RENZI ROBOT D’ACCIAIO – DAI SUPEREROI DEI MANGA GIAPPONESI (GOLDRAKE) AI FUMETTI DISNEY - LE CITAZIONI ULTRA-POP STILE ANNI ’80 DEL LEADER CARTOON

1. MATTEO «ROBOT D'ACCIAIO» LEADER USCITO DAI FUMETTI
Paolo Bracalini per "Il Giornale"

Il mitologico Veltroni by Corrado Guzzanti che in un disperato carnevale di nomi impossibili cercava il nuovo leader dell'Ulivo, tra Topo Gigio («non ce lo danno, ha i diritti Mediaset»), Amedeo Nazzari («era perfetto,ma è morto!»), i Fichi d'India ( «non possono, pare che fanno Fazio»), si è reincarnato in un segretario pop stile anni '80 che cita robot giapponesi, cartoni animati, Happy Days.

«Lasciatevelo dire da Fonzie» scherza Renzi (o appunto «Renzie») che dopo l'apparizione col chiodo da spaccone di Milwaukee ad Amici non si è più tolto di dosso quell'immagine.Lo stand dei giovani Pd alla Festa Democratica di Milano l'aveva accolto con la sigla di Happy Days, e Renzi aveva gradito: «Finalmente ci sono dei giovani che mi prendono per le mele in modo serio...», scherzando col peluche di giaguaro da smacchiare.

Da rottamatore a eroe robot: «Trovo sconcertante che di fronte a Senato gratis, le Regioni a dieta, un taglio di 1 miliardo ai costi della politica, si protesta. Allora chiamate Goldrake, più di così non potevo arrivare» lamenta a Porta a porta. L'immaginario renziano, giovanilistico per definizione, pesca spesso nel mondo dei cartoni animati usciti tra i '70 e gli '80, per sottolineare il salto generazionale tra sé e la vecchia nomenklatura da pensionare, anche ora che la rottamazione è cosa fatta. «A me interessa che il centrosinistra vinca- spiegò ad Agorà- , non è un problema se c'è o no Matteo Renzi, il centrosinistra va bene anche Mazinga, purché vinca».

I dieci anni di differenza con Enrico Letta si sentono. La sfida è tra Mazinga-Goldrake e Joe Condor, l'avvoltoio del vecchio sketch della Nutella dentro il Carosello (primi anni '70) sinonimo di chi si fa fregare («E che,c'ho scritto Jo Condor?» diceva alla fine di ogni gag il corvo come a dire non sono mica fesso). Il premier non accetta paragoni («Non sono mica Joe Condor» disse Letta durante la conferenza stampa sulla legge di Stabilità, come a dire non pensate di farmi fesso.

Se Letta non è Jo Condor, Renzi vede come alternativa a sé solo i supereroi dei manga giapponesi. Sarà per questo che quando Beppe Grillo lo ha attaccato dal suo blog lo ha fatto così: «Renzi è un cartone animato»? O sarà per questo che D'Alema, quando si è scagliato contro l'assurdità di un congresso per stabilire nel 2013 il candidato premier del 2015, si chiese: «E se nel frattempo arriva Nembo Kid che facciamo, lo escludiamo dalle primarie?».

Gli altri, i vecchi dirigenti del Pd e quelli del governo, somigliano ai cartoni animati, ma a quelli goffi e pasticcioni della Paperopoli disneyana. Colpa della Stampa che aveva paragonato il Jobs Act di Renzi al Manuale delle giovani marmotte dei nipotini Qui, Quo e Qua. «Che sono disegnati come molto antipatici ­scrisse Renzi in una lettera di replica al giornale torinese, presentandosi come un appassionato di fumetti Disney- , ma qualche problema lo risolvono. Zio Paperino è più simpatico ma non ne azzecca una (chi è lo zio, Letta? ndr ). E soprattutto l'attuale classe dirigente assomiglia molto a Paperoga: dove tocca, sbaglia».

Si può immaginare in un leader­cartoon come Renzi, per giunta americanofilo, che turbamento possa procurare una puntata dei Simpson , il cartone sulla famigliola media americana inventato da Matt Groening, dove si prende l'Italia a modello negativo. «È drammatico che in una puntata dei Simpson si dica che "questa scuola è più corrotta del Parlamento italiano"» - disse Renzi in un incontro a chiusura della sua campagna per le segreterie, mostrando un video tratto dalla serie.

Perciò: «Voglio rottamare i Simpson , e non c'è niente da ridere, c'è da piangere».La galassia del renzismo affonda lì, i riferimenti culturali sono più pop che classici. Lo aveva spiegato lui stesso, in un suo libro di otto anni fa per l'editore fiorentino Giunti, Tra De Gasperi e gli U2. I trentenni e il futuro . Un manifesto ante litteram del renzismo. Con un'introduzione intitolata «Anche i dinosauri prima o poi si estinguono». O vengono spazzati via da Renzi robot d'acciaio.


2. DA "FASSINA CHI?" A GOLDRAKE LA POLITICA SCOPRE IL "RENZESE"
Da "la Repubblica"

Innanzitutto l'inglese, o quello che a spizzichi e bocconi assomiglia all'inglese: «Cool», «smart», «finish», «game over», «job act». Du yu spik «renzese»?
«Venendo qua - questo si è potuto ascoltare dal leader del Pd la scorsa settimana - ho incontrato una signora che mi ha preso in giro: "Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!". Questa dunque la conclusione del breve racconto: la signora «ha ragione»; insieme a una promessa: «Basta anglicismi».

Quest'ultima parola, «anglicismi », suona in verità piuttosto colta, perciò colpisce. Di norma il lessico del personaggio è piano, molto colloquiale, anzi per certi versi un modello di quotidianità che qualche volta sconfina nella bullaggine: «Fassina chi?», «li asfaltiamo», «lo rivolto come un calzino». Già più elaborate formule di offesa e difesa quali: «Deve farsi
vedere da uno bravo», inteso un medico; come pure, ma su twitter, a proposito di un utente sconsiderato: «Spero che chi lo ha fatto, dopo aver parlato, abbia posato il fiasco», nel senso dell'ubriachezza molesta.

Questa lingua tutto sommato lineare e non di rado contundente - si pensi alla contagiosa energia della «rottamazione» ha tutta l'aria di essere una delle ragioni del successo di Renzi. Ecco comunque il giudizio complessivo che su di lui ha espresso qualche giorno fa un grande esperto del ramo comunicazione, Silvio Berlusconi: «È moderno, non è un politico tradizionale, è brillante, telegenico, ha la battuta pronta, usa un linguaggio comprensibile dalla gente, e insomma è un avversario temibile da non sottovalutare».

Ciò detto, tutto sommato il «renzese» rimane ancora un oggetto da approfondire. Di sicuro, com'è ovvio, vi si colgono tracce di fiorentinismo come quando, per la verità senza rendersi conto che il microfono era aperto, ha definito il povero Bersani «spompo». Per poi correggersi: «Dài, m'è scappata un'espressione che era anche d'affetto».

Ora, è inutile soffermarsi su quanto sia stata decisiva Firenze per l'italiano. Ma come tutte le cose importanti, ganze o meno che siano, la fiera e consapevole impostazione municipale gioca a doppio taglio. Così per taluni riecheggia, più che Dante, la commedia di Pieraccioni e Panariello, mentre per altri, come Antonio Martino, assegna a Renzi un sovrappiù di eloquenza «che fa sembrare oro colato qualsiasi sciocchezza».

Sempre proseguendo un'indagine necessariamente empirica, un'ulteriore caratteristica che colpisce è quella dei giochi di parole, tipo «serve un partito pensante, non pesante », oppure «il Pd non esiste, ma resiste», o anche «Berlusconi non è da imprigionare, ma da pensionare», «dico Andreatta e non Andreotti» e così via.

Uno dei pochi studiosi che si è avvicinato alla materia, il professor Giuseppe Antonelli, dell'Università di Roma, ha notato slogan «visivi», parecchie contrapposizioni ad effetto e riferimenti pop «spinti molto a fondo ». Abbastanza persuasiva è la valutazione di fondo, secondo cui Renzi condivide e fa sua «l'intuizione secondo cui è la cultura televisiva a fondare la nostra identità nazionale». E in qualche modo, si può aggiungere, anche quella generazionale.

Ecco perciò Goldrake, Sanremo, Miss Italia, il mago Zurlì, il mago Otelma e l'innominato Califano che conclude «tutto il resto è noia», ognuno dei quali chiamati a raccontare significati e rafforzare concetti. Da questo punto di vista gli esempi sono abbondanti.
La battuta in «renzese», d'altra parte, è prodigiosamente rapida, forse anche troppo. Ma a detta di Antonelli ce ne sono di «già impacchettate» che secondo le logiche del marketing tendono a inglobare diversi pubblici. Per cui il leader del Pd punta sui giovani non solo con una comunicazione calda «dài, ragazzi!» - ma richiamando anche, per dire, l'allenatore Pep Guardiola, mentre il richiamo a Bartali è dedicato alle zie e ai nonni.

Lo sport, o meglio il calcio, è infine una chiave fondamentale, tanto che nell'inarrestabile chiacchiera renziana rasenta quasi l'ossessione. Il campo della politica si risolve identificandosi pienamente nel campo da gioco in una continua e rutilante evocazione di maglie, panchine, calci di rigore, «io sono trapattoniano» per dire che gioca in difesa, «se mi avete dato la fascia da capitano - questo nel discorso della vittoria alle primarie - non farò passare giorno senza lottare su ogni pallone». L'altro giorno, dopo l'incontro con Berlusconi, ha superato se stesso chiedendo ai suoi: «Vi è piaciuto il cucchiaio? ». Che sarebbe un gol segnato con un pallonetto - là dove il virtuosismo sfiora l'evanescenza, ma qualche punto porta a casa.

 

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