PRETI UNITI D’AMERICA - ANCHE SE QUANDO SI PARLA DI SOLDI SONO I PRIMI AD ESSERE TENUTI IN CONSIDERAZIONE, PRATICAMENTE MAI SI È PENSATO A UN PAPA STATUNITENSE - MA STAVOLTA NON È DA ESCLUDERE: I CARDINALI E I VESCOVI AMERICANI SONO UNA MINORANZA, MA SONO FORTI E ORGANIZZATI - TRASCINATI DALL’ESULE VIGANÒ, SI OPPONGONO NON SOLO ALLE LOGICHE COMPLOTTISTE E GOSSIPPARE DEL VATICANO, MA ANCHE ALLA CASA BIANCA...

Massimo Franco per il "Corriere della Sera"

Su una cosa sono più o meno tutti d'accordo: sarà difficile prescindere dal «partito nordamericano». Decidere il prossimo Papa senza concordarlo con il manipolo dei cardinali statunitensi significherebbe sottovalutare uno degli episcopati più potenti e influenti della Chiesa; e non solo per questioni finanziarie. Non conta il fatto che in tutto siano quattordici, inclusi due canadesi: la metà degli italiani con diritto di voto.

Né che siano reduci da uno scandalo devastante dei preti pedofili, partito nel 2002 da Boston e dal quale stanno riemergendo. L'arcivescovo della città, Bernard Law, dovette dimettersi nelle mani di Giovanni Paolo II il 13 dicembre del 2002; e alla fine le diocesi americane hanno pagato oltre un miliardo di dollari per risarcire le vittime, chiudendo parrocchie e vendendo palazzi. Eppure, il cattolicesimo ha recuperato forza. L'afflusso di immigrati dal centro e Sud America fa lievitare il numero dei fedeli, che oggi negli Usa supera i 67 milioni.

Ma soprattutto, nell'atteggiamento nei confronti della Roma papale e sul modo in cui dovrebbe cambiare la Curia, le idee della pattuglia cardinalizia sono piuttosto convergenti.

La presenza a Washington come nunzio (l'equivalente dell'ambasciatore) di monsignor Carlo Maria Viganò, l'ex segretario del Governatorato vaticano «esiliato» in America perché aveva osato denunciare «situazioni di corruzione e prevaricazione» ai vertici della Chiesa, garantisce una visione poco edulcorata di quanto accade a Roma.

Viganò, nonostante le accuse rivolte al segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, è diventato un beniamino della Conferenza episcopale statunitense. C'è chi arriva a dire che, invece di essere l'occhio e l'orecchio della sola Santa Sede in terra d'America, sia il portavoce delle istanze del clero guidato dall'arcivescovo di New York, Timothy Dolan.

Dolan, presidente della Conferenza episcopale Usa dal novembre del 2010 e cardinale da un anno, nativo di St Louis e ratzingeriano di ferro, quando alcuni mesi fa gli è stato chiesto che pensasse delle vicende denunciate da Viganò, ha risposto seccamente: «Noi vescovi prendiamo per buono un decimo del gossip che proviene dal Vaticano».

E Viganò «ci è piaciuto sempre di più» perché racconta la realtà curiale senza «le lenti rosa»: un modo per liquidare le beghe romane con una punta di fastidio. D'altronde, esponenti di primo piano dell'episcopato a stelle e strisce come il cardinale Francis George, capo della diocesi di Chicago e critico coriaceo di Barack Obama e dei democratici, confessano da tempo ai loro interlocutori di limitare le visite a Roma: le considerano inutili, per la piega sconfortante che hanno preso le cose vaticane.

È l'atteggiamento di una Chiesa che si è forgiata fin dall'inizio come minoranza e come «fede degli immigrati poveri», prima irlandesi, poi italiani e polacchi, poi latinos, rispetto alle versioni diverse del protestantesimo; ma che ora sembra determinata a giocare un ruolo sempre meno marginale nelle scelte della Santa Sede in questa fase di transizione. Da qualche tempo si parla di «momento americano» in Vaticano per la presenza, in realtà discreta, di alcuni statunitensi in ruoli chiave. Monsignor Peter Wells è il numero tre della Segreteria di Stato e partecipa spesso agli incontri di Bertone, facendogli da interprete per l'inglese.

Fino a pochi mesi fa, il cardinale William Levada, oggi a San Francisco, ha presieduto la Congregazione per la dottrina della Fede. E un'altra «eminenza», Raymond Burke, solido conservatore, presiede il massimo tribunale ecclesiastico. A loro si affiancano i capi di diocesi Usa strategiche: da quello di Washington, Donald Wuerl, a quello di Boston, Sean O'Malley, a Justin Rigali a Philadelphia.

In più c'è Marc Ouellet, il canadese che guida la Congregazione dei vescovi e viene considerato un «papabile». Molti di loro hanno una lunga esperienza romana al Collegio Nordamericano, del quale Dolan è stato rettore negli anni Novanta. Michael Harvey conosce Roma da un quarto di secolo. «È un gruppo di grandi elettori, più omogeneo degli altri», spiega un osservatore statunitense alle questioni vaticane.

«Sono cardinali che uniscono modernità, ortodossia sui principi e senso di responsabilità», spiega. «E spingeranno perché venga eletto un Papa forte sul piano del governo. Un manager di Dio, se si può definire così». Si può, anche se la definizione rischia di avere un'eco troppo yankee.

Agli occhi del mondo cattolico mondiale, la diversità statunitense finora è stata un limite, un fattore di diffidenza: troppo efficientismo, troppa potenza finanziaria. Per averne un'idea, seppure parziale, basta scorrere il curriculum di Carl Anderson, gran capo dei Cavalieri di Colombo, e per questo anche vicepresidente dello Ior. Si scopre che i «Cavalieri», un milione e ottocentomila, sono la maggiore compagnia di assicurazione cattolica: gestiscono polizze per 85 miliardi di dollari.

Anche per questo, quando si tratta di misurare i fondi destinati all'Obolo di San Pietro, gli americani sono al primo posto, seguiti da italiani e tedeschi. Nella lista dei «papabili», invece, appaiono sempre in coda. «Il Conclave non amerebbe eleggere una persona che proviene dalla superpotenza mondiale», teorizza Thomas Reese, della Georgetown University, l'ateneo dei gesuiti a Washington.

«La gente penserebbe che la sua elezione sia stata combinata dalla Cia o "comprata" da Wall Street». In realtà, i rapporti con la Casa Bianca sono, a dir molto, tiepidi. Dolan è stato scelto, a sorpresa, per il suo profilo di tenace oppositore dell'agenda dei democratici su temi come aborto, matrimoni omosessuali, eutanasia: sebbene non sia descritto come un repubblicano ma come un democratico deluso.

Con Obama ha avuto sempre un rapporto duro, arrivando allo scontro sulla riforma dell'assistenza medica. Al punto che il Vaticano ha dovuto spesso attenuare le proprie aperture di credito alla Casa bianca per tenere conto della strategia e degli umori dell'episcopato statunitense. Un dettaglio minore: nella sua visita negli Usa, il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha riferito di avere parlato con Obama di molte cose, ma non di Benedetto XVI.

La Casa Bianca vuole evitare di toccare temi sensibili che la porterebbero in rotta di collisione con il «Papa americano», come viene chiamato Dolan, 63 anni, figlio di un ingegnere aeronautico del Midwest. Eppure, c'è chi sostiene che per la prima volta, non è da escludersi del tutto che diventi Pontefice un cardinale degli Stati uniti.

L'ha scritto il vaticanista del National Catholic Reporter, John Allen. Ma stranamente lo dicono anche alcuni italiani, che al Conclave del 2005 scartavano a priori un'ipotesi del genere.

È probabile che queste voci riflettano soprattutto l'incertezza e la confusione provocate dalle dimissioni di Benedetto XVI; e l'assenza di una candidatura «pronta». Quando qualche giorno fa è stato chiesto al «Papa americano» se pensasse al pontificato romano e universale, ha liquidato la prospettiva come «altamente improbabile». Ed ha scherzato con il giornalista della Saint Louis Gazette: «È per questo che lei si sta inginocchiando?». Il cronista ha insistito: non è che per caso alla fine potrebbe votare per sé? «No. In Conclave», è stata la replica secca di Dolan, «i matti non possono entrare».

 

LARCIVESCOVO CARLO MARIA VIGANO jpegCARLO MARIA VIGANO jpegTIMOTHY DOLAN ARCIVESCOVO DI NEW YORK jpegLARCIVESCOVO AMERICANO TIMOTHY DOLAN jpegpapa obamaPAPA BENEDETTO XVI E TARCISIO BERTONE CARDINALE WILLIAM JOSEPH LEVADA MARC OUELLET jpegCARL ANDERSON CAVALIERE SUPREMO DEI CAVALIERI DI COLOMBOCASA BIANCA

Ultimi Dagoreport

patrizia scurti giorgia meloni giuseppe napoli emilio scalfarotto giovanbattista fazzolari

QUANDO C’È LA FIAMMA, LA COMPETENZA NON SERVE NÉ APPARECCHIA. ET VOILÀ!, CHI SBUCA CONSIGLIERE NEL CDA DI FINCANTIERI? EMILIO SCALFAROTTO! L’EX “GABBIANO” DI COLLE OPPIO VOLATO NEL 2018 A FIUMICINO COME ASSESSORE ALLA GIOVENTÙ, NON VI DIRÀ NULLA. MA DAL 2022 SCALFAROTTO HA FATTO IL BOTTO, DIVENTANDO CAPO SEGRETERIA DI FAZZOLARI. “È L’UNICO DI CUI SI FIDA” NELLA GESTIONE DI DOSSIER E NOMINE IL DOMINUS DI PALAZZO CHIGI CHE RISOLVE (“ME LA VEDO IO!”) PROBLEMI E INSIDIE DELLA DUCETTA - IL POTERE ALLA FIAMMA SI TIENE TUTTO IN FAMIGLIA: OLTRE A SCALFAROTTO, LAVORA PER FAZZO COME SEGRETARIA PARTICOLARE, LA NIPOTE DI PATRIZIA SCURTI, MENTRE IL MARITO DELLA POTENTISSIMA SEGRETARIA-OMBRA, GIUSEPPE NAPOLI, È UN AGENTE AISI CHE PRESIEDE ALLA SCORTA DELLA PREMIER…

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DEL PIÙ GRANDE RISIKO BANCARIO D’ITALIA? L’ASSEMBLEA DI GENERALI DEL 24 APRILE È SOLO LA PRIMA BATTAGLIA. LA GUERRA AVRÀ INIZIO DA MAGGIO, QUANDO SCENDERANNO IN CAMPO I CAVALIERI BIANCHI MENEGHINI - RIUSCIRANNO UNICREDIT E BANCA INTESA A SBARRARE IL PASSO ALLA SCALATA DI MEDIOBANCA-GENERALI DA PARTE DELL’”USURPATORE ROMANO” CALTAGIRONE IN SELLA AL CAVALLO DI TROIA DEI PASCHI DI SIENA (SCUDERIA PALAZZO CHIGI)? - QUALI MOSSE FARÀ INTESA PER ARGINARE IL DINAMISMO ACCHIAPPATUTTO DI UNICREDIT? LA “BANCA DI SISTEMA” SI METTERÀ DI TRAVERSO A UN’OPERAZIONE BENEDETTA DAL GOVERNO MELONI? O, MAGARI, MESSINA TROVERÀ UN ACCORDO CON CALTARICCONE? (INTESA HA PRIMA SPINTO ASSOGESTIONI A PRESENTARE UNA LISTA PER IL CDA GENERALI, POI HA PRESTATO 500 MILIONI A CALTAGIRONE…)

donald trump giorgia meloni

DAGOREPORT - LA DUCETTA IN VERSIONE COMBAT, DIMENTICATELA: LA GIORGIA CHE VOLERA' DOMANI A WASHINGTON E' UNA PREMIER IMPAURITA, INTENTA A PARARSI IL SEDERINO PIGOLANDO DI ''INSIDIE'' E "MOMENTI DIFFICILI" - IL SOGNO DI FAR IL SUO INGRESSO ALLA CASA BIANCA COME PONTIERE TRA USA-UE SI E' TRASFORMATO IN UN INCUBO IL 2 APRILE QUANDO IL CALIGOLA AMERICANO HA MOSTRATO IL TABELLONE DEI DAZI GLOBALI - PRIMA DELLE TARIFFE, IL VIAGGIO AVEVA UN SENSO, MA ORA CHE PUÒ OTTENERE DA UN MEGALOMANE IN PIENO DECLINO COGNITIVO? DALL’UCRAINA ALLE SPESE PER LA DIFESA DELLA NATO, DA PUTIN ALLA CINA, I CONFLITTI TRA EUROPA E STATI UNITI SONO TALMENTE ENORMI CHE IL CAMALEONTISMO DI MELONI E' DIVENTATO OGGI INSOSTENIBILE (ANCHE PERCHE' IL DAZISMO VA A SVUOTARE LE TASCHE ANCHE DEI SUOI ELETTORI) - L'INCONTRO CON TRUMP E' UN'INCOGNITA 1-2-X, DOVE PUO' SUCCEDERE TUTTO: PUO' TORNARE CON UN PUGNO DI MOSCHE IN MANO, OPPURE LEGNATA COME ZELENSKY O MAGARI  RICOPERTA DI BACI E LODI...

agostino scornajenchi stefano venier giovanbattista fazzolari snam

SNAM! SNAM! LA COMPETENZA NON SERVE - ALLA GUIDA DELLA SOCIETÀ DI CDP, CHE SI OCCUPA DI STOCCAGGIO E RIGASSIFICAZIONE DEL GAS NATURALE, SARÀ UN MANAGER CHE HA SEMPRE RICOPERTO IL RUOLO DI DIRETTORE FINANZIARIO, AGOSTINO SCORNAJENCHI – MA DAL GAS ALLA FIAMMA, SI SA, IL PASSO È BREVE: A PROMUOVERE LA NOMINA È INTERVENUTO QUELLO ZOCCOLO DURO E PURO DI FRATELLI D’ITALIA, GIÀ MSI E AN, CHE FA RIFERIMENTO A FAZZOLARI. E A NULLA È VALSO IL NO DELLA LEGA - LA MANCATA RICONFERMA DI STEFANO VENIER, NOMINATO 3 ANNI FA DAL GOVERNO DRAGHI, È ARRIVATA PROPRIO NEL GIORNO IN CUI STANDARD & POOR HA PROMOSSO IL RATING DELLA SNAM…

veneto luca zaia matteo salvini giorgia meloni elly schlein giuseppe conte

DAGOREPORT – SCAZZO DOPO SCAZZO, IL BIG BANG PER IL CENTRODESTRA SARÀ IN AUTUNNO, CON LE REGIONALI IN VENETO, CAMPANIA, TOSCANA, PUGLIA E MARCHE – SE ZAIA E LA SUA LIGA VENETA SI PRESENTASSERO DA SOLI, SPACCHETTEREBBERO IL VOTO DI DESTRA RENDENDO LA REGIONE CONTENDIBILE: BASTEREBBE SOLO CHE PD E M5S SMETTESSERO DI FARE GLI EGO-STRONZI E CONVERGESSERO SU UN CANDIDATO “CIVICO” (COME DAMIANO TOMMASI A VERONA NEL 2022) – LA PROPOSTA DI MELONI AL "TRUCE" MATTEO: FDI È DISPOSTA A LASCIARE IL VENETO ALLA LEGA, MA A QUEL PUNTO LA REGIONE LOMBARDIA TOCCA A NOI (A FORZA ITALIA, IL SINDACO DI MILANO) - SE SALVINI SI IMPUNTA? S'ATTACCA! E FRATELLI D'ITALIA SI PRENDE TUTTO (MA LE CONSEGUENZE SULLA MAGGIORANZA POTREBBERO ESSERE FATALI PER IL PRIMO GOVERNO MELONI…)

donald trump dazi tadazi

DAGOREPORT – LO STOP DI TRE MESI AI DAZI NON SALVERA' IL CULONE DI TRUMP: PER I MERCATI FINANZIARI L’INSTABILITÀ ECONOMICA È PEGGIO DELLA PESTE, E DONALD HA ORMAI ADDOSSO IL MARCHIO DELL’AGENTE DEL CAOS – I FONDI ISTITUZIONALI EUROPEI ABBANDONANO GLI INVESTIMENTI IN SOCIETA' AMERICANE, IL DOLLARO SCENDE, IL RENDIMENTO DEI BOND USA SI IMPENNA, LE AZIENDE CHE PRODUCONO TRA CINA E VIETNAM RISCHIANO DI SALTARE (TRUMP HA SALVATO APPLE MA NON NIKE) - PER QUESTO IL CALIGOLA COL CIUFFO HA RINCULATO SUI DAZI (CINA ESCLUSA) - MA LO STOP DI TRE MESI NON È SERVITO A TRANQUILLIZZARE I POTERI FORTI GLOBALI, CON IL DRAGONE DI XI JINPING CHE RISPONDE DURO ALLE TARIFFE USA A COLPI DI "DUMPING": ABBASSANDO IL COSTO DEI PRODOTTI CHE NON ESPORTA PIU' IN USA (COMPRESO L'EXPORT DELLE RISORSE DELLE TERRE RARE, STRATEGICO PER LE MULTINAZIONALI HI-TECH) – SONDAGGI IN PICCHIATA PER TRUMP: IL 60% DEGLI AMERICANI POSSIEDE AZIONI TRAMITE I FONDI PENSIONE...