UN UOMO MORTO DUE VOLTE - PAOLO ONOFRI S’È SPENTO DOPO CINQUE ANNI DI COMA, MA L’OMICIDIO DEL PICCOLO TOMMY L’AVEVA GIÀ DISTRUTTO

Pierangelo Sapegno per ‘La Stampa'

E' morto Paolo Onofri, un uomo rimasto senza nome, come tutti quelli uccisi da un dolore più grande di loro. Perché lui era solo il padre del piccolo Tommy, il bambino di 17 mesi rapito e ucciso nella notte del 2 marzo 2006 fra le brughiere e le piane fuori Parma, la vittima di una tragedia che aveva commosso l'Italia, ritratto feroce di un Paese che sembra così lontano, come se appartenesse a un altro secolo e a un'altra epoca, prima della crisi e della decrescita.

Paolo Onofri era ridotto in stato vegetativo da più di cinque anni, da quando, il 12 agosto 2008, era stato colpito da un infarto mentre era in vacanza a Folgaria, con il suo alito di vita appena sostenuto dai respiratori automatici e dalle sonde di nutrizione.

Sua moglie, Paola Pellinghelli, diceva che questa era l'ultima cosa che lui avrebbe voluto: «Me l'aveva confessato per caso qualche mese prima di sentirsi male». Ma il papà di Tommy, un corpaccione di un metro e 95, la barba incolta e quello sguardo acquoso tra il triste e il disperato che avevamo imparato a conoscere, doveva essere un uomo che aveva il destino contro.

Nella terribile notte del 2 marzo 2006, due banditi fecero irruzione nella sua cascina di Casalbaroncolo, puntandogli una pistola in faccia, legandolo e imbavagliandolo assieme a sua moglie. Lui era steso a terra quando scorse i piedini di Tommaso che venivano sfilati dalla sedia. Durò 29 giorni quella angoscia terribile e finì ancora peggio, il primo aprile, la sera in cui ritrovarono il corpicino senza vita di Tommaso sull'argine del fiume Enza.

Il suo rapitore, Mario Alessi, il muratore che gli aveva fatto i lavori alla cascina, e che lui aveva aiutato per pagargli le cure al figlio malato, l'aveva ucciso la notte stessa del rapimento. Ma fino a quel momento, il sospettato era stato lui, un padre distrutto dalla tragedia, interrogato per ore e ore e inseguito dalle dicerie sulle piste sataniche per un crocefisso che portava al collo.

Alla fine si scoprì che dietro una sua certa reticenza si nascondeva un segreto terribile, quello delle immagini pedopornografiche che aveva nel pc: gli toccò patteggiare sei mesi e scomparire, seppellito non solo dal dolore ma anche dalla vergogna. Durante quei 29 giorni, comunque, attese invano un segnale che lo facesse sperare. Ma non arrivò nessuna telefonata e non ci fu nessun contatto.

Solo quando il secondo bandito Salvatore Raimondi venne incastrato per un'impronta lasciata sul nastro adesivo, le indagini presero la svolta giusta. Alessi confessò e portò gli inquirenti sul greto del fiume. Paolo Onofri continuò a soffrire, perché quello è stato il suo destino. Fecero un concerto dedicato a Tommy, i cantanti Piova e Fabri Fibra scrissero dei brani, e quando glieli fecero ascoltare, lui non riuscì a pronunciare una parola. Era come se la vita l'avesse già sepolto.

Non saltò nemmeno un'udienza del processo, guardando sempre in faccia l'aguzzino di suo figlio e la sua complice, Antonella Conserva, condannata a 20 anni. Solo quando dettero l'ergastolo ad Alessi scoppiò a piangere. Senza una parola. Ma quelle lacrime, a guardarle oggi, sono state l'unica parentesi del suo calvario.

 

 

PAOLO ONOFRI PAOLO ONOFRI PAOLO ONOFRI PAOLO ONOFRI

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