1- OBAMA TREMA: IL PRESIDENTE IN SCADENZA, DETESTATO DAI POTERI DI WALL STREET CHE FINANZIANO ROMNEY, SA BENISSIMO CHE IL SUO DESTINO È LEGATO A DUE FATTORI: LA SOPRAVVIVENZA DELL’EURO IN SPAGNA E IN ITALIA E LO STATUS QUO IN MEDIO ORIENTE 2- SE ISRAELE DICHIARA GUERRA ALL’IRAN, CON LA CONSEGUENTE DISCESA IN CAMPO DEGLI STATI UNITI, SAREBBE IL COLPO DEL KO ALLE SUE SPERANZE DI ESSERE RIELETTO 3-ECCO PERCHÉ L’ATTENTATO IN BULGARIA CHE HA FATTO STRAGE DI TURISTI ISRAELIANI E L’ASSEDIO AL REGIME DI ASSAD SONO DUE BOMBE PRONTE A FARLO SALTARE IN ARIA 4- NEL CASO IN CUI IL GOVERNO DI NETANYAHU RIUSCISSE A FRENARE L’ISTINTO DI DARE UNA “LEZIONE” A TEHERAN, WALL STREET HA NELLA FONDINA QUELLE DIECI BANCHE AMERICANE CON LE LORO AGENZIE DI RATING CHE MANOVRANO LA SPECULAZIONE SULL’EURO

1- DAGOREPORT
Obama trema: il presidente in scadenza, detestato dai poteri di Wall Street che finanziano il suo rivale Romney, sa benissimo che il suo destino è legato a due fattori: la sopravvivenza dell'euro in Spagna e in Italia e lo status quo in Medio Oriente. Una guerra con l'Iran, innescata da Israele con la conseguente discesa in campo di battaglia degli Stati Uniti, sarebbe il colpo del ko alle sue speranze di essere rieletto alla Casa Bianca.

Ecco perché l'attentato in Bulgaria che ha fatto strage di turisti israeliani e il contemporaneo assedio al regime di Assad sono due bombe pronte ad esplodere sotto la prima poltrona della Casa Bianca.

Nel caso in cui il governo di Netanyahu, grazie alla componente centrista di Kadima, riuscisse a frenare l'istinto di dare una "lezione" a Teheran, Wall Street avrebbe in mano, come arma, quelle dieci banche americane con le loro agenzie di rating pronte a manovrare la speculazione sull'euro. La famigerata ‘'guerra di agosto''.

2 - LA CATENA DEI SOSPETTI...
Maurizio Molinari per "la Stampa"

Una lunga serie di attentati, progettati o falliti, dall'inizio dell'anno e la macabra coincidenza di date con il massacro di Buenos Aires del 1994. Ecco l'elenco dei fatti che portano a suggerire che c'è l'impronta di Teheran sulla strage di turisti israeliani a Burgas, allungando sull'Europa i venti di guerra che spazzano il Medio Oriente.

Il 19 giugno scorso a Mombasa sono stati arrestati Ahmad Abolfathi Mohammad e Sayed Manour Mousavi, trovati in possesso di 15 kg di esplosivo destinato a colpire obiettivi «israeliani, americani, sauditi o britannici» secondo la versione delle autorità di Nairobi che, quando i due iraniani compaiono in tribunale il 2 luglio, li identificano come appartenenti alla «Forza Al Quds delle Guardie rivoluzionarie dell'Iran».

Passano poco più di dieci giorni e il 16 luglio ad essere arrestato dalla polizia locale, questa volta dentro un hotel di Limassol sull'isola di Cipro, è un cittadino iraniano in possesso di passaporto svedese. È parte di un piano teso a colpire un jet commerciale, che avrebbe fatto sosta a Nicosia in arrivo dalla Gran Bretagna con ultima destinazione Tel Aviv, con a bordo centinaia di israeliani.

Ad avere un passaporto svedese era anche uno degli iraniani implicati, a febbraio, nel fallito attentato contro l'ambasciatore israeliano in Thailandia. Anche in quell'occasione le indagini della polizia locale hanno portato verso la Forza Al Quds. Ma rispetto all'inizio dell'anno le cellule dell'unità delle Guardia della Rivoluzione iraniana che operano all'estero sembrano aver modificato obiettivo. L'operazione in Thailandia coincise infatti con alcuni attentati, falliti o parzialmente riusciti, in Azerbaigian, India e Georgia dove le vittime designate erano diplomatici dello Stato Ebraico o loro famigliari. Si è trattato in particolare di esecuzioni mirate, tese a eliminare ambasciatori o alti funzionari con esplosivi ad alto potenziale ma spesso instabili.

Dall'inizio dell'estate invece i piani sventati a Cipro e Kenya, come anche l'attentato riuscito in Bulgaria, lasciano intendere che l'intenzione è colpire i turisti israeliani nelle destinazioni da loro più tradizionalmente frequentate. Bersagliare i turisti è più facile perché si muovono in gruppo, sono tanti e l'opera di prevenzione è complessa.

La decisione di puntare su obiettivi più facili si deve probabilmente al fallimento degli attacchi ai diplomatici come anche alle pressioni da parte dei comandanti delle Guardie della rivoluzione sulle unità di Al Quds per poter vantare risultati concreti alle autorità di Teheran. Guidata da Qassem Suleimani, la Forza Al Quds (Gerusalemme) risponde infatti direttamente agli ordini del Leader Supremo della Rivoluzione, Alì Khamenei, ed è parte integrante del corpo dei pasdaran.

La scelta di compiere attentati contro gli Stati considerati nemici dell'Iran viene spiegata, in ambienti di intelligence americani e europei, con la volontà di Teheran di rispondere all'assedio delle sanzioni internazionali, divenuto più efficace a seguito dei provvedimenti che dal 1 luglio colpiscono le esportazioni di prodotti petroliferi. Burgas sarebbe dunque solo una mossa in un piano più vasto, destinato ad infiammare Medio Oriente, Europa e Paesi arabi per far pagar caro alla comunità internazionale le sanzioni tese a bloccare il programma nucleare di Teheran.

In tale cornice colpisce la coincidenza di date con l'attentato di Buenos Aires, avvenuto il 18 luglio del 1994 contro la sede della «Asociacion Mutual Israelita Argentina»: 85 vittime. Risale al 2006 l'atto d'accusa della giustizia argentina nei confronti di Teheran, nella persona dell'ex presidente Rafsanjani, per con i conseguenti mandati di cattura emessi dall'Interpol nel 2007 nei confronti di sette individui fra i quali spiccano Ahmad Vahidi, nominato nel 2009 ministro della Difesa da Mahmud Ahmadinejad, e Imad Fayez Mughnieh, l'ex regista dei più sanguinosi attacchi dagli Hezbollah ucciso a Damasco nel 2008.

Forse non è un caso che gli Hezbollah sono stati i primi a reagire a Burgus affermando che «Mughnieh sarà vendicato in altra maniera» per far capire che questa volta Teheran non si è servita di loro, bensì dei propri corpi scelti. Con Assad che traballa a Hezbollah viene a mancare il maggior protettore e lo sceicco Nasrallah sembra voler prendere le distanza dai venti di guerra in arrivo dallo Stretto di Hormuz.

2 - I RISCHI DI UN PUZZLE DA INCUBO...
Vittorio Emanuele Parsi per "la Stampa"

Da quando la crisi siriana ha preso avvio, il timore di tutti è stato che essa potesse far deflagrare l'intero Levante. Edi conseguenza, per i vincoli politici saldissimi che legano il regime di Assad, Hezbollah in Libano e la Repubblica islamica dell'Iran, accelerare il precipitare della tensione tra Teheran e Tel Aviv, continuamente alimentata dall'opaca vicenda del programma nucleare iraniano. I giorni di Assad e del suo regime appaiono sempre più contati.

L'attentato che ieri ha provocato la morte, tra gli altri, del ministro della Difesa (generale Rajha), del capo dell'intelligence militare e cognato di Bashar al Assad (Assef Shawkat) e ha ferito gravemente quello degli Interni (Mohammed al Shaar) e segnala lo straordinario salto di qualità nelle capacità dei ribelli di colpire fin nel cuore dei palazzi del potere. L'attentato è avvenuto in una delle zone più sorvegliate di Damasco, proprio mentre era in corso una riunione dell'unità di crisi del governo e dopo che da giorni i combattimenti erano divampati in alcuni quartieri del centro della capitale.

Questa sola circostanza, mentre è ancora poco chiara la dinamica dei fatti, attesta però che oltre alle defezioni plateali che in queste settimane hanno coinvolto sempre più la cerchia dei collaboratori più vicini al raìs, se ne stanno evidentemente verificando altre, più silenti e letali, perché dissimulate da lealtà.

Sono soprattutto i sunniti del regime a passare all'opposizione, contribuendo a rendere sempre più esplicita la natura alauita del potere degli Assad e in questo senso alimentando indirettamente la possibile deriva settaria della guerra civile in corso nel Paese. Agli occhi di molti membri della sua comunità, la morte del generale Rajha - il cristiano di più alto rango tra i dignitari di Assad - rischia di essere interpretata come un lugubre presagio del destino che potrebbe attendere la minoranza cristiana del Paese, dai ribelli accusata di essere rimasta leale al dittatore, i cui numeri si stanno già assottigliando.

Analogamente a Saddam Hussein, anche Hafez al Assad (padre di Bashar) aveva fatto del «divide et impera» l'asse portante della propria strategia di controllo. Ambedue a capo di repubbliche socialiste e di fazioni rivali del partito Baath ed entrambi al governo di società religiosamente frammentate, sia l'uno che l'altro si erano sempre appoggiati sulle minoranze (sunniti e cristiani in Iraq, alawiti e cristiani in Siria) per controllare la maggioranza delle proprie popolazioni. Bashar ha proseguito sulle orme del padre, ovviamente. Ma proprio il dubbio sulla tenuta del regime potrebbe infiammare la lotta settaria ben oltre i confini siriani.

Non è un caso che nel vicino Libano, il cui precario equilibrio poggia invece su un tanto esplicito quanto fragile compromesso costituzionale tra le sette, si facciano sempre più frequenti gli scontri tra sostenitori e oppositori del regime siriano (la cui influenza nel Paese dei Cedri è tornata a essere massiccia dopo che il partitomilizia di Hezbollah è diventato la formazione egemone del nuovo governo). Ieri persino nella centrale Hamra - quartiere prevalentemente sunnita di Beirut - sciiti e sunniti si sono sparati addosso, portando fin nel cuore della capitale quegli scontri finora concentrati nel Nord, nella zona di Tripoli.

L'attentato di ieri in Bulgaria, in cui sette turisti israeliani hanno perso la vita e una ventina sono rimasti feriti, potrebbe non avere alcuna connessione con gli eventi finora analizzati. Ma le accuse rivolte all'Iran dal premier israeliano Benjamin Netanyahu di essere «responsabile» dell'attentato (che fa seguito ad alcuni altri in cui il coinvolgimento di cittadini iraniani è stato provato) e la sottolineatura di come questo atto terroristico sia stato perpetrato nel 18° anniversario dell'attacco alla comunità ebraica di Buenos Aires (di cui proprio Hezbollah è dagli israeliani ritenuto l'esecutore) creano comunque un collegamento gravido di fosche conseguenze politiche.

È possibile che davvero l'Iran ed Hezbollah siano dietro questo attentato, che l'abbiano deciso con lo scopo deliberato di ammonire la comunità internazionale sui prezzi da pagare nel caso di un coinvolgimento troppo diretto nelle vicende siriane. È anche possibile che il governo israeliano sia balzato troppo rapidamente alle conclusioni, magari coltivando la pericolosa illusione di regolare i conti una volta per tutte con i propri avversari.

Ad ogni modo, e per la prima volta, non è mai stato così concreto come in queste ore il rischio che l'irrisolta questione dell'accettazione della presenza di Israele nella regione (e del rispetto dei diritti del popolo palestinese) si saldi con le intifade arabe di questi due anni, con le lotte tra sciiti e sunniti (dal Bahrein al Libano) e con la vicenda atomica iraniana. Un puzzle da incubo.

 

 

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