MISSIONE VERAX! ECCO COME SI È MOSSA LA TALPA CHE HA SMASCHERATO OBAMA ‘O SPIONE
Paolo Mastrolilli per "La Stampa"
Il suo nome in codice lo aveva scelto dal latino, Verax, colui che dice la verità , ma era quasi certo che non sarebbe bastato a renderlo libero. Edward Snowden sperava di trovare una via di fuga, quando aveva contattato i giornalisti a cui ha rivelato i segreti più dannosi dell'intelligence americana, ma sapeva che «mi faranno soffrire per le mie azioni».
Il delicato approccio con la talpa lo ha descritto lo stesso Barton Gellman, reporter del Washington Post che era stato il primo a ricevere l'offerta dei documenti classificati. Il contatto diretto era avvenuto il 16 maggio. Edward non aveva rivelato subito la sua identità , ma aveva lasciato capire che possedeva informazioni scottanti da rivelare. Lui e Gellman, quindi, avevano cominciato a parlarsi con due nomi in codice: Verax per Snowden, e Brassbanner per Barton.
Il giornalista gli aveva fatto notare che lo pseudonimo Verax era stato usato in passato da due persone: Clement Walker, dissidente britannico finito nella Torre di Londra, e Henry Dunckley, giornalista del Manchester Examiner premiato invece con una laurea ad honorem.
Edward prevedeva che «la restituzione di queste informazioni al pubblico segnerà la mia fine», e aveva avvertito i giornalisti che rischiavano la vita: «La comunità dell'intelligence molto probabilmente vi ucciderà , se penserà che siete la chiave per fermare la diffusione di queste notizie e restarne unica proprietaria».
La talpa sapeva che non avrebbe potuto nascondere a lungo la sua identità , perché conosceva gli strumenti a disposizione dei suoi colleghi per individuarlo. Ad esempio aveva chiesto a Gellman di non citare le sue frasi, anche se anonime, perché la National Security Agency ha uno strumento di «semantic analysis» che le consente di identificare le persone sulla base del loro linguaggio: «Non mi puoi proteggere, non c'è modo di salvarmi».
Pur capendo questi rischi, Verax aveva deciso di andare avanti: «Forse sono ingenuo, ma credo che il pericolo più grave per la nostra libertà venga dai poteri onniscenti dello stato. Per questa minaccia diretta alla democrazia rischio la mia vita e la mia famiglia».
Qualche via d'uscita, però, Snowden aveva cercato di costruirsela. Aveva considerato l'ipotesi di chiedere asilo in Islanda, dove un parlamentare gli ha offerto aiuto, e aveva domandato a Gellman che il Post pubblicasse online una chiave crittografica, che poi gli avrebbe consentito di dimostrare a qualche governo straniero che lui era la fonte delle rivelazioni. Questo sembra escludere un'intesa preventiva con la Cina, lasciando però aperta la possibilità di negoziare con uno stato dopo.
à strano pure che Edward abbia lasciato la casa delle Hawaii dove viveva con la fidanzata il primo maggio, per poi riapparire il 20 ad Hong Kong: cosa ha fatto nel frattempo? Di sicuro si sa che la Nsa lo cercava freneticamente da quando era scomparso.
Verax aveva chiesto che le 41 pagine offerte sul sistema di spionaggio digitale Prism uscissero integralmente sul Post entro 72 ore dopo la consegna. Gellman aveva consultato il governo e deciso di usarne solo 4, allora Snowden aveva risposto: «Mi dispiace che non siamo riusciti a tenere questo progetto unilaterale».
Subito dopo aveva contattato il giornalista del Guardian Glenn Greenwald, che invece aveva pubblicato più materiale. Lui però non voleva passare le informazioni a governi stranieri e non voleva farle uscire in maniera indiscriminata, per evitare le accuse rivolte a Bradley Manning per Wikileaks.
Alla fine di maggio Edward pensava di essere «on the X», vicino ad essere smascherato, e quindi l'operazione è partita. Il giorno della pubblicazione Gellman ha anche sbagliato il codice segreto con cui si identificava via rete con Verax, rischiando di essere cancellato. «Voglio dimostrare - aveva detto Snowden - che chi denuncia le cose sbagliate può vincere. Quanto alla sorte finale di Verax, sono pronto a tutte le ipotesi».





