candidati-presidente delle prossime regionali, per esempio), più spesso provocazioni sotterranee e prese di distanze. Un interessante studio di Ilvo Diamanti (su Repubblica di ieri) fissa in maniera inequivoca l'inizio delle ostilità: settembre dell'anno scorso, all'indomani della caduta del governo gialloverde. Allora il rapporto tra i due partiti era di 32,5 contro 6,5: oggi, sempre stando ai sondaggi, sarebbe 25,2 a 14,3. Tutta un'altra storia, ormai è evidente.
È per questo che molti (che le vogliono bene? che le vogliono male?) la spingono a provarci, a svoltare e ad ampliare il potenziale di voti raggiungibili. Certo, vorrebbe dire chiudere definitivamente con un mondo (quello del fascismo nostalgico o ancora militante) così come a sinistra si chiuse con una storia finita malamente. Via i simboli, le mani tese, le cene nere e le contiguità con troppa tolleranza verso violenze fisiche e verbali: andrebbe fatto anche senza svolte. Può Giorgia Meloni? O meglio ancora: ha voglia di provarci? Il carattere e il coraggio non dovrebbero mancare a questa donna che - comunque la si pensi - si è "fatta da sola" in un mondo di maschi spesso avvezzi, in quegli anni, al manganello.
VIGNETTA VAURO - SALVINI E LA CRESCITA DI GIORGIA MELONI
Quindicenne e già nel Fronte della gioventù in un quartiere "rosso" come la Garbatella; barista al Piper e babysitter in casa Fiorello (raccontano le cronache) per mantenersi agli studi; ministro con Berlusconi a 31 anni e leader del suo partito a meno di quaranta. Il coraggio dunque non può entrarci. C'entra, forse, la paura del «trappolone». O qualcosa di più sottile, quasi una fragilità, un timore inedito, un tarlo che anche nella vita di tutti i giorni può segnare a fondo: quello di non essere accettati. E dunque alla malora e avanti così.
Colpiva molto, ieri - in mezzo ad attacchi e a molta durezza - un passaggio dell'intervista concessa a Libero, non atteso e forse nemmeno dovuto: «La cosa che mi dà più fastidio non sono le prese in giro, ma il fatto che la sinistra non mi riconosca mai l'onore delle armi. Sempre a darmi della borgatara, della incompetente, di quella che non sa di cosa parla. Invece a me pare di aver mostrato in questi anni molta più competenza di certi governanti».
Una crepa. Uno sfogo. Addirittura - se sincera - una concessione alla debolezza. Che magari sarà considerata poco opportuna per una leader tanto in vista: a riprova, in fondo, del misero stato cui è giunta la battaglia politica in un Paese incattivito e alla deriva. - 1- Continua
giorgia meloni e la caprese 12giorgia meloni 1giorgia meloniGIORGIA MELONI COL GATTOgiuseppe conte con giorgia meloni atreju 2019 2