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OCCHIO RENZI, IL COMPAGNO DENIS COSTA – L’ABBRACCIO SOFFOCANTE DI VERDINI AL PD PREOCCUPA ANCHE DUE MINISTRI FEDELI COME DELRIO E ORLANDO – DON GRAZIANO: “SE IL PARTITO DELLA NAZIONE È UNA MARMELLATA DI TRASFORMISMI, IO NE RESTO FUORI”
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Stavolta non è la solita sinistra dei «piagnistei» o il «gufo » Bersani a farsi delle domande sul partito della Nazione e sull' allargamento della maggioranza alle truppe di centrodestra che passando da Verdini a Bondi vogliono abbracciare il premier senza che lui faccia mostra di particolari resistenze.
Stavolta i punti interrogativi sulla rotta di Matteo Renzi nascono nel cuore del suo governo e vengono da ministri che sono renziani della primissima ora o hanno rotto da tempo con la Ditta. «Se qualcuno ha in testa il Partito della Nazione, ne voglio prima discutere. E se è un progetto concreto, se è una marmellata di trasformismi, io ne resterei fuori. Torno ai miei studi, come diceva Amato», ripete da qualche giorno Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture, ai suoi amici nel Pd.
«Non ho pregiudizi né contro Alfano né contro Verdini. Sono contrario ai buttafuori, non servono a niente a patto che il Pd si dia un' identita di centrosinistra chiara, un profilo riconoscibile come fece l' Ulivo», spiega il ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Succede che, complice la frana del centrodestra e il recente voto sulle riforme costituzionali, nel «giardino di casa» dei democratici (per usare un' espressione di Bersani) si siano stabiliti i fuoriusciti verdiniani e gli alfaniani, al netto delle divergenze sulle unioni civili. Magari sono ospiti "imbucati" ma l' impressione è che cerchino un upgrade , un riconoscimento formale tanto che Ala, la formazione di Verdini, si prepara a un ap-poggio esterno all' esecutivo, ovvero a diventare un vero e proprio alleato della coalizione, con le sue proposte e le sue richieste. Per Delrio è un orizzonte abbastanza indigeribile. Anche per una questione di metodo.
«L' appoggio sulle riforme è più che legittimo, anzi è importante - è il ragionamento di Delrio nei colloqui privati - . Ma sul governo un confronto politico lo abbiamo con Ncd. Di là, con gli ex Forza Italia, di cosa stiamo parlando? Hanno idee, progetti, quali sono, come vogliono contribuire alla coalizione? Scambi non ne facciamo, sia chiaro. E di questo dovremmo discutere pubblicamente, non nelle cene ai ristoranti».
Per queste voci critiche, la legge di stabilità diventa la controprova su equilibri politici e sul profilo identitario del partito. Non perché Delrio e Orlando siano avversari della manovra impostata da Renzi. Tutt' altro, sebbene non abbiano sostenuto l' innalzamento del limite dei pagamenti in contante, «una misura marginale in un provvedimento che ha anche tanti risvolti sociali», precisa il titolare delle Infrastrutture. La loro non è una fronda contro Renzi. Semmai è un altolà a esperimenti genetici innaturali.
«Alleati sì, insieme mai», è il pensiero del Guardasigilli. Ma chiedono al premier di dare al Partito democratico una forma che vada al di là del leader. «Un profilo di centrosinistra - chiarisce Matteo Richetti, altro renziano degli esordi - . Con la carica di innovazione che gli sta dando Renzi, a cominciare dalla posizione sulle tasse, ma con le sue radici e i suoi valori. Poi, se vogliono entrarci quelli che hanno votato Berlusconi credendo nella sua modernità, benissimo. Ma stiamo attenti che il Partito della Nazione non diventi il partito dell' ammucchione».
Adesso che il quadro di riforme innovative è definito, bisognerebbe che il Pd costruisse la sua forma. A Palazzo Chigi, raccontano, era nato un minipensatoio che con il contributo di Delrio, Nannicini, Guerra, Farinetti e altri aveva dato la spinta a lavoro realizzato in questi mesi.
Quello scambio di idee si è un po' perso, anche perché ormai il progetto è incardinato. Ma se viene sostituito dalle trattative "nascoste" con Verdini, si apre un problema. Più prosaicamente, Orlando la spiega così ai suoi interlocutori: «A Roma puoi controllare il fenomeno, ma sui territori il rischio è imbarcare di tutto». Naturalmente, dicono sia Orlando sia Delrio, tutto nasce dal sostanziale pareggio delle elezioni 2013. Nessun vincitore e quindi alleanze particolari.
Non è certo colpa di Renzi o di Luca Lotti che si è occupato in prima persona dell' operazione Verdini. La pensa come i colleghi Dario Franceschini: «La legislatura è partita senza una maggioranza parlamentare, un processo di rimozione collettiva tende a farlo dimenticare». Il ministro della Cultura perciò non è allarmato dalle contaminazioni: «Non entreranno mai nel Pd, che dubbio c' è? Sono alleati come lo erano nel governo Letta.
Ci sarà tempo, poi, fino al 2018 per definire i campi».
Ma l' arrembaggio di Verdini e l' abbraccio di Alfano spinto ancora di più verso Renzi dalle scissioni in corso nell' Ncd sono qui e ora. E l' ipotesi di un ingresso di Ala nella coalizione di governo diventa credibile visti i numeri difficilissimi del Senato. Ecco perché qualcuno chiede risposte prima del 2018. E stavolta non sono i soliti «gufi».