PERCHÉ DI MAIO HA DECISO DI FARE LA FIGURA DELL'ALLOCCONE CON QUELLA SPARATA DA VESPA SUL DECRETO FISCALE? LO SPIEGA FRANCO BECHIS: “CI SONO DUE IPOTESI. LA PRIMA È CHE VOGLIA FAR CADERE IL GOVERNO. LA SECONDA È CHE DENTRO IL MOVIMENTO RIBOLLE L’AREA NON AMICA DEL GOVERNO. MA PER DI MAIO SARÀ DIFFICILE FARE MARCIA INDIETRO. FORSE IL REGALO GLIELO FARÀ L’INTELLIGENTISSIMA COMMISSIONE UE…”
Franco Bechis per il “Corriere dell’Umbria”
DI MAIO IL COMPLOTTO DELLA MANINA
Il volo è stato breve. Quando le agenzie italiane mercoledì sera battevano le clamorose dichiarazioni di Luigi Di Maio sulla “manina” che avrebbe manomesso il testo del condono fiscale stravolgendolo rispetto ai patti con la Lega, in pochi minuti sono planate sullo smartphone di Matteo Salvini.
L'altro vicepremier e ministro dell'Interno in quel momento era Mosca, seduto al tavolo di un ristorante alla moda nei piani alti di un grattacielo nel centro della capitale russa. Aveva intorno a sé i suoi collaboratori e un gruppo di imprenditori italiani di Confindustria che lo aveva lì invitato con cui stava parlando proprio della manovra economica italiana.
Si è appartato un attimo con il suo staff chiedendo scusa ai commensali, ha confessato loro di non capire e di non avere avuto alcun preavviso della bufera, e ha finto calma: “aspettiamo la fine di Porta a Porta, magari Di Maio dice altro e chiarisce”. Solo un'altra battuta veloce: “povero Giuseppe Conte. Certo che nel mezzo di un braccio di ferro con l'Europa gli arriva sto regalino che lo rende ridicolo davanti agli altri capi di Stato Ue nel mezzo di un vertice dove lui cercava di spiegare le virtù della manovra...”.
Dentro sé però Salvini è diventato di ghiaccio, ed è quasi sobbalzato quando un cameriere gli ha portato una folta pelliccia russa provando a fargliela indossare: aveva capito qualcosa perfino quel cameriere russo? Ma no, è che il ristorante a fine pasto stava per regalare agli ospiti un vero colpo di teatro: l'ingresso in una saletta riservata agli ospiti di riguardo, con le pareti tutte di ghiaccio. Un freddo cane, lì dentro, ed ecco perché la pelliccia. Ma l'ambiente migliore dove degustare alla fine quella vodka speciale che il cameriere stava per servire.
Quel grande freddo dentro e fuori deve avere paralizzato Salvini per molte ore, perché solo ieri pomeriggio rientrato in Italia il leader della Lega ha voluto affrontare a Bolzano con i giornalisti quel che era accaduto e che stava incrinando seriamente l'alleanza di governo.
E lo ha fatto in modo tranchant, smentendo con decisione quel che aveva detto Di Maio, e sostenendo che il testo del condono uscito dal consiglio dei ministri del 15 ottobre è esattamente quello che era noto a tutti prima e durante il consiglio dei ministri e che lui non è disponibile a ridiscuterlo dopo averlo fatto per lunghe ore e molti giorni in precedenza. Quindi Salvini ha fatto capire che né lui né i ministri della Lega parteciperanno al consiglio dei ministri “di chiarimento e riparazione” che Conte ha convocato per sabato prossimo.
Al di là dei fuochi di artificio, veniamo a quello che sarebbe il motivo di contrasto: il testo del condono al momento scritto nell'articolo 9 del decreto legge sulla cosiddetta pax fiscale. Che fosse noto a tutti che il testo esistesse è pacifico: è stato ampiamente illustrato dal presidente del Consiglio Conte ai giornalisti la sera stessa del 15 ottobre in conferenza stampa a palazzo Chigi.
Di Maio e Salvini erano raggianti, quindi era pacifico per tutti che in quel decreto ci fosse un condono fiscale sotto forma di ravvedimento operoso straordinario rivolto a chi aveva presentato una regolare denuncia dei redditi, ma si era “scordato” nella dichiarazione parte dei guadagni effettivamente ottenuti. Sulla nuova somma tornata alla memoria e dichiarata entro il 31 marzo del prossimo anno si sarebbe dovuto versare allo Stato il 20% di tasse, quindi meno delle aliquote fiscali in vigore.
Questo per tutte le dichiarazioni dimenticate negli ultimi cinque anni (quelli in cui sarebbe ancora possibile l'accertamento fiscale) fino al 31 ottobre 2017, a patto che per ogni anno fiscale i guadagni dimenticati non superassero i 100 mila euro e comunque non fossero superiori al 30% di quanto effettivamente dichiarato (quindi per i 100 mila euro bisognava averne dichiarati ufficialmente almeno 333 mila euro). Su questo tutti d'accordo e sorridenti.
Di Maio sostiene che nella riunione politica che ha preceduto il consiglio dei ministri si era concordato con la Lega di levare dal testo due cose che erano “indigeribili” per il M5s: l'estensione del condono anche agli immobili e ai capitali detenuti all'estero e la previsione di non punibilità per chi aderiva a questo ravvedimento operoso in cui per altro figuravano oltre ai reati di omessa o infedele dichiarazione anche quelli più pesanti di riciclaggio e auto riciclaggio.
Questa versione mi è stata confermata genericamente da un altro ministro M5s, ma decisamente negata dall'intera componente della Lega al governo. Secondo loro mai si sarebbe discusso di questo tema né prima né dopo il consiglio dei ministri.
Dei due punti controversi uno in verità è poco rilevante: con quei paletti e quegli importi, dopo numerosi scudi fiscali per i beni detenuti all'estero, sinceramente è difficile che possa emergere ancora qualcosa. E se c'è, non certo per quelle cifre. L'altro aspetto, quello della depenalizzazione, è invece essenziale per qualsiasi condono del mondo.
Perché nessuno andrebbe a denunciare quel “nero” non dichiarato ufficialmente pagando sì il 20%, ma nella certezza di finire in galera con quel gesto e di restarci da uno a dieci anni e più. E' evidente che il condono sarebbe inutile farlo. Di Maio sostiene: sì, ma con la depenalizzazione del riciclaggio e simili andiamo a fare un favore anche ai mafiosi che correrebbero a fare il condono.
L'argomento mi sembra debolissimo. Perché ci sono solo due casi possibili: quelli sono stati individuati come mafiosi, e quindi sono stati arrestati e sono in carcere. Oppure quelli sono mafiosi, ma lo Stato non lo sa, e quindi sono liberi e delinquono in segreto tutti i giorni. Nel primo caso nessuno di loro può fare il condono fiscale. Nel secondo caso siccome loro sono mafiosi ma lo Stato non lo sa perché non li ha pizzicati, questi possono fare esattamente quello che è concesso a tutti gli altri cittadini: quindi anche fare il condono.
Provate a ragionare però: se un mafioso è milionario perché gestisce il traffico della droga, aderendo al condono, deve fare emergere i proventi della droga e dall'anno prossimo non può più fare il mafioso. Secondo voi lo farà? Secondo me il rischio è zero. Allora è evidente che con quel modo Di Maio ha per la prima volta incrinato la maggioranza che sta al governo.
Perché prima di andare a Porta a Porta- prestando fede alla sua ricostruzione- avrebbe dovuto chiamare Salvini e Conte e chiedere di vedersi per chiarire quello che lui riteneva un patto non onorato dalla Lega. Tutto a porte chiuse, perché così si fa per non alimentare polemiche esterne quando non è necessario. Ma questo non è avvenuto.
Perché allora Di Maio ha scelto la strada dello scontro aperto? Ci sono due ipotesi. La prima è che voglia fare cadere il governo e rompere con la Lega perché quella alleanza da mesi sta facendo perdere consensi al M5s. La seconda è che dentro il Movimento quel condono non va giù, e ribolle l'area non amica del governo che fa riferimento a Roberto Fico.
Il prossimo week end i grillini hanno in calendario la loro kermesse annuale al circo Massimo di Roma, e l'ala governativa non voleva rischiare fischi e contestazioni proprio su quel condono fiscale. Credo questa sia la spiegazione più veritiera. Ma il gesto è stato assai dirompente e la frattura aperta. Salvini non farà marcia indietro sul condono. Per Di Maio sarà difficile fare marcia indietro. Come ne usciranno chi lo sa. Forse il regalo glielo farà l'intelligentissima commissione Ue di Junker condannando l'Italia per questa manovra: così rimetterà i due a braccetto fino alle elezioni europee.