LA CINA SI AVVICINA - LA NUOVA BANCA DI INVESTIMENTI CINESE, CON 50 MLD $ DI CAPITALE, FINANZIA A INTERESSI ZERO I PAESI IN VIA DI SVILUPPO IN CAMBIO DI APPOGGIO POLITICO
Maurizio Stefanini per "Libero quotidiano"
Asian Infrastructure Investment Bank: così si chiama la «Super-banca» pensata da Pechino come arma forse risolutiva nella sua guerra economia e diplomatica per il predominio mondiale, e per cui sarebbe pronto uno stanziamento iniziale da 50 miliardi di dollari.
«La Cina è pronta per i colloqui preliminari con le parti in causa, speriamo di poter inaugurare la nuova banca entro un breve termine», ha trionfalmente annunciato il primo ministro Li Keqiang durante il discorso di apertura del Forum asiatico di Boao. Le «parti in causa» sarebbero quelle nazioni asiatiche che finora per prestiti e investimenti si sono rivolti all'Asian Development Bank: un istituto che ha agli occhi di Pechino il doppio problema di avere sede a Manila, e di avere per tradizione un governatore giapponese, così come quello della Banca Mondiale è tradizionalmente statunitense e quello del Fondo Monetario Internazionale un europeo.
NEMICI
Sia il Giappone che le Filippine sono in questo momento ai ferri corti con Pechino per questioni piuttosto simili di arcipelaghi contesi: tra Pechino e Tokyo per quelle che i cinesi chiamano Diaoyu e i giapponesi Senkaku; tra Pechino e Manila per le Spratly, che peraltro sono contemporaneamente rivendicate anche da Taiwan, Vietnam,Malaysia e Brunei.
Anche col Vietnam è peraltro esploso il contenzioso per le isole Paracels, con le navi cinesi che a protezione di una piattaforma di estrazione hanno sparato contro le vietnamite con cannoni a acqua. Gli Stati Uniti dopo aver garantito al Giappone che anche le Senkaku-Diaoyu sono coperte dal patto di alleanza bilaterale hanno iniziato con Filippine un'importante esercitazione militare congiunta, e al vertice dell'Asean Vietnam e Filippine si sono appunto presentate sbraitando contro Pechino.
E in questo momento c'è pure un pubblico ministero filippino che accusa 11marinai di Pechino per la cattura di «specie protette»,dopo essere stati sorpresi con centinaia di tartarughe di mare a bordo. Di fronte al rischio di una condanna fino a 20 anni di galera Pechino minaccia ritorsioni e rivendica una «indiscutibile sovranità » sulla zona. Per giunta la vittoria del nazionalista Bjp alle elezioni indiane rischiadi aumentare i fronti di tensione.
Accusando gli Stati Uniti di starle costruendo attorno una «Grande Muraglia» marittima di nazioni ostili, Pechino cerca di premurarsi costruendo a sua volta una contro- catena di basi e punti di appoggio per assicurarle la rotta dell'Oceano Indiano fino alla costa africana,e che si basa in particolare su porti e altre strutture che stanno venendo costruiti con fondi cinesi in Thailandia, Myanmar, Sri Lanka, Pakistan, Maldive e Africa.
à la cosiddetta strategia del «Filo di Perle». Ma è un«filo» che appunto esaspera i litigi marittimi con i dirimpettai, e che è accusato dai nazionalisti di New Delhi di strozzare invece l'India.
Di fronte a un montare di tensioni che attizza antipatie anti-cinesi ataviche, dunque, Pechino pensa bene di rispondere mettendo mano alla borsa. Detto meglio ancora: con un dumping creditizio analogo a quello salariale con cui ha messo a mal partito l'industria manifatturiera dell'Occidente, perché in pratica la nuova Asian Infrastructure Investment Bank spiazzerebbe Asian Development Bank, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale a un tempo, offrendo prestiti a tasso zero in cambio e senza neanche quei canoni standard come la richiesta di riforme o comportamento virtuosi in campo politico e/o economico.
A Pechino basterebbe solo che i beneficati sostengano sistematicamente la posizione cinese in arene internazionali come Nazioni Unite, Asean o Corte penale dell'Aja su questioni come il Tibet, il Xinjiang, Taiwan, i confini terresti con l'India o quelli marittimi.
STRATEGIA
Paradossalmente, e proprio per la presenza di radicati interessi e sentimenti anti- cinesi, finora la penetrazione dell'egemonismo di Pechino in Asia è stata molto più lenta che non in Africa, dove i primi problemi stanno emergendo solo ora; o in America Latina, dove invece in nome del tradizionale anti-americanismo le cose vanno a gonfie vele.
Sul fronte africano, dove la Cina si sarebbe già impadronita del 40% delle risorse locali, LiKeqiang ha fatto un viaggio di una settimana in Etiopia, Nigeria, Angola e Kenya, in cui ha ammesso che nel rapporto sino-africano «ci sono ancora dei punti dolorosi», anche se ha promesso che questi nodi «verranno sciolti presto».
Proprio per superare la nascente ostilità anti-cinese ha prospettato entro il 2010 100 miliardi di dollari in più di investimenti in Africa e una bilancia commerciale bilaterale da 400 miliardi, anticipando intanto un prestito da 10 milioni di dollari per la protezione dell'ambiente in Africa e un altro da 8milioni per le vittime della terribile guerra civile in Sud Sudan.
Mentre in America Latina la Cina ha pompato tra 2005 e 2013 102 miliardi di prestiti, facendo in più uno shopping in cui figurano 5,8 miliardi pagati in Perù per acquisire dalla svizzera Glencore la miniera di rame Las Bambas; 42miliardi di investimenti nell'industria petrolifera del Venezuela; 12,1 miliardi nell'industria petrolifera del Brasile; 13miliardi in quella argentina.
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