LA CANCELLIERA CANCELLA YULIA – LA PARTITA DOPPIA DELLA MERKEL: GELO SULLA TIMOSHENKO (‘HA GIA’ SPRECATO LA SUA CHANCE E POI DIVIDE TROPPO’) E DIALOGO SEMPRE VIVO CON PUTIN – BERLINO SA BENE CHE NON SI PUÒ PARLARE DI UCRAINA SENZA COINVOLGERE LA RUSSIA

1. IL DOPPIO FRONTE DELLA MERKEL - GELO CON YULIA, DIALOGO CON PUTIN
Tonia Mastrobuoni per ‘La Stampa'

«Benvenuta nella libertà», le ha detto. Offrendosi anche di ospitarla in Germania, per consentirle di curarsi quei lancinanti mal di schiena che la costringono alla sedia a rotelle, come si è visto nelle immagini di Maidan.

Ma il resto della telefonata di domenica tra Angela Merkel a Yulia Timoshenko, dopo la liberazione della «pasionaria» ucraina e il suo acclamato passaggio nella piazza più famosa di Kiev, è stata tutt'altro che euforica. Anzi, fonti Cdu parlano di un colloquio «teso», durante il quale la cancelliera avrebbe invitato l'eroina della «rivoluzione arancione» a impegnarsi per garantire la coesione dell'Ucraina.

Merkel l'avrebbe invitata esplicitamente a occuparsi anche dei cittadini della parte orientale, filorussa del Paese.Il fatto è che a Berlino non sono piaciute affatto le prime parole alla piazza dell'ex capa della rivoluzione arancione, quelle accuse contro una parte dell'opposizione che si sarebbe mostrata troppo debole verso Yanukovich e la sua apparente noncuranza rispetto allo spettro agghiacciante della scissione che si sta allungando sul Paese.

Merkel avrebbe insistito molto sull'unità dell'Ucraina con la leader, che tuttavia sembra già in piena campagna elettorale per le presidenziali. Inoltre l'idea diffusa, a Berlino, è che Timoshenko (che pure il 6 marzo andrà al congresso del Ppe) abbia già avuto la sua occasione e che l'abbia sfruttata male, non riuscendo da premier a fermare la china del Paese verso la bancarotta. «Non è trasparente e divide troppo», sintetizza la fonte.

Il motivo della cautela di Merkel è chiaro anche da un altro punto di vista. In questi ultimi, densissimi giorni in cui si è passati dalla sanguinosa repressione di Yanukovich alla sua precipitosa fuga, all'annuncio di nuove elezioni a fine maggio, la cancelliera non ha mai spezzato il filo con Mosca.

Anche domenica, dopo il colloquio con la «pasionaria», Merkel ha nuovamente parlato con Putin. In questo, fra l'altro, il governo è più coeso che mai. Anzi, il ministro degli Esteri socialdemocratico Steinmeier è ancora più convinto della necessità di un dialogo costante con Mosca, suscitando persino qualche perplessità in alcuni esponenti importanti della Cdu, che chiedono a volte una durezza maggiore nei confronti di Putin.

In sostanza, anche se su Kiev Merkel si è mossa in prima persona - assieme all'attivissimo Steinmeier - la consapevolezza che l'Europa si sia caricata un compito pesantissimo, è assoluta. E la cancelliera cresciuta dietro la Cortina di ferro sa bene che non si può parlare di Ucraina senza coinvolgere la Russia, che considera da sempre il «granaio» d'Oriente la propria anticamera.

E quanto sia pesante il dossier ucraino lo dimostrano le prime reazioni ufficiali - durissime - dei russi al cambio di guardia a Kiev registrate ieri. Ma anche l'imbarazzo con cui a Bruxelles hanno preso nota della dichiarazione del ministro delle Finanze ucraino: per scongiurare la bancarotta, ha chiesto 35 miliardi di dollari in due anni. Mosca, com'è noto, ne aveva promessi 15, ora congelati. Adesso la Ue e il Fmi dovranno discutere quanto concedere a Kiev, ovviamente «in cambio dell'impegno a fare riforme» come ha sottolineato la direttrice del Fondo, Lagarde.

Nella prima fila dei negoziatori si sono spinti ora anche gli Stati Uniti, che hanno ripetuto di essere pronti ad aiuti finanziari. E il vice segretario di Stato, William Burns, sarà oggi e domani a Kiev, dove incontrerà il premier ad interim e presidente del Parlamento, Oleksander Turcinov. Il quale già ieri ha incontrato il capo della diplomazia Ue, Ashton, che avrebbe insistito sul «rilancio immediato delle negoziazioni tra Ucraina e Ue» per un accordo di associazione e libero scambio congelato a fine novembre.


2. GAS, AFFARI E TRADIMENTI - MAIDAN NON SI FIDA PIÙ DELL'EROINA ARANCIONE
Anna Zafesova per ‘La Stampa'

La mitica treccia bionda appiccicata sui capelli ormai ridiventati scuri dopo mesi di carcere è stata forse il segno più eloquente di quanto Yulia Timoshenko fosse impreparata a tornare in libertà e in politica. Con la sua mente lucida e la volontà di ferro, la detenuta politica simbolo del regime di Yanukovich sicuramente si era prefigurata diversi scenari, trionfali, del suo ritorno. Ma la prima sorpresa l'aspettava già sul Maidan, la piazza di cui era stata eroina 10 anni fa.

La sua berlina nera è stata fermata dal servizio d'ordine dei manifestanti: dobbiamo controllare l'auto. Al Maidan si arriva a piedi, attraversando barricate. Per Yulia, nonostante fosse in sedia a rotelle, non sono state fatte eccezioni: «I vecchi tempi sono finiti, per tutti», ha borbottato uno dei rivoluzionari perquisendo l'auto.

I «vecchi tempi», quelli di Yanukovich ma anche di Timoshenko, gli anni delle faide, dei clan oligarchici contrapposti, dei cambi di schieramento, di incriminazioni clamorose, intercettazioni, colpi bassi. La «principessa del gas» è stata indagata e incarcerata diverse volte. Salvo l'ultima accusa, che le è valsa sette anni e che è considerata sia in Ucraina che in Europa un pretesto per la vendetta di Yanukovich, le altre (un ricco assortimento tra tangenti, evasione fiscale, frode e abuso d'ufficio) sono tutte cadute.

Ma non è tanto un problema di ricchezze illecite: dopo gli sfarzi del clan Yanukovich eventuali trucchi di Yulia di 10 anni fa non fanno troppo scalpore. La donna che ha animato la piazza della rivoluzione arancione è considerata da molti anche colei che l'ha affossata. Dopo appena sette mesi come premier sotto il presidente Viktor Yushenko, portato al potere da lei, si è dimessa.

Intelligente, decisa, carismatica, appassionata, si è rivelata però anche radicale e spericolata, pronta a sconfinare e a rompere patti, tra rischiose privatizzazioni e abile populismo. L'ex alleato la accusò di approfittare dei suoi poteri per sgravare dai debiti la sua ex società energetica. L'odio con Yushenko è arrivato a un punto tale che testimoniò contro di lei al processo.

Finora è sempre riuscita a risorgere, a uscire dalla galera, a farsi scagionare, a rivincere le elezioni. Ma forse è proprio questa sua abilità che spaventa il popolo del Maidan-2, rigoroso come ogni rivoluzione fresca di poche ore. «Yulia libera ma non potente», scandivano sul Maidan, e questa filastrocca riecheggia in quasi tutti i commenti di media e politologi. Proprio adesso che, dopo averla odiata e temuta Mosca la considera il male minore, il suo Paese la ama ma non la vuole più. «Faccia il simbolo nazionale, prenda la presidenza del suo partito, stia in parlamento, ma lasci ad altri la guida del Paese», è il senso un po' di tutti gli editoriali come dei commenti dei militanti. Vincere due rivoluzioni sembra impossibile, perfino per la Timoshenko.

 

 

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