PINO LA RANA AMMAZZA PER LA SECONDA VOLTA PASOLINI – PER PUBBLICIZZARE UN FILM SULLA SUA STORIA E PROMUOVERE IL SUO NUOVO LIBRO NON SI FA SCRUPOLO A RIESUMARE IL RICORDO DI PPP E SI PROCLAMA ANCORA UNA VOLTA INNOCENTE: “MI HA FATTO UNA CAREZZA PRIMA CHE SCENDESSI DALL´AUTO, PER FARE LA PIPÌ. UN MINUTO DOPO NON SI È CAPITO PIÙ NIENTE. QUALCUNO HA COMINCIATO A PICCHIARMI. MI SONO GIRATO, LO STAVANO MASSACRANDO. È STATO ALLORA CHE HA URLATO "AIUTO MAMMA"”…

Anna Maria Liguori per "La Repubblica"

«Pasolini mi voleva bene. Non ci siano incontrati per caso quella sera come hanno detto tutti. Ci vedevamo da quattro mesi e lui con me si confidava. Ma io ‘sta cosa non l´ho mai detta. A chi importava quello che c´era tra me e lui? Io ero l´assassino, un minorenne sbandato che contava meno di niente. E lui era lui, che diceva cose che non capivo nemmeno.

Ma il bene sì, quello lo sentivo, quello si vedeva proprio». Pino Pelosi comincia a parlare ancora prima di sedersi nella stanza della Cooperativa per ex detenuti "29 giugno", quartiere Tiburtino, periferia Est di Roma, dove lavora da anni come trattorista, dove dice «mi hanno salvato la vita». Non spiega molto, ma «una volte per tutte - chiarisce - voglio raccontare quello che ho vissuto con lui, quello che ci siamo detti quella notte prima che morisse. Prima di farmi sette anni di galera per niente. Da quando mi ha fatto una carezza un minuto prima che scendessi dall´auto fino a quando gli ho sentito urlare "aiuto mamma"».

Il vostro rapporto privato dunque. Fino alla notte tra l´1 e il 2 novembre del 1975. Com´è andata allora?
«Ci siano conosciuti perché lui cercava ragazzi di strada per un film. Alla stazione Termini è passata la voce, io sapevo che un regista cercava gente per una parte ma all´inizio non sapevo nemmeno chi era. Una sera è venuto, era estate ma era già scuro, e portava gli occhiali neri. Eravamo in 4 o 5, gli sono piaciuto io».

Avete cominciato a frequentarvi subito?
«Sì. Sono salito sulla sua macchina e mi ha raccontato del film. Mi ha detto "non so ancora quale parte farti fare, ma ci sarai. Hai una faccia che mi piace". Poi mi ha guardato e mi ha detto che ero bello. Non me l´aveva mai detto nessuno».

E lei che ha fatto?
«Gli ho detto "togliti gli occhiali che è scuro". Ma lui non voleva. Allora glieli ho tolti io con la forza. Mi ha chiesto perché, gli ho risposto che quando sto con uno lo devo guardare negli occhi. Allora lui si è fermato da una parte, era in difficoltà perché non vedeva niente. Da quel giorno quando stavamo da soli si toglieva gli occhiali per farmi piacere. Non avevo capito che sacrificio fosse stare senza, le lenti scure mi parevano una posa».

Qual è stata la cosa più intima che le ha confidato?
«Della morte del fratello. Una sera mentre mangiavamo mi ha raccontato del senso di colpa che lo tormentava. Diceva di aver spinto lui il fratello a partire partigiano (il fratello Guido, morto nel 1945, era nel Partito d´Azione, ndr), di averlo accompagnato al treno e di non averlo mai più rivisto vivo. Mentre parlava piangeva, le lacrime gli scendevano ma lui non smetteva di raccontare. "E´ colpa mia" disse. Ma io gli diedi una manata sulla spalla. "Non ce devi pensa´. Si vede che era il tempo suo per morire". E lui mi sorrise come se gli avessi fatto un regalo».

Poi è arrivata quella notte di novembre.
«La notte della cena al ristorante Biondo Tevere. Tutti hanno scritto che mi diceva "mangia, mangia" ma non era vero. Non voleva che ingrassassi. Lui ci teneva a essere in forma. Ne abbiamo riparlato anche quando stavamo all´idroscalo a Ostia».

Cioè?
«Mi prendeva in giro e poi era vanitoso. Quando eravamo fermi in macchina in quel posto ha aperto il cruscotto e mi ha fatto vedere una targa. "Vedi? - ha detto - questo è l´ultimo trofeo che ho vinto a calcio a Sabaudia. Mica solo tu hai un fisico atletico". Io me lo scordavo proprio chi era, mi pareva che eravamo uguali. Poi mi ha mostrato il telegramma del ministero, l´ha letto, c´era scritto che avevano preso atto del furto della pellicola del suo film e che avrebbero fatto di tutto perché fosse ritrovata. Ma pensava che ce l´avrebbe fatta da solo a farsi ridare le "pizze" che gli avevano preso ("Salò e le 120 giornate di Sodoma" di Pasolini, ndr)».

Poi cos´è successo. Chi è arrivato? Li ha visti in faccia?
«Dell´assassinio non voglio parlare. Quello è nel mio libro appena uscito ("Io so... come hanno ucciso Pasolini. Storia di un´amicizia e di un omicidio". Ed. Polis). La verità l´avevo già detta a Franca Leosini (giornalista e autrice televisiva, ndr) a "Ombre sul giallo" a Rai3, quando riaprirono l´inchiesta nel 2005. E quella rimane. Poi ora il regista Federico Bruno sta girando un film su quello che so e penso dell´omicidio».

Cosa invece non ha scritto nel suo libro?
«Non c´è scritto che, dopo che siamo stati insieme, io stavo uscendo dalla macchina e lui mi ha fermato con la mano: "Chiudi la portiera e il finestrino per favore". Io mi sono arrabbiato: "Perché non lo chiudi tu?". Lui ha sorriso, sembrava felice. Allora l´ho accontentato, mi sono affacciato nell´abitacolo per chiudere il finestrino e lui mi ha fatto una carezza.

Poi ha detto: "certe cose si fanno anche per fare piacere all´altro, e poi ho freddo". Ho chiuso finestrino e portiera, mi sono girato, sono andato verso una rete per fare la pipì. Un minuto dopo non si è capito più niente. Qualcuno ha cominciato a picchiarmi. Mi sono girato, lo stavano massacrando. È stato allora che ha urlato "aiuto mamma". Dopo non ha detto più niente».

 

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