MOVIMENTO CINQUE PARTITI – PIÙ CHE RIFONDAZIONE, È DISGREGAZIONE: I CINQUE STELLE NON HANNO UN LEADER, NÉ UNO STRACCIO DI LINEA POLITICA O DI STRATEGIA. IL PARTITO È UNA PRATERIA PER SCORRIBANDE E GUERRE TRA FAZIONI: PER ORA CE NE SONO (ALMENO CINQUE). QUELLA "UFFICIALE" DI “GIUSEPPI”, ROUSSEAU, L’ALA MOVIMENTISTA DI CASALEGGIO, E POI…
giuseppe conte alle agora di bettini 2
Francesco Maria Del Vigo per "il Giornale"
La lenta disgregazione dei Cinque Stelle rischia di produrre cinque partiti. Manca un leader, manca una linea politica, manca una strategia.
E quando mancano tutte queste tre cose assieme i partiti politici diventano praterie per scorribande e per guerre tra fazioni.
È il momento nel quale, potenzialmente, tutto diventa possibile e tutti possono sognare di prendersi la loro rivincita agguantando una fetta del partito.
beppe grillo giuseppe conte luigi di maio
Anche se la torta, a giudicare dai risultati impietosi degli ultimi sondaggi, non è un dolce nuziale ma una merendina da dividere in sede di divorzio.
1. Il primo partito, in teoria la versione originale e non quella taroccata, dovrebbe essere quello di Giuseppe Conte. Sarebbe naturale: è stato due volte presidente del Consiglio per volontà pentastellata e, incredibilmente, nonostante ciò, gode ancora di un' ampia fiducia personale da parte degli italiani. Una fiducia in Conte, che lo stesso Conte non sembra avere.
DAVIDE CASALEGGIO E ALESSANDRO DI BATTISTA
Da quando Mario Draghi si è insediato al suo posto a Palazzo Chigi, l' avvocato del popolo è caduto in una sorta di congelamento: pochissime apparizioni pubbliche, pochi comunicati stampa, qualche svogliato post su Facebook.
La presa di posizione politicamente più significativa è stata sul caso Maneskin all' Eurovision. Non esattamente il primo tema in agenda per un ex premier.
2. Il secondo partito, che però rivendica di essere il primo e l' unico, è quello di Davide Casaleggio. Il figlio del visionario fondatore ha le chiavi di Rousseau, il cuore della democrazia diretta interna al partito, ma soprattutto tiene in ostaggio i dati degli iscritti ai partiti, svuotando di fatto il partito di Conte, che si trova ad avere in mano un movimento senza sapere chi lo compone. Casaleggio non è un politico, ma dubitiamo che voglia mollare il bottino e la creatura ideata dal padre Gianroberto.
BEPPE GRILLO NEL VIDEO A DIFESA DEL FIGLIO CIRO
3. Al terzo posto si posiziona l' eterno numero due: Alessandro Di Battista. Il «Che Guevara di Roma Nord» è uno dei grillini della prima ora, il profilo sinistro e ruspante di Luigi Di Maio. Ma sono anni, tra un viaggio in Iran e un reportage dall' America Latina, che scalda i motori senza poi partire.
Però è sempre lì, con un grande avvenire alle spalle e anche ieri, intervistato dal Corriere della Sera, non conferma ma neppure smentisce il rumor secondo il quale sarebbe attivo nella creazione di un nuovo partito: «Non ci ho ancora pensato».
4. E poi c' è Beppe Grillo. Il fondatore, assieme a Gianroberto Casaleggio, della grande utopia dei Cinque Stelle. L' uomo che, con il suo corpo, la sua voce, i suoi show e le sue provocazioni, è stato il volano del Movimento. Senza di lui i pentastellati non sarebbero mai nati e, molti di loro, non hanno ancora abbandonato la baracca proprio per lui. Lo sa bene e non mollerà il suo tesoretto di voti. Ma al momento è troppo occupato a gestire i guai giudiziari del figlio Ciro.
5. L' ultimo, in ordine temporale, a voler creare il proprio partito è Nicola Morra. Presidente della Commissione Antimafia, docente di filosofia tanto ambizioso quanto verboso, è noto per le sue gaffe e per le sue intemerate. Negli ultimi giorni lo raccontano attivissimo nel tessere trame e incrociare conoscenze per sottrarre deputati ai dissidenti di «L' alternativa c' è» e al Movimento, con l' intento di creare un proprio gruppo.
La torta che i commensali debbono condividere, dicevamo prima, va riducendosi, ma nessuno vuole rimanere a bocca asciutta e probabilmente, nel corso dei mesi, le correnti e le scissioni si moltiplicheranno. D' altronde anche questo è il frutto amaro della lezione grillina: se uno vale uno, tutti possono farsi un partito. Ma il rischio è che non li voti nessuno.