LA MELONI? NON E’ POPOLARE, NE’ POPULISTA, E’ “POPOLANA” (BERGOGLIO DIXIT) – PER CAPIRE IL CONSENSO DI CUI GODE LA DUCETTA, OLTRE ALLA LINGUA CHE PARLA, BISOGNA INDAGARE IL SUO APPROCCIO RUVIDO, DA REGINA DELLA GARBATELLA. LO HANNO SPERIMENTATO BIDEN, TRUDEAU, MACRON E TRUMP - NONOSTANTE I SONDAGGI LE DIANO RAGIONE, LA SORA GIORGIA SA QUANTO SIA EFFIMERA LA DURATA DEL CONSENSO. RACCONTANO CHE LA PREMIER ABBIA CONTEZZA DELL’INSODDISFAZIONE CHE MONTA TRA LE IMPRESE, DELLA LORO RICHIESTA PER UN PIANO DI POLITICA INDUSTRIALE… - VIDEO
Francesco Verderami per il "Corriere della Sera" - Estratti
Populista o popolare? No. Secondo papa Francesco «Meloni è popolana».
E quel tratto di «genuinità e schiettezza» che piace al Pontefice — sempre generoso di complimenti verso «Giorgia» — è lo strumento con cui la premier ha impostato le sue relazioni internazionali.
È un atteggiamento di cui si è servita anche nelle scorse settimane, durante la trattativa per la liberazione di Cecilia Sala, quando ha dovuto rivolgersi al vecchio e al nuovo presidente degli Stati Uniti.
Con entrambi vanta ottimi rapporti personali oltre che politici. Perché è vero che aveva tifato per il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ma il giorno in cui seppe che Biden avrebbe lasciato il passo a Kamala Harris, Meloni confidò a un ministro: «Il vecchio Joe ci mancherà». Fu un sincero moto d’affetto in ricordo di una relazione che era iniziata in modo ruvido.
Nel corso del loro primo incontro, infatti, il presidente americano accennò al tema dei diritti civili in Italia, suscitando la reazione della premier: «Abbiamo mai detto niente sul fatto che avete ancora la pena di morte?».
È con lo stesso spirito «aggressivamente spinto» che — secondo il New York Times — Meloni ha chiesto collaborazione a Trump, pur di strappare la giornalista italiana dalle carceri iraniane. È difficile stabilire se l’approccio sia stato populista, popolare o «popolano».
È certo che una volta — per spiegare il suo modo di fare — la premier disse: «Sono collaborativa con tutti e se posso sono pronta a dare una mano a chiunque. Ma se mi rispettano è perché parlo chiaro».
All’apparenza il suo metodo si discosta dai canoni della diplomazia tradizionale. In realtà lo ha adottato per parare certi colpi bassi.
Accadde per esempio nel 2023 al G7 che si teneva in Giappone, quando il premier canadese Justin Trudeau — al termine di un bilaterale — colse di sorpresa Meloni: «Siamo preoccupati per la linea che l’Italia sta assumendo sui diritti Lgbt». Tema che peraltro non era stato affrontato nel colloquio. Il giorno dopo — come raccontano gli sherpa — la presidente del Consiglio entrò come una furia nella sala della riunione plenaria e al cospetto di tutti rovesciò davanti a Trudeau il pacco della rassegna stampa: «Ti sei permesso di lanciarmi un’accusa infondata. Aspetto le tue scuse». Trudeau si scusò. E lo fece anche al G7 successivo, ricevendo in cambio il sorriso di «Giorgia»: «Non è che me le devi fare ogni volta che ci vediamo. Basta una».
Così, un vertice dopo l’altro, in Europa come in giro per il mondo, Meloni ha smentito la profezia secondo la quale sarebbe stata destinata all'isolamento internazionale. Anche con Emmanuel Macron, «non è vero che siamo cani e gatti», per quanto all’ultimo G7 — quello organizzato in Puglia — i francesi provarono a rompere il clima di concordia con la polemica sull’assenza del diritto all’aborto nel documento conclusivo. È famosa l’occhiataccia con cui «Giorgia» squadrò l’ospite che stava salutando Sergio Mattarella.
Ma solo un diplomatico fu testimone di quanto accadde alla fine della cena di gala, quando la premier affrontò il presidente della Francia: «Se vuoi sfidarmi con le armi della politica io sono pronta».
Tutto risolto. Di più. Ora che viene definita la leader più potente d’Europa, Meloni è consapevole che la debolezza di Parigi e Berlino potrebbe minare l’Unione fin nelle sue fondamenta. E lei non trarrebbe alcun vantaggio a primeggiare sulle macerie del Vecchio Continente. Forse la populista è diventata popolare. O forse è la «popolana» che si muove in modo pragmatico.
Ma se c’è un’etichetta che (per ora) la induce a reagire, è quando si sente dare della democristiana. Sarà un riflesso d’antan. Sarà che ogni qualvolta Raffaele Fitto le dice «diventerai democristiana» lo manda a farsi benedire. O sarà che da premier sente dentro di se avanzare il processo di mutazione genetica.
Chissà. Sta di fatto che un giorno il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa le ha dato un consiglio: «Giorgia, dovresti essere un po’ democristiana». E lei di scatto: «Più di quello che sono diventata?».
GIORGIA MELONI - CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO - 9 GENNAIO 2024 - FOTO LAPRESSE
(..) Ma nella quotidianità dell’azione di governo torna a prendere il sopravvento la sua parte «popolana» se non popolare. Perché, nonostante i sondaggi al momento le diano ragione, sa quanto sia caduca la durata del consenso e sa che ciò che è stato fatto non basta a fronte delle esigenze del Paese.
Raccontano per esempio che la premier abbia contezza dell’insoddisfazione che monta tra le imprese, della loro richiesta per una politica industriale che dia vita a un vero e proprio piano nazionale. «Si aspettano che sia lei a prendere in mano il dossier», spiega un autorevole ministro. Sono segnali che chi sta a palazzo Chigi coglie. A prescindere se sia populista, popolare o «popolana». Che poi, secondo Ignazio La Russa, «Giorgia è tutte e tre le cose».
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