1. NELL’”ITALIA IN BILICO” DEI POTERI MARCI LA SERA NON ANDAVAMO IN VIA VENETO, MA NEL VILLINO DI MARIASAURA ANGIOLILLO COL TRIONFO CAFONAL DELL’”INSIDING POLITICO” 2. E LUCHINO, SMESSA “LA MARINARA” DI SUNI AGNELLI VESTIVA PURE “ALLA BISIGNANI” 3. ECCO COSA RACCONTA DAVVERO, TRA MEZZE VERITA’, ALLUSIONI INTEGRALI E VENDETTE POSTUME, IL “BISI-BISI BAU-BAU’’ CHE PER TRENT’ANNI HA SUSSURATO AI POTENTI 4. UN “PICCOLO MONDO” AVIDO, PASTICCIONE E AFFARISTICO CRESCIUTO NEL VUOTO DELLA POLITICA CHE ORA SI VUOLE CANCELLARE CON IL SOLITO COLPO DI SPUGNA ALL’ITALIANA 5. UN LIBRO CON UN “BUCO”: LA NOMINA BY BAZOLI-GERONZI, MARZO 2009, DI FLEBUCCIO DE BORTOLI, A DIRETTORE DEL QUOTIDIANO DEI POTERI MARCI AL POSTO DI PAOLINO MIELI

Tina A .Commotrix per Dagospia

La prima "sorpresa" in cui s'inciampa avendo aperto tra le mani il racconto-affresco della vita spericolata di Luigi Bisignani, è l'assenza di un indice dei nomi.
Al fondo delle oltre trecento pagine del volume "L'Uomo che sussurra ai potenti" - lunga intervista raccolta da Paolo Madron per i tipi Chiarelettere -, ci s'imbatte, infatti, in un lungo elenco di minibiografie delle persone citate. Senza alcun riferimento alle pagine in cui il lettore possa farne diretta e immediata conoscenza.
L'elenco dei potenti si apre con Agnelli Gianni e si chiude con Zanda Luigi...

E i nomi scorrono come i titoli di coda di un film in cui si mescolano protagonisti e comparse dell'"opera aperta" appena sfogliata. L'assenza di quell'indispensabile bussola non agevolerà i lettori comuni e gli stessi "addetti ai livori" nel tentativo (quasi impossibile) di sgarbugliare l'avviluppata ragnatela di uomini, relazioni e fatti che l'ex giornalista dell'Ansa ha intrecciato (e smontato) - con manina abile (e furba) -, nei suoi oltre trent'anni di attività nei Palazzi del potere.

In un ruolo, quello di Luigino, indefinibile (e indefinito). Se si escludono le solite abusate, e dispregiative, figure di "faccendiere". O del greve "galoppino" e "sottopanza" d'antan. L'esotico e nobilitante brasseur d‘affaires, non sarebbe altresì apprezzato dai tanti detrattori di Bisignani.
Il mitico Ettore Bernabei, nelle sue memorie affidate al giornalista Giorgio Dell'Arti, preferì autoproclamarsi senza infingimenti "L'Uomo di fiducia" di Amintore Fanfani.

Qui si entra però nell'Olimpo irraggiungibile dei Signori del Palazzo. I "boiardi" che avevano ricevuto dai loro padroni (politici) le chiavi delle porte per entrare e agire indisturbati, ma sotto stretta sorveglianza, nelle stanze del potere. Stiamo parlando, ovviamente, di un altro mondo e non di un mondo piccolo piccolo.

Per il giornalista Paolo Madron, co-autore del libro, Bisi è stato un "agevolatore". Vale a dire: "L'Uomo di fiducia" di Giulio Andreotti e Gianni Letta.
Chissà.

Nel mettere a fuoco la sfaccettata (e sfacciata) personalità di certi "personaggi" che davvero non hanno goduto mai di gran fama e onori, spesso si dimentica l'altro aspetto dell'incarico assegnatogli.
La missione di "riportatori" di fatti e notizie.
Il gossip, per intenderci.

Tanto caro e apprezzato, sia dai politici sia dagli industriali. E ben prima dell'arrivo dell'invadente Dagospia. Con una differenza, tuttavia. A quei tempi andati, i pannucci sporchi Lor signori preferivano lavarseli in famiglia, grazie a una stampa a dir poco compiacente. Sia pure con qualche lodevole eccezione (partigiana) di allora, l'Espresso di Benedetti-Scalfari e "il Borghese" di Tedeschi-Preda.

Ai "riportatori" era affidata pure la strategia della disinformazione.
Negli anni della sua lunga giovinezza Luchino Cordero di Montezemolo non ha vestito "alla marinara" ricorrendo lo stile di Suni Agnelli, ma "alla Bisignani". Libera&bella si è messo al servizio dell'Avvocato anche nel disbrigo delle sue vicende più intime e private.

Una mansione che il presidente della Ferrari ha svolto in maniera eccellente e senza destare scandalo alcuno. A parte la bustarella incassata tra le pagine di un libro di Enzo Biagi nel suo arduo mestiere di lobbista. Non è un particolare sconosciuto, inoltre, che in occasione dei Mondiali 1990, Montezemolo abbia chiamato proprio Luigino a collaborare alla riuscita della manifestazione.

Angelo Rovati, da poco scomparso, era "L'Uomo di fiducia" di Romano Prodi per gli affari riservati ma non illeciti, dell'ex premier e numero uno dell'Iri. E tanti altri esempi di figure atipiche e similari di questa "razza bastarda", ognuna ovviamente con la sua caratura e onestà professionale, potrebbero essere qui ricordate (Da Velardi per D'Alema a Verini per Veltroni).

Dov'è allora lo "scandalo Bisignani" che, per nulla pentito delle sue male-azioni, confessa in pubblico il lato debole e pericoloso del suo mestieraccio?
Già, per restare nel tema, come non menzionare nella categoria anche i cari e vecchi "trombettieri" di una volta che assediavano Montecitorio. Gli informatori prezzolati dai partiti e dai padroni (in testa i cronisti parlamentari), ricompensati con soldi o prebende pubbliche (e private).

Quando alcuni anni fa redigevo per Dagospia il diario (immaginario) di Enrico Cuccia, le frequentazioni con Francesco Cossiga avevano avuto uno sviluppo insperato e prezioso. E, spesso, ho sentito il Gattosardo lamentarsi per alcuni suoi "piccioni viaggiatori" finiti impallinati che, a sentir lui, "non gliela avevano raccontata tutta giusta...".

Andreotti, che era nato nel rione Campo Marzio, sui tipetti che bazzicavano il suo entourage ed erano beccati a compiere qualche marachella (i "galoppini") si esprimeva con un romanesco "Quello là s'è allargato un po' troppo...".

Un caro collega, ironico, a proposito dell'indice dei nomi mancante mi ha fatto osservare, che per Luigino sarebbe stato assai più agevole e meno impegnativo compilare l'elenco di quelli che non ha frequentato nella sua incontenibile e convulsa attività.
Tant'è.

Forse Bisignani può essere paragonato alla stregua di un "ufficiale di complemento" dei poteri politico-finanziari. A volte affidabile, altre meno. Un "sottoposto", insomma, abile e intraprendente (in tutti i sensi). Come appunto richiede l'arte oscura del "maneggio" e del "magheggio" nel disbrigo degli affari e della politica bordline cui si è votati.

Un "collaboratore", il Bisi, innanzitutto del suo primo mentore, Giulio Andreotti. Quando nel '92 il tentativo di Giulio di salire al Quirinale fu azzoppato dai magistrati siciliani (accusa di mafia) Luigino si trasferì a Ravenna al servizio della famiglia Ferruzzi-Gardini. E lì cominciarono i suoi guai giudiziari, con tanto di condanne sul groppone. E sarebbe interessante andarsi a rileggere la sfilza di giornalisti che Luigino era riuscito a portare alla corte del Contadino. Alcuni ne sono usciti anche a mani piene.
Nel corso del processo Enimont, il finanziere Sergio Cusani ammise che molti giornalisti erano pagati da Gardini "attraverso i soliti meccanismi, come facevano - aggiunse - tutti gli altri grandi gruppi italiani...."

Torniamo alla Bisignani story.
Una volta rientrato alla casa madre romana, ad accoglierlo, a dargli udienza e fiducia, c'era l'ultimo democristiano doc rimasto sulla piazza, Gianni Letta. Il braccio destro di Silvio Berlusconi appena arrivato al comando di palazzo Chigi, il quale apprezzava le capacità del "figlioccio" fidato di Andreotti.

"Ufficiale" (di complemento), dicevamo, nell'accezione letterale di chi, come il nostro omino ribaldo che "sussurra ai potenti", in realtà non ha nascosto mai la sua attività di lobbista d'assalto.
Anzi, lui si è sempre vantato, almeno nel suo variegato mondo di relazioni, di "avere le mani in pasta" nelle stanze che contano. Sia nei giornali sia a palazzo Chigi (e dintorni); a Forte Bravetta (sede dei servizi segreti) quanto nelle Sacre Stanze del Vaticano (dependance Ior).

Auto-promuovendosi tra i suoi futuri clientes e nello stesso giro alto dei media. Così da valorizzare il suo curriculum politico-manageriale in cui i successi si compensano, ahimè, con le tante batoste subite.

Né il Bisi ha mai resistito, a causa della vanità che alberga nel "suo" Bel Ami ambizioso e seduttore sia pure non di origine proletaria come il protagonista del romanzo di Guy de Maupasant (suo padre era un alto dirigente della Pirelli), di ostentare in pubblico le medagliette (o le patacche) conquistate sul campo minato dell'accoppiata Affari&Potere.
Altro che trame segrete o P4.

L'ultimo sprazzo di "visibilità" l'ha forse goduto (si fa per dire) per effetto mediatico delle indagini dei procuratori napoletani. E quando, alla soglia dei sessant'anni - in uno scenario politico-istituzionale ormai radicalmente mutato -, meditava di cambiare pelle se non il vizio degli affari.
Del resto, neppure Luigino ha saputo tracciare il suo vero identikit (professionale) nel volume appena arrivato nelle librerie.

Alla fine, l'unico autoritratto (indiretto e umano) di Bisi è da ricercarsi nelle parole che il suo alter ego, il Sergio Bruschi protagonista del romanzo "Sigillo di porpora", rivolge a un suo amico spiegandogli cosa pensano di lui: "Ci sono delle persone che non sanno vivere se non in mezzo a grane immense e irrisolvibili, a paure tensioni violente. Anzi - aggiunge Bruschi-Bisi - se ti capitasse un momento di tranquillità, te le andresti a cercare con il lanternino...Perché per te sono come l'ossigeno. Non riusciresti a vivere".

Per chi non ha avuto dimestichezza (o frequentazione) con la vecchia Roma dei Palazzi e con quello che una volta era chiamato il suo vasto "sottobosco", la vita spericolata narrata da Bisignani - tra aneddoti gustosi e ricostruzioni inedite, ma tutte da vagliare -, può essere comunque, quello sì, motivo di "scandalo". Ma chi si scandalizza, ammoniva Pier Paolo Pasolini, "è sempre banale". E spesso è anche "male informato".

Il che non è sicuramente il caso di Alberto Statera, che su "la Repubblica" ha mandato al rogo il libello del Bisi. Statera è un giornalista economico di lungo corso e un profondo conoscitore delle vicende narrate nel libro-intervista messo da lui all'Indice. E trovandomi a che fare con un interlocutore credibile, tra i pochi ancora rimasti in circolazione, ecco l'insorgere di alcuni interrogativi velenosi, da porre a Statera nel sacro rispetto delle sue opinioni al vetriolo.

Perché marchiare con il fuoco pure dell'accidia (antica e mai sopita?) l'"immane sforzo di memoria in assenza di archivi" (Bisignani dixit) come "piccola spazzatura" per di più inzuppata nel veleno della vendetta?

Un giudizio tranchant che fa riflettere, non tanto sulla sua giustezza o meno. Ma soltanto perché sembra dettato dall'urgenza di Statera (e tanti direttori di giornale) di liquidare - senza approfondire o inchiodare Bisignani alle sue rivelazioni infedeli (ne avrebbe tutte le capacità professionali e ce ne sono di copiose quanto le omissioni) -, un trentennio che sta a cavallo tra la prima e la cosiddetta Seconda Repubblica.

Forse la recente notizia-bufala del ritrovamento dell'agenda rossa del giudice Borsellino (si trattava di un parasole), rilanciata con clamore in prima pagina da "la Repubblica", per Statera è un documento più rilevante dell'informativa, datata 2008, dell'ambasciata italiana sull'attività di Beppe Grillo e del suo movimento in appendice al volume di Bisignani?

E l'odiato Bisi che lo "introduce"(?) nello studio dell'avvocato piduista Umberto Ortolani in via Condotti(episodio seccamente smentito da Statera)  era meno "trash" di Giuseppe Ciarrapico? L'"'omo de' panza" di Andreotti, che fungerà da mediatore di successo tra il suo editore di riferimento, Carlo Caracciolo, e il Cavalier Berlusconi nella disputa sulla proprietà del gruppo Mondadori-Repubblica.

Forse non era "trash" ma soltanto "kitsch" il "public affair" alle vongole di Massimo D'Alema, Claudio Velardi, che apparecchiava con Rondolino-Lothar un risotto cucinato dal neo premier Baffino nel salotto tv di Vespa?

Magari era "chic" e non "trash" o forse "kitsch", Gad Lerner fotografato in barca con Carlo De Benedetti, in volo con Gianni Agnelli, sulla strada della seta in compagnia di De Michelis e della sua compagna, Stefania Tucci, (l'"unica broker conosciuta a Wall Street", parola dell'Infedele) o sottobraccio con il banchiere Alessandro Profumo alla feste dell'Unità o nella tribuna d'onore (a sbafo) delle finali di Champions League (sponsor Unicredit)?

E il giornalista Carlito Rossella, presidente della Medusa e candidato alla direzione del Corrierone, che si fa immortalare con una scarpa usata a mo' di telefonino confezionata dal suo amico Dieguito Della Valle, è un "demi-mondaine" del trash glamour o un markettaro tout court?

Che cosa pensare poi del "panel" (stonato) di direttori, Mieli e Mentana, ospiti del solito Della Valle e del solito Montezemolo che si esibisce all'"Anima'e Core" di Capri? Siamo alla presenza di un "trash-suprème" o di una "zingarata" di attempati goliardi?
Ah saperlo...

E perché nella stucchevole querelle con Giuliano Ferrara, Alberto Statera dimentica sempre che al teatro "Eliseo" di Roma a presentare il romanzo di Bisignani, "Il sigillo della porpora" (marzo 1989), oltre al Divo Giulio e al direttore de "il Foglio" c'era pure lo scrittore Enzo Siciliano, che non può essere sospettato di frequentare i "tipi brutti sporchi e cattivi", ma - al contrario - tutta l'intellighenzia di sinistra nostrana (e no).

"Peccato che non ci fosse ancora Cafonal di Dagospia a immortalare la scena...", ha scritto molti anni dopo sull'"Espresso", Marco Damilano.
Nella sua lettura devastante al libro, Statera sbugiarda pure Bisignani sui presunti rapporti amichevoli intercorsi tra l'allora giovane portavoce del ministro del Tesoro, Gaetano Stammati, e il direttore dell'"Espresso", Eugenio Scalfari.
Ben fatto.

Ma, al tempo stesso, Statera non si domanda per quale plausibile motivo l'attuale direttore del "Corriere della Sera", Flebuccio de Bortoli, sentisse l'urgenza di "messaggiarsi" abitualmente e confidenzialmente con Luigino per scambiarsi informazioni. E neppure s'interroga sulla mancata trascrizione delle intercettazioni tra l'"Uomo-nero" Bisignani e "Penna Bianca" Flebuccio.
Ah saperlo...sospirerebbe ancora il mio amico Dago.

Se, da impertinenti, tiriamo le orecchie al bravo Statera, una ragione c'è. E trova, ripetiamo, il suo senno nella certezza che Alberto è tra i pochi giornalisti-commentatori capaci di "rivisitare", senza code di paglia, l'auto-biografia di Luigino. E, soprattutto, il trentennio-termitaio che ci siamo lasciati alle spalle.
E' solo frugando (e sfrugugliando) all'interno della nostra "società in bilico" che può essere letta senza paraocchi, per chi ne ha voglia ovviamente, la storia e le trame dell'"uomo che sussurra ai potenti". Altrimenti si scade nell'ovvio e nel folklore politico. Già ben rappresentato dal nuovo leader-Supertrash, Beppe Grillo.

Nelle cronache di un "paese provvisorio", il grande saggista Edmondo Berselli, purtroppo scomparso troppo presto, ha bene illustrato (e rappresentato) il costume e i vizi dall'altro ieri e di oggi de piccolo mondo dei "Post italiani" (Mondadori,2003).
"Oggi la divinità sociale - scriveva - si gioca in un continuum fra il trash e l'informazione riservatissima, in un circuito che comprende sia i divini mondani come Montezemolo o Diego Della Valle (compresi i boatos in chiave di potere dei vari Cossiga, Romiti, Pomicino) sia gli spigolatori di pettegolezzi come D'Agostino...".

L'"insiding politico" e il trionfo della "gossip society" con le sue pseudo rivelazioni, a giudizio di Berselli, da tempo ci segnalano che sono diventate una "risorsa dell'Italia postpolitica". E, aggiungiamo noi, una faccenda che ha reso più arduo pure il lavoro (oscuro) dei faccendieri "alla Bisignani".

Intanto, nelle ultime ore sulle memorie (corte) dell'"uomo che sussurra ai potenti", a pioggia, sono arrivate altre inevitabili smentite. Nonché le sdegnate messe a punto della Santadechè, di Alfano e degli altri presunti "congiurati" forza-italioti per far fuori Berlusconi alla vigilia dell'ultimo voto.
Fa eccezione tra i "menzionati" di Bisi, la mancata rettifica, forse la più attesa nella redazione-polveriera di via Solferino, del sempre più flebile (e reticente) Flebuccio de Bortoli.

Ma prima che tornino a scorrere i titoli di coda, va pure osservato che nel "rullo" fissato su carta del "monologo" che Bisignani recita "a soggetto" senza farsi mai guidare o condizionare dalla regia (fin troppo asettica) di Paolo Madron, sia nel "corpo-a-corpo" serrato tra Massimo Mucchetti e Cesare Geronzi sul set del libro-intervista "Confiteor" (Feltrinelli) c'è, inspiegabilmente, un fotogramma bianco.
Un "buco".

La nomina, marzo 2009, di Flebuccio de Bortoli, ai tempi alla guida del "Sole 24 Ore", a direttore del quotidiano dei Poteri marci al posto di Paolino Mieli. Caduto in disgrazia presso l'Imperatore Geronzi.
Che cosa accadde davvero nel breve spazio di tempo intercorso tra la designazione di de Bortoli alla presidenza della Rai (9 marzo, governo Berlusconi-Letta) - con il suo successivo repentino rifiuto -, e la "chiamata", appena qualche giorno dopo, di tornare a dirigere l'ex "Corazzata Corriere"?

Di sicuro c'è che tra "Bisi" (l'ex "factotum dei Ferruzzi" secondo Geronzi) e l'ex Imperatore di Capitalia, una volta amici-nemici nel nome del Divo Giulio, ci fu uno scontro al calor bianco di vedute su chi incoronare in via Solferino.

Poi risoltosi con la vittoria dell'ex presidente di Mediobanca che a Mucchetti ha svelato di aver appoggiato la scelta di Flebuccio per tagliare la strada, in buona sostanza, alla candidatura di Carlo Rossella sostenuta dal solito Montezemolo e dal solito Della Valle.

Una tempesta perfetta, dunque, quella scatenata dal libro-confessione di Bisignani.
Ma prima di bruciare le sue memorie, forse andrebbero tenute a mente le pungenti considerazioni dello scrittore Gore Vidal in occasione dell'uscita dell'"Imbroglione" (Fazi editore) in cui l'autore, l'avvocato-faccendiere Louis Auchincloss, racconta magistralmente il "piccolo mondo" sporco del denaro che girava a Wall Street fra la Grande Depressione e il New Deal.

Sbaglia di grosso, osservava Vidal, chi pensa di liquidare il romanzo di Auchincloss relegandolo nella "divisione libro-chiacchiera", in quanto irrilevante.
Una rappresentazione da poveri ottusi, aggiungeva Vidal, paragonabili a "tante rane che pensano che il loro stagno sia un oceano" e che quel "piccolo mondo" di furfanti non esista.

 

 

COPERTINA LIBRO BISIGNANI MADRON - L UOMO CHE SUSSURRA AI POTENTILuigi Bisignani LUIGI BISIGNANI BISIGNANILuigi Bisignani LUIGI BISIGNANI PAOLO MADRON Ettore Bernabei giulio andreotti cinema gianniletta Eugenio Scalfari Luca Cordero di Montezemolo Angelo Rovati ROMANO PRODI jpegCLAUDIO VELARDI Massimo Dalema francesco cossiga Luigi Bisignani con Giulio Andreotti BEPPE GRILLO DAL TRENO Carlo Rossella al telefono Gad LernerCARLO DEBENEDETTI ENRICO MENTANA PAOLO MIELI Diego della valleFerruccio De Bortoli Massimo Mucchetti Cesare Geronzi

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