mafia capitale - fermo immagine da un video dei ros

MARCIO SU ROMA – NELLE CARTE DELLA COMMISSIONE PREFETTIZIA QUELL’ALLARME INASCOLTATO DEL TESORO SUGLI AFFIDAMENTI DIRETTI A “ERICHES 29” (BUZZI) E “DOMUS CARITATIS” (LA CASCINA) – NEI PROSSIMI GIORNI LA RELAZIONE SUL TAVOLO DI GABRIELLI, CHE AVRÀ UN MESE E MEZZO PER DECIDERE SULLO SCIOGLIMENTO PER MAFIA

Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera

 

Nel gennaio 2014, quasi un anno prima dell’arresto di Salvatore Buzzi e i suoi presunti complici, gli ispettori del Mef — Ministero dell’Economia e delle Finanze — avevano scritto parole chiare e allarmanti sugli appalti assegnati alla Eriches 29, una delle cooperative del manager considerato l’anima imprenditoriale di Mafia Capitale. Per esempio queste: «Va rilevato come l’affidamento sia avvenuto in via diretta, in assenza di qualsivoglia procedura concorrenziale, sebbene l’importo del servizio sia largamente superiore al limite previsto dalla legge»; ed erano «espressamente vietate» proroghe e «rinnovi taciti dei contratti» che invece andavano avanti da tempo.

 

salvatore buzzi con il quarto stato alle spallesalvatore buzzi con il quarto stato alle spalle

Appalti ancor più consistenti aveva ottenuto la cooperativa Domus Caritatis, del gruppo La Cascina, che la seconda operazione della Procura di Roma ha svelato essere in combutta con Buzzi: «Anche in questo caso sono estensibili le medesime censure relative alle modalità di affidamento del servizio ed al ricorso sistematico all’istituto della proroga contrattuale». 


Buzzi aveva subito attivato le contromisure, tentando di far desistere gli altri concorrenti: «Noi abbiamo parlato... se vanno deserte, cioè con un’unica sola risposta, è come se fosse stata fatta la gara, e il Mef te lo levi dai coglioni», spiegava al suo collega de La Cascina. Il Comune di Roma, invece, non si mosse con altrettanta solerzia per risolvere la questione. 

SALVATORE BUZZI FRANCO PANZIRONISALVATORE BUZZI FRANCO PANZIRONI


L’autodifesa di Marino
È ciò che ha contestato al sindaco Ignazio Marino la commissione prefettizia incaricata di verificare la possibilità dello scioglimento per mafia, durante l’audizione avvenuta nelle scorse settimane. Il primo cittadino s’è difeso sostenendo che quando è arrivato ha trovato una situazione in cui non c’era nemmeno il Bilancio, e dunque le proroghe dei vecchi contratti erano una strada pressoché obbligata. In ogni caso, a suo vantaggio Marino ha potuto rivendicare il fatto di essere stato lui a chiedere e ottenere, dopo ripetute insistenze, la verifica del ministero retto all’epoca da Fabrizio Saccomanni. 

giuseppe pecorarogiuseppe pecoraro


Giustificazioni a parte, è molto probabile che le mancate conseguenze dell’allarme lanciato dagli ispettori del Mef costituisca uno dei punti salienti delle quasi mille pagine di relazione che la commissione — composta dal prefetto Marilisa Magno, dal viceprefetto Enza Caporale e dal dirigente del Mef Massimiliano Bardani — consegnerà tra oggi e domani al prefetto di Roma Franco Gabrielli. Che quando è arrivato, due mesi fa, ha trovato il gruppo già al lavoro, insediato a dicembre 2014 dal suo predecessore Giuseppe Pecoraro.

 

Il quale nei giorni scorsi s’è lasciato andare a pubbliche dichiarazioni che hanno suscitato qualche sconcerto: «Gli estremi per lo scioglimento del Comune di Roma per mafia c’erano a dicembre e ci sono ancora». Parole che possono insinuare il dubbio di una commissione appositamente costituita per raggiungere questo obiettivo, sollevando perplessità sull’operato dell’ex prefetto. 


Prima e dopo il 2013
A Gabrielli i commissari presenteranno un quadro che già appariva compromesso prima della seconda ondata di arresti, e ora sembra essersi ulteriormente complicato. Lasciando però aperti spazi di valutazione a favore o contro le due opzioni (scioglimento oppure no) che andranno riempiti prima da Gabrielli e poi dal ministro dell’Interno. Tutto ruota intorno al condizionamento che la presunta associazione mafiosa (confermata come tale dalla corte di Cassazione, che ha appena depositato motivazioni piuttosto solide a sostegno della tesi dell’accusa) ha esercitato e potrebbe continuare a esercitare sull’amministrazione comunale.

franco gabriellifranco gabrielli

 

Sia con la giunta di centro-destra guidata da Alemanno (2008-2013), che con l’attuale di centro-sinistra capeggiata da Marino, come dimostrerebbero le carte della magistratura. 


Basti pensare a quel che hanno scritto gli inquirenti a proposito dell’approvazione dei debiti fuori bilancio, uno degli strumenti utilizzati da Buzzi per assicurarsi appalti da milioni di euro:

 

«Così come nel 2012 venivano attivati tutti i canali di collegamento con le istituzioni, da Lucarelli (capo della segreteria di Alemanno, ndr ) a Gramazio (ex consigliere comunale del Pdl, ndr ) che vota la relativa delibera in consiglio comunale, similmente nel 2014 vengono attivati tutti i canali possibili nelle istituzioni, da Coratti (ex presidente pd del consiglio comunale, ndr ), a Tredicine, Giansanti, Ferrari, D’Ausilio, Caprari», consiglieri (soprattutto del centro-sinistra) che Buzzi dichiarava di avere a disposizione. Dietro il pagamento di tangenti, sospettano i magistrati; e di questo non potrà non dare conto la relazione dei commissari prefettizi. 

giuseppe pignatonegiuseppe pignatone


Tuttavia si può sostenere — come ha lasciato intendere il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone — che tra la vecchia e la nuova amministrazione ci siano significative differenze. A cominciare dal coinvolgimento degli esponenti politici nell’impostazione dell’accusa: prima c’erano un sindaco tuttora indagato per associazione mafiosa (Alemanno), un ex consigliere comunale (Gramazio) ora arrestato con la stessa accusa, collaboratori del sindaco e amministratori di Enti vicini alla «banda» di Buzzi e Carminati, pronti a soddisfare le esigenze del «sodalizio criminale»;

 

adesso ci sono cinque componenti del consiglio comunale finiti in carcere e altri sotto inchiesta sempre per aver favorito gli affari di Mafia Capitale (e per questo retribuiti da Buzzi), ma senza l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Il che significa che non erano necessariamente consapevoli di quanto si nascondeva dietro il «re delle cooperative» e i suoi metodi e della caratura criminale dell’organizzazione. Tra l’altro, l’inchiesta sul «Mondo di mezzo» ha svelato come il gruppo di Buzzi e Carminati si sia adoperato per confermare un proprio uomo nella Municipalizzata per la raccolta dei rifiuti per contrastare la diversa volontà del sindaco Marino. 


Le dimensioni del condizionamento
Il caso vuole che lo stesso Pignatone — il cui parere sarà ascoltato dal prefetto Gabrielli nell’ambito del comitato provinciale per la sicurezza, allargato per l’occasione al capo dei pm titolari dell’inchiesta — fosse procuratore a Reggio Calabria quando le indagini condotte dal suo ufficio portarono alla scioglimento per ‘ndrangheta del consiglio comunale del capoluogo calabrese, a causa del controllo che boss e ‘ndrine esercitavano sulle Municipalizzate.

 

ignazio marino   carmine fotiaignazio marino carmine fotia

Quella vicenda rimane la più grande e clamorosa tra le tante di questo genere. Tuttavia Reggio Calabria presenta un contesto ambientale certamente diverso da Roma, in un Comune che conta 180.000 abitanti: la metà di un municipio della capitale, dove ce ne sono quindici.

 

E sono diverse le dimensioni del fenomeno: i calcoli effettuati sul volume di affari controllati da Mafia Capitale corrispondono a una quota minima dell’intero bilancio comunale (c’è chi dice il 2 per cento); dunque il condizionamento del governo della città può esserci stato in alcuni settori anche rilevanti (come la raccolta dei rifiuti, la manutenzione del verde o l’emergenza migranti), ma in misura relativa rispetto all’ampiezza di attività, impegni e competenze della macchina amministrativa della capitale d’Italia. 


La partita politica
Con queste premesse, le valutazioni che il prefetto Gabrielli dovrà fare rispetto alla relazione della commissione prefettizia — che conterrà questi e molti altri argomenti — si presentano impegnative e complesse. Il rappresentante del governo ha 45 giorni di tempo per analizzare in ogni dettaglio il lavoro svolto dai commissari, dopodiché presenterà le proprie conclusioni al ministro dell’Interno.

 

MASSIMO CARMINATI E FABRIZIO FRANCO TESTAMASSIMO CARMINATI E FABRIZIO FRANCO TESTA

Il quale non avrà scadenze per agire di conseguenza; potrà decidere di portare le proprie determinazioni al consiglio dei ministri o meno, quando lo riterrà opportuno. A quel punto la partita si trasformerà definitivamente da tecnica in politica. Con molte vie d’uscita e dagli esiti imprevedibili.

 

Per lo scioglimento di una realtà molto più piccola e meno significativa come il comune di Fondi, nell’Agro Pontino, suggerito dal prefetto di Latina nel 2008, e proposto alla fine dall’ex ministro Maroni, il Consiglio dei ministri fu così titubante da lasciare al sindaco e ai consiglieri il tempo e la possibilità di dimettersi e andare di propria iniziativa a nuove elezioni, nelle quali poterono ripresentarsi come candidati. 

luca gramazio alessandra mussolini e domenico gramazioluca gramazio alessandra mussolini e domenico gramazio


Roma è ovviamente un’altra storia, ma lo sono anche i rapporti tra Alfano e Renzi, ministro dell’Interno e presidente del Consiglio, capi dei due partiti di centro-destra e di centro-sinistra costretti a convivere per tenere in vita l’esecutivo. Il destino del consiglio comunale in odore di condizionamento mafioso della «città eterna» può così diventare un’arma in mano all’uno per influenzare l’altro su questioni diverse, una pedina di scambio per mantenere o far saltare equilibri più vasti del governo della capitale. 

 

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