MATTEUCCIO NON VUOLE ESSERE “PRIMO AZIONISTA” DI UN GOVERNO DI FIGURACCE: “BASTA, SIAMO I BADANTI DEL GOVERNO” - LETTA FA IL PESCE IN BARILE E, DA BUON DEMOCRISTO, INCASSA E VA AVANTI

Goffredo De Marchis per ‘La Repubblica'

L'agenda del governo la faccio io. È giusto che Renzi avanzi le sue proposte, che acceleri i tempi. Ma non sto qui a fare il notaio, non mi faccio commissariare ». Enrico Letta si rifiuta di partecipare alla gara impostata dal segretario del Pd, a ribattere colpo su colpo a progetti, piani e battute che arrivano da Palazzo Vecchio.

Ma anche lui vuole esercitare un ruolo di proposta, anche lui ha un "piano del lavoro e della solidarietà" da mettere sul tavolo del patto di governo. Lo tirerà fuori a tempo debito, prima del 20 gennaio, quando verrà messa la firma su "Impegno 2014", l'intesa che dovrebbe portarlo a scavallare l'anno.

Però non accetta di lasciare autostrade a Renzi per le sue incursioni in una maggioranza indebolita. Di farsi bombardare ogni giorno. Di affidare al sindaco l'incarico di balia dell'esecutivo. Incarico che Renzi è convinto di essersi già conquistato: «Ormai siamo diventanti i badanti di questo governo. Sanno solo combinare guai e noi dobbiamo rimediare».

L'immagine del badante è forte, umiliante. Renzi l'affida ai suoi interlocutori fidati. Ma il senso non cambia di molto leggendo la lettera settimanale pubblicata sul suo sito in cui annuncia il jobs act: «A me va bene tutto. Ma le figuracce gratis anche no. Stamattina il governo ci ha messo una pezza. Era già accaduto con le slot machine, con gli affitti d'oro, con le polemiche dell'Anci: dobbiamo trovare un modo diverso di lavorare insieme».

Il riferimento è all'ultima retromarcia sui 150 euro mensili tagliati agli insegnanti. Una gaffe che ieri aveva alimentato le voci di dimissioni di Fabrizio Saccomanni. Voci smentite con forza. Anzi, Letta conferma la sua fiducia nel ministro dell'Economia.

Ma al premier non sfugge l'escalation del segretario democratico. L'incontro tra i due che dovrebbe esserci tra oggi e domani parte con le premesse peggiori. La bozza del piano lavoro viene diffusa non a caso nel giorno in cui l'Istat certifica il disastro dei dati sull'occupazione e sulla disoccupazione. È un bagno di sangue, per questo Renzi accelera e anticipa il jobs act, anche alle nove di sera, anche costringendo i suoi esperti a un tour de force per dargli una forma adeguata seppure provvisoria.

«Noi stiamo lavorando. Il ministro Giovannini ha preparato molte proposte. E ci concentriamo sulle cose da fare, non sugli annunci», spiega il premier. La pressione però si fa sentire. Con Berlusconi fuori dalla maggioranza, con Alfano sempre debole nel centrodestra e il Pd che non risparmia bordate, Letta rischia di apparire il capo del governo di nessuno. Un logoramento che non ha il lieto fine.

«L'ho visto determinato, soprattutto sul patto di coalizione. Ma troppo tranquillo. Secondo me sottovaluta il terremoto che sta arrivando», racconta il capogruppo di Scelta civica Andrea Romano che martedì ha incontrato Letta per il primo giro di consultazioni.
Può essere la scuola democristiana. O la necessità, per chi guida la baracca, di mantenere i nervi saldi.

«Quando è partita la ripresa negli Stati uniti - diceva ieri Letta ai suoi collaboratori - i dati dell'occupazione non sono migliorati subito. Sono sicuro che la nostra direzione è corretta e i risultati si vedranno nel 2014». In realtà, il presidente del Consiglio tranquillo non è. Il pericolo che il suo governo diventi "figlio di nessuno" lo ha ben presente.

Il faccia a faccia di Renzi con Berlusconi sulla legge elettorale sarebbe la fotografia più nitida di questa situazione. Un ulteriore passaggio della strategia dell'isolamento nei suoi confronti. Ecco perché il premier ha deciso di giocare la partita anche dentro il Partito democratico. La direzione del 16 è l'occasione giusta.

Si stanno muovendo tutti i lettiani presenti nel parlamentino Pd. Cercano di organizzare la "fronda" con i pezzi della minoranza di Gianni Cuperlo. Divisa, disorganizzata ma pronta mettere in difficoltà il cammino del segretario. I filo-governativi studiano una serie di interventi per far «scendere il segretario sulla terra».

Chiedendo conto di numeri, risorse e provvedimenti per raggiungere gli obiettivi che vengono annunciati giornalmente. Poi, la sfida sui segretari regionali, da votare con le primarie a fine febbraio, vuole costringere Renzi a fare davvero il leader del Pd, a occuparsi degli equilibri interni come hanno fatto, faticosamente, tutti i suoi predecessori.

Esattamente ciò che fin qui il sindaco di Firenze ha evitato come la peste, sapendo che questo è un gioco al massacro. «Il segretario fa ogni giorno delle critiche al governo e Franceschini li giudica dei contributi positivi. Non è così. Da che mondo è mondo, il sostegno all'esecutivo ricade sul capo che deve risponderne», dice Alfredo D'Attorre.

L'altra partita è quella della legge elettorale. Il bersaniano Nico Stumpo è convinto che l'abbraccio con Forza Italia non porterà bene a Renzi: «Fra pochi giorni avremo la legge proporzionale della Consulta. Con quella, se il Pd prende il 35 per cento ha 200 seggi, 93 in meno di quelli attuali. Berlusconi, con il 20 per cento, conquista 120 deputati invece dei 70 di oggi». Come dire: la trattativa è in salita e sono in tanti ad aspettare l'inciampo del sindaco.

 

 

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