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RENZI, STAI SERENO: CON LE PRIMARIE PD IL 30 APRILE TRAMONTA L' IPOTESI DEL VOTO A GIUGNO - VINCE IL PARTITO MATTARELLA-FRANCESCHINI CHE TOGLIE ALL’EX PREMIER L’ARMA DELLE ELEZIONI ANTICIPATE - IL M5S ACCUSA IL PD AVER MESSO UNA PIETRA TOMBALE SUL VOTO A GIUGNO PER SALVARE I VITALIZI DEI PARLAMENTARI
Da la Stampa
Dopo tanto dibattere e litigare, la data delle primarie del Pd viene partorita: si terranno il 30 aprile. Una decisione che segna un punto a favore degli sfidanti di Renzi e dei capicorrente del Pd come Franceschini: perché toglie dal tavolo l' arma di elezioni anticipate a giugno, che al leader non dispiaceva tenere carica.
Al segretario, che fa sapere di gradire una scelta che evita lacerazioni, votata in Direzione con 104 sì, 3 no e 2 astenuti, non piacerà di sicuro l' eccessiva dilazione sui tempi. Anche perché presta il fianco all' accusa dei grillini, subito gettatagli addosso da Di Maio, che il Pd abbia messo la pietra tombale sul voto a giugno per salvare i vitalizi dei parlamentari.
«La data decisa risolve un problema non banale: si chiude così definitivamente il dibattito sul voto politico a giugno», si compiace Fassino, pensando di stemperare le tensioni nel Pd. E i grillini si scatenano: «Applausi al Pd che è riuscito nel suo piano: rinviare le elezioni a dopo agosto per intascarsi le pensioni d' oro!». In ogni caso, non si potrà più votare l' 11 giugno per una questione di calendario: tanto più che il leader vincente ai gazebo sarà proclamato segretario il 7 maggio dall' assemblea nazionale del Pd, che voterà un eventuale ballottaggio tra i primi due concorrenti, qualora nessuno superasse il 50% dei voti alle primarie del 30 aprile.
In Direzione tanti assenti Ma la tensione nel Pd rischiava di esplodere, anche per la scarsità di presenze in una Direzione convocata di venerdì pomeriggio. Raccontano i beninformati del giro renziano, che dopo ore di guerriglia in commissione congresso i loro stessi esponenti hanno evitato di forzare sulla convocazione dei gazebo il 23 aprile, data su cui avevano battuto e ribattuto come segno di massima disponibilità rispetto al 9 aprile voluto dal leader: e questo dopo essersi accorti che nella sala della Direzione - che avrebbe dovuto ratificare con un voto la decisione - mancava il numero legale. Assicurato dai delegati orlandiani, divenuti quindi decisivi per l' ok finale.
Una circostanza che non farà contento Renzi («quando scenderà dall' aereo sarà difficile spiegarglielo e tenerlo calmo»), il quale avrebbe comunque preferito una data che tenesse aperta la finestra del voto a giugno: come minaccia e per tenere a freno le polemiche grilline.
Uno a zero per gli sfidanti Raccontano pure che il compromesso sia stato raggiunto grazie al pressing telefonico di Orlando e di Emiliano (che è arrivato a minacciare di fare ricorso sulla data ex articolo 700 del codice di procedura civile per bloccare la decisione della direzione). I due sfidanti incassano pure la conferma dei due euro come obolo per votare ai gazebo, invece dei dieci temuti, che avrebbero ridotto le code per votare.
Ma all' ex pm non va giù che sia chiuso il tesseramento il 28 febbraio, «quattro giorni è poco per chi parte svantaggiato», fa notare Francesco Boccia. Emiliano avrebbe preferito tenere le primarie il 7 o il 14 maggio «per avere più tempo per farsi conoscere in tutta Italia». Guerini respinge l' accusa di un congresso lampo, ricordando che nel 2013 dalla data del sì al regolamento alla conclusione passarono 71 giorni, stavolta saranno 66 giorni, «in linea con quei tempi».
Orlando invece si mostra conciliante, «se fossero state fissate le primarie a maggio, con la proclamazione del segretario si sarebbe arrivati troppo a ridosso delle amministrative». E annuncia che se vincerà farà il segretario del Pd e non il candidato premier, una rinuncia al doppio incarico che rovescia un cardine dello statuto del partito a vocazione maggioritaria.
Tolta la minaccia delle urne, il governo è obbligato a un cambio di marcia, «uno scatto che metterà in difficoltà gli scissionisti, costretti a dimostrare di garantire la stabilità dell' esecutivo, almeno fino a settembre, ma più probabilmente fino al 2018», si consolano i renziani che hanno ormai abbandonato il sogno del blitz.