OBAMA TI CURA - LA RIFORMA SANITARIA È STATA SALVATA DAL GIUDICE CONSERVATORE ROBERTS (SCELTO DA BUSH), LO STESSO CHE BARACK HA DURAMENTE CRITICATO IN QUESTI ANNI - ROMNEY E I TEA PARTY PARTONO AL CONTRATTACCO: “VOTATE IN MASSA PER I REPUBBLICANI, E IL PRIMO ATTO DA PRESIDENTE SARÀ ABOLIRLA” - QUESTA STRATEGIA FUNZIONÒ PER LE ELEZIONI LEGISLATIVE DEL 2010, STAVOLTA IL TEMA È MENO CALDO E NESSUNO PUÒ NEGARE IL SUCCESSO PERSONALE DI OBAMA…
1- LA CORTE SUPREMA SALVA LA RIFORMA VOLUTA DA OBAMA
Maurizio Molinari per "La Stampa"
La Corte Suprema di Washington attesta la costituzionalità della riforma della Sanità assegnando una vittoria all'Amministrazione Obama, che ora i repubblicani puntano a sfruttare per spingere i loro elettori a votare in massa per cancellarla.
Alle 10 in punto, ora di Washington, la Corte Suprema diffonde la sentenza che «mantiene» la riforma approvata dal Congresso nel 2010 con una motivazione che verte attorno alla definizione di «tassa» per l'obbligo individuale alla copertura sanitaria. Era stato l'avvocato del governo a sostenere questa tesi durante la presentazione degli opposti argomenti e il presidente della Corte John Roberts l'ha fatta propria unendosi ai quattro giudici liberal - Stephen Breyer, Ruth Bader Ginsburg, Elena Kagan e Sonia Sotomayor - nel comporre la maggioranza del collegio, decretando la sconfitta dei conservatori Antonin Scalia, Samuel Alito, Anthony Kennedy e Clarence Thomas.
La scelta di Roberts, che era stato nominato dal presidente repubblicano George W. Bush, si spiega con il fatto che «Il Congresso ha il potere di tassare e spendere» e dunque anche nel caso della riforma della Sanità la Corte Suprema non ha titolo per esprimersi sul fatto se un'imposta «è giusta o meno».
I giudici dissenzienti ritengono invece che la legge avrebbe dovuto essere bocciata perché lesiva delle libertà individuali: la stessa tesi dei militanti del Tea Party che hanno assediato la sede della Corte Suprema sin dall'alba, tradendo dopo il verdetto un'evidente delusione. Nel complesso si tratta di un esito favorevole alla Casa Bianca, al contrario delle previsioni circolate alla vigilia, anche se Roberts aggiunge una critica all'espansione di Medicaid che apre la porta a possibili decisioni di rifiuto da parte dei singoli Stati che vi si oppongono.
I repubblicani sono i primi a rispondere al verdetto. Il candidato presidenziale Mitt Romney si dice «contrario alla sentenza e d'accordo con l'opinione di minoranza», promettendo di «annullare la legge nel mio primo giorno alla Casa Bianca».
Mentre lui parla, il team della campagna invia milioni di sms chiedendo ai sostenitori di mobilitarsi perché la strategia è, come riassume il sondaggista Terry Holt, «trasformare la legge di Obama in un cavallo di battaglia elettorale» facendo leva sul vasto scontento verso la legge fotografato dai sondaggi.
Ecco perché a metà luglio, assicura il deputato della Virginia Eric Cantor, la Camera dei Rappresentanti a maggioranza repubblicana voterà in blocco contro la riforma per la Sanità , preannunciando cosa avverrebbe dopo un'eventuale vittoria di Romney. «à la stessa strategia che nel 2010 fece vincere ai repubblicani le elezioni per il Congresso - commenta il politologo Larry Sabato - ma non è detto che funzioni anche questa volta».
Rivolgendosi alla nazione dalla Casa Bianca, Barack Obama risponde alla sfida invitando la nazione a unirsi. «A Washington è già iniziato il gioco del chi ha vinto e chi perso, ma la verità è che hanno vinto tutti i cittadini americani» dice il presidente, chiedendo agli elettori di «guardare in avanti alle prossime sfide» a cominciare dal lavoro. Tocca a Nancy Pelosi, che guidò la Camera all'approvazione della riforma, parlare al cuore dei liberal nel giorno della vittoria: «Il mio pensiero va a Ted Kennedy, che sognava il momento in cui la sanità in America sarebbe stata non più un privilegio ma un diritto. Questo momento è arrivato».
2- ROBERTS, IL GIUDICE CONSERVATORE CHE HA SOCCORSO IL PRESIDENTE
Paolo Mastrolilli per "La Stampa"
Questa scena si svolge al Congresso, nel settembre 2005. I parlamentari stanno per votare una nomina fatta dal presidente George Bush, che ha scelto il giudice John Roberts come nuovo capo della Corte Suprema. Un giovane senatore dell'Illinois si alza in piedi e dice:
«Voglio credere al giudice Roberts, quando dice che non gli piacciono i bulli, e vede la legge e i tribunali come uno strumento per rendere il campo da gioco uguale, tanto per il forte quanto per il debole. Però, vista l'importanza della posizione cui ascenderà e delle decisioni cui parteciperà , devo dare più peso ai suoi atti. Lui ha usato molto più spesso le sue formidabili qualità in favore dei forti, e in opposizione ai deboli».
Quel senatore si chiamava Barack Obama, e poco dopo avrebbe votato contro la conferma di Roberts. Sette anni dopo, proprio Roberts ha espresso il parere decisivo per salvare la riforma sanitaria del presidente. Parafrasando un vecchio detto americano, ci potremmo chiedere: «Con nemici così, chi ha bisogno di amici?». Ma la sorpresa del Chief Justice, che tradisce i repubblicani e si schiera con i democratici nella decisione più importante della sua carriera, va molto oltre il colore.
Roberts, 57 anni, è un ex ragazzo prodigio dell'Indiana, cresciuto nelle migliori scuole cattoliche private del Midwest, dove era capitano della squadra di football e campione di lotta. Ha studiato legge ad Harvard, qualche anno prima di Obama, e ha diretto la Harvard Law Review, di cui Barack sarebbe diventato il primo presidente nero.
Le similitudini, però, si fermano qua. Dopo la laurea, John era diventato assistente del giudice conservatore William Rehnquist, e non aveva mai abbandonato questo campo, lavorando anche nell'amministrazione di Bush padre.
Il rapporto con Obama è stato difficile fin dal principio, al punto che Roberts sbagliò la lettura della formula per il giuramento presidenziale, costringendo il capo della Casa Bianca a ripeterla. Da allora in poi è stato il capo di una Corte molto partitica, quasi sempre divisa tra i cinque giudici conservatori contro i quattro liberal. Proprio lui aveva deciso il caso «Citizens United», con cui aveva permesso finanziamenti elettorali senza limiti ai Super Pac, le organizzazioni che appoggiano dall'esterno i candidati. Obama lo aveva criticato apertamente per questa scelta durante il discorso sullo stato dell'Unione, e Roberts aveva risposto con una inusuale replica pubblica.
Tutto questo, forse, ha contribuito a far scendere l'approvazione della Corte Suprema tra gli americani dall'80% degli Anni 90 al 44% di oggi. Eppure ieri, a sorpresa, è arrivata la svolta. La prima spiegazione è che Roberts ha voluto evitare lo scontro frontale, e l'accusa di presiedere una Corte che ambisce a scrivere le leggi, per preservare il suo capitale politico in vista di altre decisioni fondamentali che lo attendono, come quelle prossime sul diritto di voto e l'«affirmative action» nelle scuole pubbliche. La seconda ipotesi, però, è che ha votato semplicemente secondo coscienza, riscattando l'integrità di un sistema democratico di bilanciamento dei poteri che funziona.
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