IL PASSO FELPATO DI AL JOLANI, OVVERO IL TERZO POLO DELL’ISLAM – IL LEADER DEI JIHADISTI “MODERATI” AL POTERE IN SIRIA PROVA A PRESENTARSI COME ASPIRANTE STATISTA E MANDA MESSAGGI AGLI USA – PROMETTE ELEZIONI E PACE SOCIALE, NON MINACCIA ISRAELE, PREMIA I SUOI ALLEATI. SUL VELO PER ORA NIENTE OBBLIGO – IL NODO DELLA COSTITUENTE, IL PESO DI ERDOGAN E I TIMORI DEI CRISTIANI…
Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Da giovane militante panislamico schierato con Al Qaeda e combattente di Isis a statista pragmatico deciso a lavorare per la costruzione di «una nuova Siria unita e inclusiva di tutte le sue componenti». La biografia del 42enne Ahmad al Sharaa, meglio noto col suo nome di guerra Abu Mohammad al-Jolani, condensa già, nella sua evoluzione dal radicalismo dei tagliagole in nome di Allah alla politica del dialogo, gran parte delle domande che la comunità internazionale si pone di fronte al nuovo esecutivo che occupa i palazzi del potere a Damasco 14 giorni dopo la defenestrazione di Bashar Assad.
Possiamo fidarci di loro? Non c’è il rischio che oggi il fare pacato del nuovo leader siriano nasconda in realtà il pericolo di una deriva afghana e che in poche settimane si sia scivolati dalle brutalità di uno dei regimi più sanguinari nella storia del Medio Oriente contemporaneo a una sorta di Califfato sunnita destinato a destabilizzare ulteriormente la regione?
In tutte le recenti dichiarazioni di al-Jolani, le espressioni «pace sociale», «dialogo con le diverse comunità», «rispetto per tutti i siriani» sono state le più ripetute. Non minaccia nemmeno Israele, che pure ha approfittato del caos attaccando basi e depositi militari, oltre a occupare terre siriane tra il Golan e il monte Hermon. Oggi buona parte della comunità internazionale sembra propensa a sospendere il giudizio e fargli un’apertura di credito.
Due giorni fa una delegazione americana ha avuto lunghi colloqui con il nuovo esecutivo. Washington ha deciso di cancellare il mandato di cattura nei confronti di al-Jolani, che dal 2013 era accusato di «terrorismo»: sulla sua testa pendeva una taglia da 10 milioni di dollari.
una statua di Hafez al Assad abbattuta
L’Italia assieme ad altri Paesi Ue (Grecia, Romania, Cipro, Ungheria, Cechia) aveva già notificato la ripresa delle attività della sua ambasciata a Damasco. Da luglio è presente l’ambasciatore Stefano Ravagnan, che peraltro non aveva mai presentato le credenziali al governo Assad (evitando quindi un riconoscimento formale) e per ora si astiene dal farlo anche con il nuovo governo.
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Al-Jolani promette che ci saranno tre mesi di tregua. Si lavora per creare una Conferenza nazionale, che vorrebbe rappresentare tutte le comunità e nel cui ambito dovrebbero venire promosse alcune commissioni con l’incarico di elaborare la nuova costituzione.
La sua preoccupazione è quella di includere i siriani fuggiti all’estero a causa del vecchio regime. Si stima siano tra gli 8 e 13 milioni, circa la metà dell’intera popolazione. Una mossa coraggiosa, visto che molti di loro potrebbero non condividere la cultura islamica imperante tra i ranghi dello Hts.
Nella prossima estate si vorrebbe poi organizzare un censimento generale. E soltanto allora, forse tra un anno, sarà possibile tenere le elezioni. Ma non mancano domande al momento prive di risposte: quali i criteri per designare i delegati della Conferenza nazionale? Saranno autorizzati osservatori stranieri? Non sarebbe meglio creare la costituente dopo le elezioni per garantirne la pluralità?
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Prova del nove sarà il comportamento nei confronti delle minoranze alawita e cristiana, puntelli del regime di Assad che ora temono rappresaglie. Tanti cristiani confessano che vorrebbero emigrare e gli alawiti sognano un impossibile loro piccolo Stato indipendente.
Per ora, a parte alcune vendette private, la transizione appare tranquilla. Ma siamo ancora agli esordi. Tra i miliziani armati nella capitale ci sono uiguri che sognano di fondare una repubblica islamica separata in Cina, oltre a uzbeki, ceceni, turkmeni e turchi.
A ben vedere, la stessa internazionale islamica che nel 2012 si era riversata nelle terre del Califfato di al-Bagdadi e poi si è riciclata tra le unità di Al Nusra, prima di essere addestrata dai turchi per combattere i curdi nel Rojawa a Nord-Est.
Ursula von der leyen – Recep Tayyip Erdogan
Sharaa oggi minimizza il ruolo turco e ripete alle televisioni occidentali: «La caduta di Assad fa bene alla Siria e alla Turchia». Ma aggiunge poi che è «una vittoria della resistenza siriana, la Turchia non c’entra nulla».
In realtà Erdogan ha avuto un ruolo centrale. Tanto che adesso anche Putin cerca il dialogo con lui per mantenere le basi militari russe a Latakia e Tartus. Oggi il sultano vorrebbe smantellare l’ enclave curda una volta per tutte. Al-Jolani ripete che con i curdi vuole un dialogo inclusivo: sarà una delle sfide più impegnative.
Abu Mohammad al Jolanial jolani 2al jolani bacia la terra davanti alla moschea omayyadi