PIÙ CHE UNA STAZIONE, UN CAMPO PROFUGHI – A MILANO CENTRALE ORMAI DORMONO 350 PERSONE, IN GRAN PARTE ERITREI E SIRIANI – SONO ARRIVATI QUI CON IL PULLMAN DAL SUD E ASPETTANO DI TROVARE I SOLDI PER ANDARE PIÙ A NORD – E CI SONO CASI DI MALARIA E DI SCABBIA
Alessandra Coppola per il “Corriere della Sera”
L’ultimo angolo trasformato in dormitorio è una «gabbia». Una grata davanti, una dietro, a chiudere uno spazio tra le colonne di quella che ancora si chiama Galleria delle Carrozze: l’ingresso alla stazione Centrale a Milano. Restano una mutanda da uomo rossa infilata tra le «sbarre», una traccia di cartoni a terra, una lattina di coca-cola, una chiazza di liquido indefinibile, un sacchetto annodato di plastica azzurra, pieno.
«Ne ho contati 88 che dormivano qui fuori — racconta Giorgio Ciconali —, poi la polizia è passata a svegliarli. In 126 erano stesi nel mezzanino», che già da giorni era stipato di uomini soprattutto, ma anche donne, e persino bambini. «Altri ancora vagolavano tra l’atrio e il primo piano». Erano le otto del mattino, la stazione cominciava ad affollarsi di pendolari, il direttore del Servizio igiene della Asl, Ciconali, era venuto a fare un sopralluogo. Per trovare conferma a quello che aveva già intuito: son troppi, denutriti, stanchi e a volte anche malati. Hanno bisogno di cura.
«Che fame!», esclama una volontaria, distribuendo biscotti. Due bimbette li masticano mogie, in mezzo a tante giovani donne e altrettanti ragazzi. Un gruppetto di adolescenti alle tre del pomeriggio tenta ancora di dormire sulle panchine, in un via vai di operatori sociali, agenti della polfer, fotografi, passeggeri comuni, che sbucano dalle scale mobili coi trolley sul piano ammezzato, guardandosi attorno stupiti.
Da un lato e dall’altro, vagamente separata dalle transenne, c’è una folla di siriani, qualche famiglia di recente fuggita da Homs, ma soprattutto di eritrei, la grande maggioranza, che s’arrangiano tra la Centrale e Porta Venezia, in attesa di ripartire. Su una parete qualcuno ha appeso l’immagine di una madonna ortodossa.
Ferrovie e Grandi stazioni ormai non nascondono il disagio e fanno sapere di aver proposto soluzioni, di avere dei «tavoli» aperti con il Comune e la prefettura. L’assessore regionale alla Sanità, Mario Mantovani, vice del governatore Roberto Maroni che ha minacciato di «tagliare i fondi» ai Comuni che accolgono profughi, arriva in stazione nel pomeriggio con tutt’altro tono annunciando, «da subito, un presidio sanitario permanente», che finora mancava: «Siamo in una situazione che non riusciamo più né a controllare né a sostenere».
Il caldo, il sovraffollamento, le condizioni precarie, si scopre che dal primo giugno si sono contati 108 casi di scabbia. «Stamattina abbiamo riscontrato anche casi di malaria», continua Mantovani. E quello che non dice è che si è avuto il timore che fosse ebola.
Il presidente della Fondazione Progetto Arca, Alberto Sinigallia, che si è accollato l’ingrato compito di gestire questi spazi, racconta che l’altra notte, all’una, un ragazzo ha avuto una crisi epilettica; la notte prima ancora è stata una bambina ad aver avuto bisogno dell’ambulanza. Nei suoi calcoli il numero dei migranti che hanno dormito qui, tra martedì e ieri, è addirittura 350. Una cifra enorme, da campo profughi, non da stazione ferroviaria.
«Milano da sola non ce la fa — si sfoga l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino — devono partecipare a questo sforzo anche altre città». E per l’ennesima volta cerca di spiegare che queste persone qui tra i marmi della Centrale vogliono andare più a Nord. «Ne abbiamo accolti 64 mila da ottobre del 2013 — calcola —, 10 mila dall’inizio dell’anno. Ogni notte mettiamo a disposizione 800 posti letto. È una crisi che riguarda Bruxelles, ma siamo anche in un Paese che non ha un piano nazionale adeguato di gestione dell’accoglienza. Soprattutto per queste persone in transito».
«Milano è la strada per andare in Europa», dichiara nitidamente un ragazzo eritreo. È da tempo in viaggio dal Corno d’Africa, «sono rimasto un mese bloccato in Libia, mi hanno picchiato e derubato». Finché è riuscito a imbarcarsi: soccorso dagli italiani, s’è ritrovato a Taranto. Da lì, «ho preso il pullman». Lui, come gli altri, non è stato inviato qui dal Viminale, non rientra nelle «quote» smistate al Nord.
È arrivato da solo. Uno delle migliaia di «spontanei» di cui parla Majorino, che sono solo di passaggio in Italia, fanno il possibile per sfuggire al fotosegnalamento (per non essere rimandati indietro in base al regolamento di Dublino) e cercano in stazione di riorganizzare il viaggio. «Sto aspettando i soldi — continua — voglio andare in Olanda, ho dei parenti che sono già lì».