UNA STORIA ESEMPLARE (DI COME LA GIUSTIZIA NON FUNZIONA) – LA POLIZIA BECCA UN PREGIUDICATO INGLESE, JOSEPH L., 25 ANNI, CON UNA MACCHINA ZEPPA DI ALCOL, MAZZA DA BASEBALL E 120 BOMBOLETTE DI VERNICE. LUI SI GIUSTIFICA: “SONO SOLO UN WRITER”. E IL GIUDICE GLI CREDE…
Gianni Santucci per Corriere.it
«Ciò che era nella macchina, l’alcool, la torcia per segnalazioni e la mazza da baseball non erano mie, quando sono entrato in auto non mi sono accorto di nulla». Sono le 21.30 del 30 aprile: la sera prima del corteo che devasterà Milano. Joseph L., 25 anni, inglese di Leeds, è seduto davanti al giudice della sezione immigrazione del Tribunale. È stato fermato in un’operazione di prevenzione.
Un lavoro complesso, faticoso, fatto in poche ore, perché i «neri» sono arrivati in città all’ultimo momento. La questura chiede che Joseph venga «espulso». Obiettivo: allontanare da Milano sospetti anarchici/ casseur. Davanti al giudice, il ragazzo sostiene di essere solo un «artista». Il magistrato gli crederà. È su storie come questa che s’è inceppato il contrasto preventivo all’«attacco» del Primo maggio.
«Sono solo un writer»
La polizia ha identificato Joseph come potenziale pericolo per la manifestazione, firma l’«allontanamento» dall’Italia (non un arresto, dunque, ma un provvedimento molto più contenuto); il ragazzo inglese ribatte di essere solo un writer , perché nella macchina su cui viaggiava, una Ford con targa francese, sono state trovate 120 bombolette di vernice.
Gli investigatori hanno però davanti il suo curriculum criminale, arrivato attraverso l’Interpol. Joseph, a verbale, spiega: «Il giudice mi chiede dell’arresto avvenuto a Leeds nel 2012... all’epoca usavo alcol e droghe, anche cocaina, la polizia mi trovò con una pistola elettrica, perché il pusher mi aveva minacciato, fui rilasciato dopo poche ore».
E ancora: «Sono stato in carcere in Svizzera per ben 5 mesi e sono stato liberato tre settimane fa, solo per aver fatto dei graffiti». Il ragazzo è stato già comunque denunciato il giorno prima per «detenzione o fabbricazione di materie esplodenti», ma la mattina del Primo maggio il giudice scioglie la riserva: l’«espulsione» non viene convalidata. È quel che aveva chiesto il suo avvocato.
La rete di assistenza
Non sta al giudice fare queste valutazioni, ma c’è un altro elemento che salta all’occhio. Joseph L., che non vive in Italia e dunque ha scarse conoscenze a Milano, non compare davanti al giudice con un difensore d’ufficio, come sarebbe prevedibile. Si fa invece assistere da un avvocato di fiducia, e guarda caso è proprio uno dei legali nominato da molti degli anarchici milanesi, francesi e tedeschi trovati dalla Digos nelle case occupate del Giambellino e nei ritrovi «No Tav» di zona Mac Mahon tra il 28 e il 30 aprile.
La coincidenza (niente di illecito, sia chiaro) non è però casuale. Vuol dire che quello stesso giro di «neri» ha suggerito l’avvocato anche al ragazzo inglese. In due giorni, tra 28 e 30 aprile, la questura ha chiesto l’allontanamento dall’Italia per dieci presunti anarchici.
Solo tre provvedimenti sono stati convalidati dal Tribunale; altri 3 sono stati accettati solo al secondo «tentativo», dopo che la Digos ha trovato per la seconda notte consecutiva, nelle medesime case occupate del Giambellino, gli stessi tedeschi con fumogeni e maschere antigas.
Quattro richieste sono state rifiutate. Per tredici francesi trovati con bastoni e martelli, infine, non è stato neppure possibile firmare il provvedimento: erano senza documenti (comportamento tipico dei casseur «in trasferta») e il consolato è stato poco solerte nella collaborazione, facendo scadere i termini.