PADRINO PA-DRONE - GLI USA HANNO UNA “KILL LIST” NELLA QUALE SONO INDICATI I NOMI DEI TERRORISTI DA ELIMINARE - È LO STESSO OBAMA CHE SEGNALA I BERSAGLI E CHE DÀ UNA PRIORITÀ ALLE UCCISIONI - LA STRATEGIA AMERICANA SI FONDA SUI MICIDIALI DRONI, CHE IN 300 ATTACCHI HANNO UCCISO 2500 PERSONE - IL NUOVO FILM DI KATHRYN BIGELOW RACCONTA IL RAID CONTRO BIN LADEN: “MA NON COSA È SUCCESSO DOPO L’UCCISIONE”…

1 - DRONI E "KILL LIST" LA TATTICA DI OBAMA CONTRO AL QAEDA...
Maurizio Molinari per "la Stampa"

L' eliminazione di Osama bin Laden ad Abbottabad è un momento di fine ed al tempo stesso di inizio della guerra al terrorismo inaugurata dagli Stati Uniti in risposta agli attacchi dell'11 settembre 2001 contro New York e Washington.

Ciò che termina è la fase della caccia al leader di Al Qaeda, lanciata da George W. Bush e continuata da Barack Obama, per «fare giustizia» nei confronti del mandante dell'11 settembre e dei suoi più stretti collaboratori, fra i quali l'unico sopravvissuto al momento è l'ideologo della jihad Ayman al-Zawahiri. Non a caso nella campagna elettorale appena conclusa Obama in più occasioni ha rivelato il merito dell'uccisione di Bin Laden per sottolineare la propria capacità di essere «comandante in capo» e difendere la nazione.

Ma è il metodo stesso con cui Obama elimina Bin Laden a segnare una svolta che si annuncia di lungo termine. Per due motivi. Primo: la stretta cooperazione fra intelligence e forze speciali, Cia e Pentagono, che implica la scelta di puntare sulle operazioni segrete più che sugli interventi militari di tipo tradizionale.

Secondo: la «Disposition Matrix» creata dall'amministrazione Obama all'inizio del 2010 che vede tutte le agenzie di intelligence partecipare alla compilazione di una «Kill List» di terroristi fra i quali è il Presidente in persona ad indicare chi deve essere eliminato per ragioni di sicurezza. In particolare, la «Kill List» nasce dalla convinzione di John Brennan, veterano della Cia e consigliere di Obama per la lotta al terrorismo, che gli Usa abbiano bisogno di una strategia decennale per continuare a braccare ed eliminare i più pericolosi esponenti di una galassia jihadista in continua trasformazione.

Quando, nella notte fra il 1 e 2 maggio 2011, i Navy Seals eliminano «Geronimo» è il nome di Bin Laden ad essere depennato dalla cima della «Kill List», sostituito da quello dell'imam yemenita - americano Anwar al-Awlaki, ucciso in un attacco di droni il 30 settembre seguente.

I droni sono l'altro pilastro della strategia anti-terrorismo pensata da Brennan e autorizzata da Obama per continuare negli anni a venire. Per questo, subito dopo la rielezione, fonti dell'amministrazione fanno trapelare sul «New York Times» l'intenzione di chiedere al Congresso di approvare le regole ad hoc per l'uso degli aerei senza pilota con i quali la Cia ha condotto dall'inizio del primo mandato di Obama oltre 300 attacchi uccidendo almeno 2500 persone.

L'intenzione della Casa Bianca è di creare dei criteri per legittimare tali attacchi ovvero essere sicuri dell'«identità dell'obiettivo» e dell'«imminenza del pericolo per l'America» che esso rappresenta. È un passaggio con un importante risvolto giuridico perché l'approvazione di una simile legge consentirà alla Casa Bianca di rispondere alle accuse di violazione dei diritti umani e delle altrui sovranità destinate ad essere sollevate dal nuovo ufficio che l'Onu creerà nel 2013 a Ginevra proprio per affrontare gli aspetti di legalità internazionale della guerra dei droni.


2 - BIGELOW: "RACCONTO L'EROINA SEGRETA CHE HA BRACCATO OSAMA"
Lorenzo Soria per "la Stampa"

Il loro primo film assieme, «The Hurt Locker», la guerra in Iraq vista con gli occhi di un team di artificieri, è stato più che un successo: nel 2010 Mark Boal, sceneggiatore, e Kathryn Bigelow, regista, hanno battuto nella corsa all'Oscar «Avatar», facendo incetta di statuette, quella per il miglior film e poi altre cinque, inclusa quella per la miglior regia andata, prima volta nella storia degli Academy Awards, a una donna.

Subito dopo, forti del loro trionfo, i due si misero a lavorare su un altro tema di grande attualità: la decennale caccia a Osama bin Laden, iniziata subito dopo l'11 settembre 2011 e concentrare tra le impervie montagne di Tora Bora, al confine tra Afghanistan e Pakistan. Ma proprio quando Boal, radici di giornalista investigativo, aveva terminato la sua sceneggiatura e la Bigelow si apprestava alle prime riprese, nella notte tra l'1 e il 2 maggio del 2011 un imprevisto ha messo sottosopra i loro piani: il raid dei Navy Seals nella mini-fortezza del leader di Al Qaeda ad Abbottabad ad appena un chilometro di distanza dall'Accademia militare delle forze armate del Pakistan.

Per l'America, il sollievo di sapere che l'uomo dietro l'attentato alle Torri Gemelle era finalmente morto. Per il presidente Obama, il più grande successo di politica estera. Ma per Boal e la Bigelow quell'audace e chirurgico raid militare ha significato dover ricominciare tutto daccapo.

Il risultato è «Zero Dark Thirty», un film girato con uno stile molto asciutto e documentaristico, al cui centro c'è una vera agente della Cia, interpretata da Jessica Chastain, che alla caccia a Bin Laden ha dedicato dieci anni della sua vita in modo quasi ossessivo e che i suoi colleghi chiamano semplicemente The Girl. Abbiamo parlato di lei con la stessa Bigelow.

Partiamo dal ruolo centrale giocato dalle donne nel suo film.
«Sono rimasta sorpresa anch'io, ma dal lavoro investigativo di Boal questo è ciò che è emerso: che nello straordinario gruppo di persone che popolano la comunità dello spionaggio e della Difesa ci sono molte donne, che ci proteggono con grande spirito di sacrificio e in totale segretezza. E la figura della Chastain è basata su un'agente vera».

Una domanda che potrebbe sembrarle un po' maschilista: ma oltre che brave sono anche belle come Jessica Chastain?
«È stata un'altra delle sorprese emerse dalle nostre indagini, anche questa basata solo sui fatti. Non ho cercato coreografie e momenti hollywoodiani e uno dei fatti è che oltre ad esserci tante donne, molte di loro sono davvero avvenenti».

Prima ancora che iniziaste le riprese, il vostro film è stato al centro di una controversia politica, con vari esponenti repubblicani che hanno accusato voi e varie agenzie governative di voler fare un film propagandistico per favorire la rielezione di Obama.
«Anche se le accuse non erano basate sulla realtà, la controversia per noi è stata una grande distrazione. Ma non ho potuto dedicarle più di tanto, perché ero impegnata a costruire un centinaio di set, a riempire 120 ruoli. Non penso sarei una buona spia, ma condivido con il team dietro alla caccia a Bin Laden la stessa tenacia e la stessa capacità di guardare avanti e superare gli ostacoli».

Anche la data di uscita in America, subito dopo le elezioni, non è stata dunque influenzata dall'opportunità politica?
«Il nostro film non è mai stato condizionato da considerazioni politiche, solo dalle necessità della produzione».

Il film chiude con il riconoscimento del corpo di Bin Laden. E dopo?
«Il raid che ha portato all'uccisione di Bin Laden rappresenta un cambiamento paradigmatico, per il nostro Paese e per la nostra cultura. Che cosa accadrà dopo non lo sappiamo e non cerchiamo neanche di capirlo. E questa per me è una delle cose belle della nostra storia, che il futuro è tutto da raccontare».

 

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