RENZI, FATTI PIÙ IN LÀ – LETTA PENSA GIÀ AL (SUO) FUTURO: “SE SI RIVOTA, SI GOVERNA ANCORA COL PDL” (ERGO: SARÀ LUI IL CANDIDATO PREMIER)

Laura Cesaretti per "Il Giornale"

 

Nel Pd dilaniato, anche fissare la data (scritta nello Statuto) per il congresso diventa un'impresa impossibile. Alla fine di una giornata defatigante, il fronte anti-Renzi del Pd, guidato dal segretario Epifani, continua a resistere.

Il pressing per costringerlo a convocare le assise si è scatenato per tutto il giorno, ieri, in vista della Direzione convocata in serata. Migliaia di firme sotto appelli, interventi martellanti di esponenti di varia estrazione: da Debora Serracchiani a Salvatore Vassallo ad Arturo Parisi a tutti i renziani. Giorgio Tonini, senatore vicino a Walter Veltroni, è durissimo e accusa i vertici del partito di «violare la legalità interna», visto che lo Statuto parla chiaro e le assise avrebbero dovuto essere convocate già da mesi.

E anche il candidato dalemiano alla segreteria, Gianni Cuperlo insiste sul punto, entrando nell'auletta di Montecitorio dove si tiene la riunione, visto che nella sede del partito l'aria condizionata è rotta e a farla lì, con 40 gradi di temperatura, si sarebbero rischiati collassi e risse al coltello. «Il congresso va tenuto in tempi certi e deve essere aperto», dice Cuperlo.

Ma Epifani (e con lui Bersani, Franceschini e tutti i maggiorenti anti-renziani) tiene duro e dice solo che, a settembre, ci sarà l'assemblea sulle regole e da lì «inizierà formalmente» il percorso congressuale, che dovrà concludersi con le primarie per la leadership. Quando? Il segretario non lo dice, i renziani insorgono. È Marina Sereni, vicepresidente dell'Assemblea nazionale, ad avanzare una data possibile: il 24 novembre. Ma i bersaniani inviperiti smentiscono: «Sarà l'assemblea a deciderla», dice Davide Zoggia. I renziani però cantano vittoria, «le primarie sono state fissate». e allora Epifani fa fare a tarda sera una nota per dire che invece la data non c'è. Il clima è degno di Helzapoppin, surrealismo puro. «Veramente abbiamo sentito tutti, e la data c'è», dice Matteo Orfini.

Enrico Letta parla in direzione proprio mentre il governo va sotto a Montecitorio su un ordine del giorno (promosso dal Pd Walter Verini) sulle sedi giudiziarie: una sconfitta poco più che simbolica, ma che dimostra quanto sia fragile la tenuta della sua maggioranza, in vista di un autunno di fuoco. E il premier avverte: se cade questo governo, non arriva il salvatore della patria Renzi: «L'unica alternativa sarebbero elezioni subito, e con questa legge vorrebbe dire nuove larghe intese». Il sottinteso è che il candidato premier sarebbe ancora lui.

Poi aggiunge: «Sento una responsabilità forte, non mi farò distrarre», dobbiamo «tornare all'agibilità politica, ma se viene meno l'unità del Pd in questo momento, il sistema rischia di venir giù». Anche Epifani ammonisce: «Dobbiamo tenerci pronti a tutto, e sostenere le indicazioni e le scelte di Enrico Letta nei tempi e nelle forme in cui riterrà di assumerle».

Renzi arriva in Direzione deciso a tacere, non risponde ai cronisti che lo assediano. Ma la sua intenzione di scendere in campo per la segreteria e di prendersi il partito per «rivoltarlo come un calzino», come dice il renziano Guerrini, le ha già annunciate mercoledì alle feste del Pd emiliano che lo hanno accolto come una rockstar. E mentre lui parlava a Modena, a Montecitorio Bersani e i suoi seguivano la diretta video sui loro iPad. «C'è proprio tanta gente, eh?», commentava il fido D'Attorre, spiazzato. E Bersani, teso, annuiva. Il renziano Rughetti, davanti al tira e molla sul congresso, ironizza: «Sono come i capponi cui viene chiesto di anticipare il Natale, vanno capiti».

 

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