
COLPITA AL CUORE L’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE DI GIUSEPPE MOLISSO, IL PIÙ POTENTE NARCOTRAFFICANTE DI ROMA E FEDELISSIMO DEL SUPER BOSS MICHELE SENESE – IN 26 FINISCONO AGLI ARRESTI, SEQUESTRI PER 5 MILIONI DI EURO - SECONDO I PM, MOLISSO DETTO “L’INNOMINABILE”, DETENUTO DA 4 ANNI, HA MESSO IN PIEDI UNA RETE CAPILLARE IN GRADO DI CONTROLLARE L’INTERO MERCATO DELLA COCAINA A ROMA - A DARGLI UNA MANO, IL SUO BRACCIO DESTRO, LEANDRO BENNATO DETTO “IL BIONDO”, E IL SUO SICARIO DI FIDUCIA, RAUL ESTEBAN CALDERON, KILLER DI “DIABOLIK” PISCITELLI - SUL TRONO DELLA ROMA CRIMINALE RESTA IL CAMORRISTA MICHELE SENESE, DETTO 'O PAZZO: CHIUNQUE VOGLIA FARE AFFARI NELLA CAPITALE DEVE FARE I CONTI CON LUI E I SUOI COLONNELLI MOLISSO E BENNATO, CHE COMANDANO DAL CARCERE – IL CLAN PUNIVA CON LA MORTE CHI SGARRAVA COME "DIABOLIK"
1 - MITRA, SANGUE E SOLDI I BOSS DELLA COCAINA PADRONI DI ROMA
Giuseppe Scarpa per “la Repubblica” - Estratti
«Lo chiamano l’Innominabile, dottò» Il suo nome non si pronuncia. Incute timore persino a chi ha deciso di collaborare con la giustizia, come Simone Capogna, ex trafficante di alto rango ora pentito.
Le sue rivelazioni stanno scuotendo le fondamenta del grande crimine nella capitale. Quel nome è Giuseppe Molisso, 42 anni, il più potente narcotrafficante della Città Eterna.
Ieri la sua organizzazione è stata colpita al cuore. Un’operazione della Procura di Roma, coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia Mario Palazzi, Francesco Cascini e Giovanni Musarò, ha portato all’arresto di 26 persone, molte delle quali già detenute. I carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci hanno eseguito sequestri di conti, terreni, case e opere d’arte. Un tesoro da cinque milioni di euro, accumulato grazie a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga su tutta Roma, alla detenzione e al porto illegale di armi.
Ma i numeri non bastano a descrivere il sistema costruito da Molisso.
Con il suo braccio destro, Leandro Bennato, detto “il Biondo”, e il suo sicario di fiducia, Raul Esteban Calderon, ha messo in piedi una rete capillare in grado di controllare l’intero mercato della cocaina a Roma. Il suo feudo è Tor Bella Monaca, nella periferia sud-est, la più grande piazza di spaccio della capitale. Non si vedeva nulla di simile dai tempi della Banda della Magliana.
Un impero criminale che ha continuato a funzionare anche dal carcere. Molisso e Bennato sono detenuti da quattro anni, ma hanno mantenuto il controllo grazie alla reggenza esterna affidata a Emanuele Selva.
Contatti, ordini, violenza. Chi ha provato a fermarli ha pagato il prezzo più alto.
Calderon, il sicario, nascondeva un segreto. Per anni ha vissuto con un’identità falsa: il suo vero nome è Gustavo Alejandro Musumeci, un dettaglio emerso solo di recente. Un tassello che conferma la struttura dell’organizzazione: costruita per resistere, progettata per eliminare gli avversari.
Basti citare un solo omicidio, tra quelli compiuti o tentati: quello dell’arcirivale di Molisso, Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik. Neofascista, capo ultrà degli Irriducibili della Lazio, era uno dei principali concorrenti nel traffico di droga della capitale. Fu ucciso a 53 anni, il 7 agosto 2019, al Parco degli Acquedotti, polmone verde di Roma. Secondo la ricostruzione degli investigatori, il mandante fu Molisso, con Bennato e il beneplacito di Michele Senese. Il killer? Calderon, per i pm.
Da quell’estate del 2019, l’Innominabile e i suoi hanno consolidato il monopolio sulla cocaina a Roma, rifornendosi da due broker albanesi, Altin Sinomati e Renato Muska, arrestati ieri. Un business dal valore incalcolabile. Roma, come ha spiegato Capogna ai pm, «consuma due tonnellate di cocaina al mese».
«Questa associazione è la più pericolosa della Capitale», scrive il gip Livio Sabatini nell’ordinanza. «Vendono la cocaina a prezzi superiori rispetto agli altri, ma tutti comprano da lui (Molisso, ndr ) perché risolve i problemi ed è temuto. È una persona particolarmente violenta», ha dichiarato Capogna ai magistrati.
Essere il risolutore di conflitti tra i grandi capi piazza conferma il livello raggiunto da Molisso. Ma chiunque avesse osato disobbedirgli avrebbe pagato caro. L’Innominabile poteva attingere dalla una Santabarbara per imporre la sua legge. Il gip sottolinea come l’organizzazione disponesse di M16, kalashnikov e bombe.
Forse, però, la descrizione migliore di Molisso e Bennato la offre sempre Capogna: «Ti guardano, ma è come se non ti guardassero. Una persona che decide di ammazzare un cristiano, di torturare qualcuno, ha lo sguardo spento. Non gli leggi niente dentro. Le persone si vedono in faccia, e loro fanno paura».
2 - IL ROMANZO CRIMINALE DI SENESE ’O PAZZO E DEI SUOI COLONNELLI
Lirio Abbate per “la Repubblica” - Estratti
Sul trono di Roma è seduto Michele Senese, un campano che molti anni fa si è preso la città.
E lo ha fatto tessendo alleanze e usando la violenza. Abile a spartire gli affari e a fare da garante di un sistema che distribuisce ricchezza a quelli che riescono a entrarci.
Nonostante la detenzione, Senese sorveglia i flussi della droga, tratta gli acquisiti, controlla le piazze di spaccio, evita che qualcuno diventi troppo potente, si accerta che ognuno paghi quello che deve. Che tutti facciano il loro dovere. Il posto sul trono non si conserva per tutto questo tempo senza abilità e intelligenza fuori dal comune. A dispetto del soprannome con cui è conosciuto, ’o pazzo.
Ma pazzo non lo è per niente. Certificati firmati da medici compiacenti gli hanno fatto trascorrere lunghi periodi lontano dal carcere o in luoghi detentivi che gli hanno permesso di continuare a gestire il suo clan e gli affari anche attraverso le mura di un istituto di pena. Ciò dimostra ancora una volta il suo potere.
Chiunque voglia fare affari nella capitale deve fare i conti con lui.
I suoi due colonnelli sono Giuseppe Molisso e Leandro Bennato. Uno impulsivo e violento, l’altro calcolatore e freddo. Entrambi pericolosi, entrambi fedelissimi. Per Senese sono Peppe e Leo. E anche loro, nonostante la detenzione, hanno proseguito senza intoppi a gestire affiliati e affari. Senese ordina, Molisso e Bennato eseguono, tutti gli altri si piegano.
Ogni nuovo attore che vuole entrare in scena viene controllato e, se passa l’esame, gli viene assegnato un ruolo preciso nel quadro complessivo. È così che sono arrivati gli albanesi come Zogu, Demce, Arapaj, Petoku. Prima si sono fatti la guerra, è stata una faida breve ma violenta, degna di un film d’azione, tra pistolettate, agguati e inseguimenti in macchina.
A leggere le intercettazioni si ha l’impressione che per loro la vita sia un gioco. Molisso condivide con gli albanesi lo stesso sprezzo del pericolo e della morte. E della stessa pasta è fatto anche Bennato che ha visto in faccia il sicario pagato per ucciderlo, così vicino che ha potuto notare persino il colore degli occhi. Leo è sopravvissuto, e dell’attentato parla nelle intercettazioni con superficialità. Descrive quel momento come se stesse raccontando la scena di un film. Come se non facesse poi tanta differenza, per lui, vivere o morire.
(…) Un capo ultrà di estrema destra come Fabrizio Piscitelli può diventare il fulcro di equilibri intorno ai quali gravitano affari da milioni di euro. Un piccolo boss può piazzare i suoi informatori persino all’interno degli uffici giudiziari. Piscitelli muove da giovanissimo i primi passi accanto alla famiglia Senese. Il “Mondo di Mezzo” di Massimo Carminati aveva dimostrato la pervasività del crimine e da questo brodo di coltura emerge Piscitelli.
L’ascesa di “Diabolik” è rapida. Si guadagna la fiducia di Senese e il suo affetto.
Ma lo sgarro al boss si paga con la vita. E nemmeno il rapporto con ’o pazzo è un’attenuante capace di ribaltare il verdetto su Piscitelli che muore su una panchina alla periferia di Roma. Un territorio controllato e dominato proprio da Senese e a lui caro, scelto non a caso. In questi ambienti si comunica con i segnali.
È l’estate del 2019, l’anno in cui la Cassazione esclude l’associazione mafiosa nel processo Mondo di Mezzo, e in cui il sangue ricomincia a scorrere nella capitale. La morte di Piscitelli cambia tutto. Gli alleati diventano nemici, i gregari vogliono diventare capi, i capi reagiscono. La giustizia fa il suo corso. E chi pensa che ’o pazzo possa aver versato anche solo una lacrima per il suo protetto evidentemente non sa come ragiona un boss della vecchia scuola, che davanti agli affari non conosce amicizie.
MICHELE SENESE DETTO O PAZZ
michele senese
il boss michele senese, detto o pazzo
giuseppe molisso