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LA RABBIA DELLE VITTIME CONTRO HOLLANDE: ''DOPO 'CHARLIE HEBDO' AVEVATE PROMESSO SICUREZZA, NON AVETE FATTO NIENTE''. LA CERIMONIA DI IERI TURBATA DALLE VOCI CRITICHE: ''SIETE VOI I RESPONSABILI'' - DIECI MINUTI PER RICORDARE UNA AD UNA I MORTI DEL 13 NOVEMBRE, ALLE TV IL DIVIETO DI RIPRENDERE I PARENTI

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Anais Ginori per ''la Repubblica''

 

Un rosario di nomi che non finisce più. Ci vogliono più di dieci minuti per ricordare, una per una, le centotrenta vittime degli attentati del 13 novembre.

La più giovane aveva diciassette anni, il più anziano sessantotto. Francesi, ma non solo, diciotto nazionalità appaiono tra i "martiri" così come li chiama François Hollande, seduto solo davanti alle famiglie in lutto che non si vedono mai.

L' Eliseo ha dato ordine alle televisioni di non riprendere i parenti per rispettare il loro dolore.

 

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Nel cortile degli Invalides, il grande ospedale militare voluto da Napoleone, sfila uno spaccato della Francia, quel mosaico di nomi e volti sorridenti a cui i media dedicano da giorni una Spoon river che suscita commozione e interesse: i necrologi pubblicati sono tra gli articoli più letti, a confermare il bisogno di incarnare, ridare umanità all' orrore.

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Non terroristi ma «un' orda di assassini» che ha ucciso in nome «una causa folle e di un Dio tradito». Hollande sembra di ghiaccio nel suo discorso sobrio. Solo musica e poche parole per l' omaggio organizzato due settimane dopo gli attentati. Mai applausi, mai note stonate negli spalti dove sono seduti accanto Marine Le Pen del Front National e Jean-Luc Mélenchon del Front de Gauche, il leader dei Républicains Nicolas Sarkozy e il sindaco socialista Anne Hidalgo.

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Le canzoni di Jacques Brel e Barbara, la Marsigliese che apre e chiude la cerimonia, il "Va' Pensiero" di Verdi che accompagna l' uscita delle autorità. Alle 10.30 del mattino, sugli spalti ci sono oltre duemila persone, a tutti è stato dato un plaid nero per resistere al freddo. La vicina Tour Eiffel è inghiottita dal cielo grigio. La cerimonia non è aperta al pubblico. Hollande ha chiesto ai francesi di mettere il tricolore alle finestre, ma pochi l' hanno fatto, anche perché le bandiere non si trovano, i produttori sono stati colti di sorpresa da ritorno, seppur timido, del patriottismo.

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«Contro il terrorismo - ha detto Hollande - il fracasso della musica continuerà, moltiplicheremo le canzoni, le concerti e gli spettacoli, continueremo ad andare allo stadio». Vivere con tenerezza, vivere e dare con ebbrezza, dice la canzone di Barbara interpretata da Nathalie Dessay, la soprano che per una volta ha la voce spezzata. E' ai ragazzi, quelli che non ci sono più e quelli che devono guardare al futuro, che si rivolge soprattutto Hollande. Generazione Bataclan, dal nome del teatro in cui sono morte 89 persone. «Nonostante le lacrime - dice il presidente - questa generazione è diventata il volto della Republique». Una generazione falciata ma già simbolo dell'«amore della vita» che si oppone al «culto della morte».

 

Due settimane dopo gli attacchi, è il momento di dire addio alle vittime per ricominciare. «La Francia - ha promesso Hollande - resterà se stessa così come l' avevano amata coloro che sono scomparsi».

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Poi un' altra promessa: «Faremo di tutto per distruggere l' esercito di fanatici che ha colpito al cuore il nostro paese». Tra i parenti delle vittime, tenuti in una tribuna separata, alcuni erano assenti. Il giornalista Eric Ouzonian aveva una figlia al Bataclan e ha accusato i dirigenti politici di «grave responsabilità », rimproverando la «disastrosa politica» della Francia in Medio Oriente.

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Un altro giornalista, Jean-Marie Peretti, padre di Aurelie, 33 anni, anche lei uccisa, non è andato alla cerimonia. «Ricordo gli attentati di gennaio - ha detto - dal giorno dopo ci sono stati annunci a effetto, la sicurezza sembrava diventata una causa nazionale. Poi non è stato fatto niente».

 

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Ha disertato la cerimonia anche Emmanuelle Prevost, che ha perso un fratello al Bataclan. «Grazie signor Presidente - ha detto - ma il vostro omaggio noi non lo vogliamo e vi consideriamo responsabili di quello che ci succede».

 

 

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