LA MOSSA DEL PD PER IL BIS DI MATTARELLA - AL SENATO È STATO DEPOSITATO UN DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DI TRE DEM IN OTTIMI RAPPORTI CON IL COLLE (ZANDA, BRESSA E PARRINI) CHE SANCISCE LA NON RIELEGGIBILITÀ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. PER ARRIVARE ALLA SUA APPROVAZIONE PERÒ SERVONO MESI. MATTARELLA VERREBBE RIELETTO PER "UN MANDATO A TEMPO" E UNA VOLTA APPROVATA LA LEGGE DI DIMETTEREBBE CONTESTUALMENTE ALLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2023… - L'ATTIVISMO DI ZAMPETTI...
Federico Capurso e Ilario Lombardo per "la Stampa"
È un paradosso, che però fa emergere quanto sia esteso e trasversale il partito che spinge e prega per il bis di Sergio Mattarella al Quirinale. Al Senato è stato depositato un disegno di legge costituzionale del Pd che prevede l'abolizione del semestre bianco - i sei mesi finali del mandato in cui il Capo dello Stato non può sciogliere le Camere - e sancisce la non rieleggibilità del presidente della Repubblica. Due modifiche che era stato Mattarella a incoraggiare nelle stesse uscite pubbliche che gli erano servite a mettere in chiaro la sua contrarietà all'ipotesi di un secondo mandato.
A un primo sguardo la proposta sembrerebbe andare nella direzione auspicata da Mattarella. Ma non è così semplice. E come spesso fa la politica, si rivela un arabesco tutto da decifrare. Ecco il paradosso: chi presenta la legge che vieta la rieleggibilità lavora all'ipotesi della rielezione dell'attuale presidente della Repubblica. A firmare il ddl sono tre senatori del Pd che hanno ottimi rapporti con il Colle: Luigi Zanda, senatore di lungo corso, Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, e Gianclaudio Bressa, considerato vicinissimo a Mattarella.
È quest' ultimo a far comprendere il senso dell'iniziativa a un mese e mezzo dalle votazioni per il Quirinale: «Il Ddl non potrebbe essere approvato ed entrare in vigore, nella migliore delle ipotesi, prima della fine del 2022 - spiega Bressa -. Non è un'iniziativa legislativa che guarda all'elezione di gennaio bensì a ciò che è meglio per gli equilibri costituzionali». La riforma offrirebbe una cornice costituzionale per non rendere norma un'eccezione che ha già un precedente nel bis di Giorgio Napolitano. Esattamente come chiede Mattarella.
Per arrivare alla sua approvazione però servono mesi. Il presidente verrebbe rieletto e accompagnerebbe il percorso con una maggiore tranquillità. Perché a quel punto, contestualmente alle elezioni politiche del 2023, con un Parlamento dimezzato e con una legge che ha abolito semestre bianco e rieleggibilità, Mattarella potrebbe dimettersi e motivarne le ragioni proprio alla luce delle modifiche costituzionali e della nuova composizione delle Camere.
Si tornerebbe così allo schema della staffetta che i partiti hanno sempre incoraggiato: la riconferma a tempo di Mattarella scongiurerebbe le elezioni anticipate e permetterebbe al presidente del Consiglio Mario Draghi di completare il lavoro al governo. Nel 2023, se ce ne saranno le condizioni, l'ex banchiere centrale potrebbe salire al Colle, nominato dal nuovo Parlamento. Inutile dire che la mossa dei senatori Pd ha un valore anche perché è un segnale inequivocabile.
Di chi fino a ieri sussurrava e oggi chiede invece esplicitamente un sacrificio a Mattarella, in nome della stabilità. Lo fa il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti: «Ritengo che sia la soluzione migliore». Nel Pd c'è grande agitazione. E il clima è lo stesso dentro Forza Italia e nel M5S. Anche perché le indiscrezioni sulla volontà di Draghi di trasferirsi al Quirinale si fanno sempre più diffuse. Quanto le voci su chi dei ministri lo sostituirebbe a Palazzo Chigi, per assicurare continuità al governo e placare i timori dei peones: oltre ai ministri Vittorio Colao e Daniele Franco, nel M5S e nel centrodestra si parla della titolare della Giustizia Marta Cartabia. «Io mi auguro che Draghi resti a Chigi - dice il senatore Andrea Marcucci - Aspetto che lo dica anche Enrico Letta».
Sono tanti a chiedere che il segretario spenda una parola in questo senso. Temono che i contraccolpi delle elezioni del Quirinale possano destabilizzare il sistema e portare dritti al voto, garantendo a Letta la possibilità di rinnovare i gruppi. Un epilogo che non piace al ministro Dario Franceschini: «Al di là delle singole convenienze del voto - dice - la legislatura deve continuare, sarebbe irrazionale interromperla ancora in pandemia». Nel frattempo, i leader cominciano delineare ognuno una propria strategia. La riapertura dei contatti tra il presidente del M5S Giuseppe Conte e il leader della Lega Matteo Salvini serve anche a ribilanciare in chiave interna i rapporti e a spezzare l'asse che hanno costruito proprio sul Colle il ministro degli Esteri del M5S Luigi Di Maio e il ministro dello Sviluppo economico del Carroccio Giancarlo Giorgetti.
Nell'incontro avvenuto tra Di Maio e Conte a casa di Pietro Dettori, collaboratore del ministro grillino, è stata siglata una tregua tra i due in vista del Colle. A una condizione, chiesta dall'ex premier: che sia lui a guidare le trattative, coordinandosi sulla linea con Di Maio, ma senza più interferenze. Il ministro degli Esteri però non sembra aver messo da parte la sua capacità di tessitore.
Lo provano le frequenti chiacchierate sul Colle con i ministri del Pd Lorenzo Guerini e Franceschini, e lo prova che appena qualche giorno fa Di Maio ha avuto un colloquio a tre con Giorgetti e Massimo D'Alema. Quest' ultimo interessato al pensiero del titolare della Farnesina, ma da sempre vicino a Conte, con cui condivide l'idea di non avere il nome del commissario europeo ed ex premier del Pd Paolo Gentiloni in cima alla lista delle preferenze per il Colle.
Nelle preferenze di D'Alema ci sarebbe il giudice costituzionale Giuliano Amato, lo stesso nome al centro di due cene. Quella in pizzeria tra Giorgetti e Di Maioa. E un'altra tra il leader di Leu Roberto Speranza, il vicesegretario del Pd Beppe Provenzano e il ministro Andrea Orlando.
2 - COLLE, LA MOSSA DEL PD PER IL BIS DI MATTARELLA
Alberto Gentili per "il Messaggero"
Enrico Letta martedì scorso si era limitato a lanciare un appello-allarme: «Sono convinto che l'elezione del presidente della Repubblica sarà a larga maggioranza. Se così non fosse, cadrebbe il governo immediatamente».
Ebbene ieri, per mano di Luigi Zanda, Gianclaudio Bressa e Dario Parrini, il segretario del Pd è passato ai fatti. Con un disegno di legge di riforma costituzionale firmato dai tre senatori dem, Letta ha compiuto la prima mossa concreta rivolta a scongiurare a metà gennaio - in occasione del voto per il nuovo capo dello Stato - il Big Bang della maggioranza di unità nazionale che sostiene il governo di Mario Draghi.
Lo scopo di Letta, al di là delle smentite di rito: cercare di aprire uno spiraglio alla rielezione di Sergio Mattarella, l'unica strada e l'unica personalità a detta praticamente di tutti (esclusi Matteo Salvini e Giorgia Meloni), che potrebbe portare a centrare due obiettivi: garantire la sopravvivenza della maggioranza, lasciando Draghi a palazzo Chigi a gestire il Recovery Plan, e portare la legislatura al suo termine naturale (il 2023). Per poi, magari, prendere il testimone del Colle da Mattarella per quella staffetta che ormai sembrava impraticabile.
mattarella universita di siena
E che potrebbe essere solo ipotizzata, non certo stabilita ab origine. Anche se in molti ritengono che le dimissioni del Presidente sarebbero «costituzionalmente motivate», dopo la riforma costituzionale e l'elezione nel 2023 di un Parlamento modificato nella sua composizione a causa del taglio del numero di deputati e senatori. Di certo, c'è che a temere lo sbriciolamento dell'attuale maggioranza non è solo Letta. Anche Draghi paventa un epilogo drammatico - in piena pandemia e con il Recovery Plan da oltre 200 miliardi ancora (quasi) tutto da realizzare - visto che l'implosione della maggioranza nella partita decisiva del Quirinale vorrebbe dire precipitare il Paese verso la crisi e le elezioni.
«Perché è scontato e innegabile», dice chi ha parlato con il premier nelle ultime ore, «che se la maggioranza di unità nazionale si compattasse su un nome, la faccenda del Quirinale si svolgerebbe in modo ordinato e non si manderebbe in rovina il Paese. Se invece un pezzo di maggioranza eleggesse il nuovo Presidente contro l'altro pezzo della maggioranza, sarebbe il caos. Vorrebbe dire la fine del governo di tutti». Insomma l'imperativo è arrivare a metà gennaio, quando si apriranno le votazioni per il Quirinale, con un nome bipartisan individuato e gradito dalle forze che sostengono il governo.
«E ci sono solo due personalità che hanno queste caratteristiche: Draghi e Mattarella», dice chi è a stretto contatto con entrambi, «ma il primo tutti vogliono lasciarlo a palazzo Chigi per il Recovery e per scongiurare il voto anticipato, mentre il Presidente ha più volte detto e ripetuto che non intende essere rieletto, in quanto considera una sua eventuale rielezione una forzatura costituzionale e ritiene utile abolire il semestre bianco».
GARANZIE PER IL PRESIDENTE Ebbene, il ddl firmato da Zanda, Parrini e Bressa punta proprio a rimuovere questa obiezione, garantendo a Mattarella che il suo bis non consoliderebbe una prassi da lui giudicata incostituzionale: sarebbe l'ultimo, dopo quello concesso da Giorgio Napolitano nel 2013.
Il ddl infatti propone la modifica gli articoli 85 e 88 della Costituzione, stabilendo che il capo dello Stato «non è rieleggibile» e abrogando il divieto per il Presidente di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del mandato. Basterà a convincere Mattarella, descritto irritato dai tatticismi e dalla litigiosità dei partiti di maggioranza, ad accettare il bis? Nel Pd sperano di sì:
«Naturalmente questa riforma non può essere approvata entro gennaio, ma se riusciremo ad assicurare al Presidente un patto tra le forze di maggioranza volto a modificare la Costituzione abolendo rieleggibilità e semestre bianco da qui al 2023, è possibile che Mattarella possa accettare di restare al Quirinale. E questo perché il Presidente avrebbe la garanzia che il suo sì non contribuirebbe a consolidare una prassi di dubbia incostituzionalità».
mario draghi sergio mattarella
Però non sembra che questa proposta di riforma, secondo i bene informati, possa far cambiare idea al Presidente. Ci sono infatti altri due tasselli che dovrebbero andare al loro posto per rendere ipotizzabile un bis. Il primo sarebbe un precipitare della situazione. Il secondo, un appello bipartisan.
«Premesso che il Presidente proprio non ci pensa», spiega chi lo conosce bene, «se dovesse scoppiare il caos dopo diversi candidati bruciati, con la pandemia in crescita, l'innesco di una tempesta valutaria, e se tutti i leader della maggioranza dovessero salire al Quirinale chiedendogli di restare, Mattarella potrebbe dire di sì per mettere in sicurezza il Paese. Ma è difficile, estremamente difficile». Si vedrà, la partita non è neppure cominciata.